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La Grecia di oggi non esiste, è uno stato inventato dall’Europa moderna

Creato il 07 febbraio 2012 da Sirinon @etpbooks

L’argomento sembrava già trattato in maniera esauriente quando prima in una breve esortazione e poi in un breve panorama storico un poco più esaustivo, oltre che in una digressione dedicata a Cipro, tanto che ritenevo fossero chiare certe implicazioni. Mi sbagliavo. Al punto che forse, nonostante quella che seguirà voglia essere una notazione chiara e definitiva, probabilmente a molti resterà quanto meno indigesta e, ad ogni buon conto in contrasto con le apparenze della storia.

Orbene la definizione è cristallina: la Grecia moderna, come stato politico di fatto non è mai esistito, è una invenzione delle potenze Europee.

Inutili, per non dire quindi pateticamente da farsa gli appelli di certi intellettuali che continuano a fioccare sui media, appelli che hanno il solo risultato di divenire una barocca manifestazione di cultura, cultura che, tra l’altro, è stata impropriamente cavalcata da molti in questi mesi ora additando gli antichi democratici fasti per inveire contro il proprio leader, reo delle peggiori nefandezze, ora per invocare una sorta di natura illuminata dell’uomo. E volendo, con tali appelli, esentare la grecia dal pagament odi un conto, in virtò di privilegi (tanto per cambiare) guadagnati nei tempi che furono che, contrariamente a quanto si creda, in realtà furono molto teorizzati e ben poco messi in pratica. Nessuna età dell'oro, se non appunto nell'intelletto oltre ad alcune, peraltro frettolose e poco valutabili prove generali d'attuazione. Una democrazia un poco come quella di oggi, molto dichiarata, poco praticata, ma, almeno per una volta, con la giustificazione dovuta alle novità. Sono appelli questi che  così stravolgono la storia, gli eventuali suoi insegnamenti e la rendono complice di elucubrazioni socio-politiche carnevalesche. Da destra e da sinistra si sta continuando da mesi, anzi, oramai da un paio di anni, ad evocare qualcosa che si crede una palpabile eredità ma che è solo ed esclusivamente storia antica.

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L’unica vera storia della antica Grecia è che, al tempo,vi fu la città di Sparta, la città di Atene, la città di Argo. La città di Delfi, la città di Olimpia e tante altre città ancora, ciascuna stato a sé stante, ciascuna con la propria democrazia, che più volte tentarono di confederarsi, con qualche maldestro intervento riuscito in verità, ma solo per fini bellici del momento e niente più. Lo stato greco così come oggi politicamente lo intendiamo, a quel tempo non esisteva, se si esclude il periodo, l’unico, quello di certo Alessandro Magno, che - come se non bastassero le rogne - é oggi frutto di diatriba molto accesa tra lo stato greco e quello della Macedonia, che qui, in Grecia non si può chiamare tale, ma si chiama Fyrom, adottando quell’acronimo che un inutile (uno fra i tanti ahimé) decreti dell’ONU ha inventato per chiamare la recentemente sorta “Repubblica di Macedonia”, ex territorio yugoslavo, che fu denominata appunto "Former Yugoslav Republic of Macedonia", perché ovviamente da parte Greca sorsero immediate contestazioni in quanto si sentivano e si sentono depauperati di un nome che li priverebbe di paternità storica, quella antica, l’unica da poter vantare. L’unica che avesse avuto a ben guardare, un peso internazionale.

Trascorso il periodo alessandrino, dapprima romani e poi turchi ebbero facile ragione di un territorio che per natura non era coeso ma rozzamente amalgamato da storie di mille e mille intrecciate alleanze che mai, in mancanza di un comando, di un faro da seguire, avevano resistito quel tanto da poter definire il territorio di pertinenza uno stato, una nazione con omogeneità di intendimenti sociali, di culture, di scopi, di tradizioni.

La storia successiva all’indipendenza è conosciuta anch’essa ma non compresa: la realtà è che la Grecia intesa come politica entità è uno stato voluto dai potenti, Inghilterra e Francia per primi che ne fecero a metà ottocento, una vedetta sul mediterraneo a guardia di un “mare nostrum” che poteva restare in mano turca e quindi soggetta ad altri interessi che non erano più convergenti o, peggio ancora, passibile di caduta in mano russa, là dove certo imperialismo iniziava a vacillare. Da allora è rimasto tutto invariato. Ed oggi ancora, dove la Grecia serve all’Europa fino a quando la Turchia non avrà deciso da che parte schierarsi, fino a che Cipro, di conseguenza, non sarà saldamente in mano occidentale, ora più che mai con le primavere arabe, che non si sa bene quale estate porteranno.

Ma il popolo che abita queste terre è un popolo senza identità comune (fatte salve alcune enclaves sulle montagne o in Creta) che trova l’unico elemento comune nella tragedia della diaspora. E’ un popolo che è tornato lentamente dai tanti paesi in cui aveva fatto fiorire ricche colonie ed insediamenti, alcuni dei quali ancora oggi esistenti tra l’altro. Altri, invece, miseramente distrutti nella violenza dei pogrom, come in Turchia. E’ un popolo che vive di ricordi, incapace di prefigurarsi come omogeneo. A gruppi convive, seppur in una grande libertà, ma che da tale diventa poi menefreghismo quando si tratta di trovare coesione in un progetto comune. Perché riaffiorano le differenti tradizioni, le differenti culture in cui questi greci moderni affondano le radici non storiche, ma quelle della memoria. Non a caso ci sono i greci di Turchia, i greci d’Ellesponto, i greci di Russia, i greci d’Albania, di Bulgaria e tanti, tanti altri. I greci di Siria, i greci d'Egitto, quelli dìEtiopia, quelli di Israele ..... Fratelli in tragedia, fratelli nel dolore, al pari di chi qui sempre è rimasto ed ha subito le dominazioni. Ma ciascuno con una storia diversa da raccontare.

Anche geograficamente la Grecia ricorda il suo popolo. Di fatto è un grande arcipelago con una unica, seppur ingombrante, propaggine peninsulare. Ma è nelle 167 isole abitate, cos' come sulle montagne, che esistono altrettante piccole comunità, per molti aspetti autonome. Autonome come cultura, come tradizioni, come abitudini, come vita quotidiana, come rapporti con il continente. Autonome per la propria sopravvivenza e modo di interpretare il possibile futuro, tanto che, se potessero, manderebbero ciascuna un proprio rappresentante in parlamento. Perché il greco, di natura è divenuto un personaggio che confida unicamente nei vincoli della propria ristretta cominità, spesso limitata all’ambito stesso della famiglia. D’altronde la storia certo invoglia a questo atteggiamento, specie la loro. Molti dei greci di Atene hanno la famiglia, la casa dei “vecchi” sull’isola e là tornano per ogni festa, per ogni commemorazione (pensate che addirittura in occasione delle elezioni, qui si vota nel comune di nascita per cui ogni volta … è un esodo interno) per ritrovare quelle radici che di fatto non trovano nella capitale, malamente sopportata se non per le esigenze di lavoro. E la diaspora di fatto non si è mai interrotta perché da sempre i figli vanno a studiare all’estero. Da sempre, in tanti vanno a lavorare all’estero. Lontani da un paese dolorosamente amato e tristemente odiato. Amato perché rappresenta la vecchia madre, odiato perché incapace di offrire tutto quanto fuori si trova. E si è preferito perpetuare questa usanza, come se fosse un destino ineluttabile. Ancora oggi, complici anche leggi e regolamenti per i quali all’università non è facile entrarvi per i pochi posti disponibili . Ma non sono pochi i posti disponibili per una scelta demografica o sociale, perché tanto è inutile avere un eccesso di medici o di ingegneri ai quali poi non saper cosa far fare, quanto per una incapacità a gestire qualcosa che sia una comunità che sia più grande di una isola. E allora si preferisce che i risparmi delle famiglie vadano all’estero, non per conclamata impossibilità, ma per incapacità a capire come funziona uno stato, a capire quali siano i diritti e quali i doveri in seno ad una comunità allargata. E come l'università, anche le altre istituzioni restano a misura di piccola comunità,  non crescono.  Una comunità, quella dello stato, che non può avere le stesse regole di una città o le stesse regole di una comunità isolana. E così lo stato di fatto è nato sulla carta, geografica e politica, ma non nella tradizione, nella cultura, nella coscienza sociale, né tanto meno in quella individuale. Ecco perché la Grecia è una invenzione dell’Europa moderna. Una Europa che però oggi non può arrogarsi il diritto di farne una terra di schiavi, anche se i greci sembrano talmente abituati alla sofferenza, a farsi comandare, a disperdersi per il mondo, a chiudersi nelle loro piccole comunità isolane che quasi quasi, forse ci riesce. Qui sono in pochi ad aver capito. Solo quelli che già sono nella miseria. Ai quali entro quest’anno molti se ne aggiungeranno. Ma non sperate di assistere a manifestazioni oceaniche. Secondo voi cosa pensate che facciano, che prendano tutti il traghetto per venire in piazza? Pensate che siano tutti d’accordo su certe richieste? Anche ribellarsi è difficile in questo arcipelago.

Mi fanno ridere allora gli appelli cultural-umanitari che leggo. A chi sono rivolti? A chi servono? La Grecia dovrà, forse, approfittare di questa occasione se vuole diventare uno stato. La ricchezza culturale tanto evocata come eredità del passato, da tempo, oramai, non paga più nemmeno il pane.  Ma, una strada la Grecia ce l'ha,  inseguendo un cammino diverso a quello che stanno adottando i suoi politici che oggi, addirittura, invocherebbero un governo tecnico “all’italiana”, dimenticando che qui non c’è industria, non vi è senso né etico né sindacale del lavoro, non vi è coscienza di cosa sia una società allargata. Non può averla, con un governo legittimato a parlare solo con troika e partiti, ma non per arroganza, perché il popolo stesso lo ha delegato, scaricandosi in ciò la coscienza, salvo poi, interpretar la legge come facevano al tempo dei turchi, tramite le vie traverse, dell’arrangiamento, di quel sopravvivere che non produce né coscienza né progresso. E chi può, ovviamente ne approfitta, ma non per cattiveria, ma per la cultura dell’essere rimasti sottomessi per secoli che ha, inevitabilmente, portato a questo atteggiamento. Spero mi legga qualche conoscente fra i tanti che ho in questa terra dove abito. Spero mi legga e si imbestialisca, ma che ciò almeno possa servire a scuotere l’apatia servile di qualcuno. Esiste solo il gran blasone dell’antica cultura che oramai non serve più. Non porta più nemmeno turismo tanto i servizi offerti sono indecenti. Esiste solo la solidarietà del vicino di casa, quella del parente sull’isola, esistono cioè tutti quei rimedi consolatori che servono unicamente a procrastinare all’infinito una disfatta.

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Esca la Grecia dall’eurozona. Esca, di corsa. Esca, prima che se la comprino pietra dopo pietra. La sofferenza sarà uguale, non peggiore di quella che l’aspetta con un debito che spaventerebbe stati ben più solidi. Ma almeno lo farà per sé, rispondendo dunque a quella domanda che la storia ha lasciato in sospeso, facendoci sapere se vuole essere stato o una federazione di città, o un arcipelago di isole e villaggi. Almeno, per la prima volta nella sua storia, dimostrerà al mondo che può avere dignità di esistere come stato senza bisogno di quell’assistenzialismo politico ed economico che è stato elargito impedendone la crescita e la maturità sociali. Facile a dirsi diranno i più. Certo che no, ma è l’unica via rimasta. Una via alla quale resiste ancora chi ha da perdere qualcosa, chi ancora non ha portato all’estero i propri averi, chi ha ancora qui qualche privilegio. Ma sono sempre più isolati ed alla fine, quando avranno messo la maggior parte della popolazione nelle condizioni di vivere del proprio orticello, chi pagherà dunque il debito se non loro? Non hanno strada anch’essi. E lo sanno. Come lo sa l’attuale capo del governo (anch’egli rampollo di buona famiglia, laureatosi in USA, che vede nella Grecia la terra delle tradizioni da conservare, il nido e non uno stato da far crescere, visto che dal 2002 è stato presidente della Banca Nazionale di Grecia e nulla ha fatto per impedirne lo sfacelo, se non collaborare come l’italiano Monti, con la Goldman Sachs, per la quale ha contribuito a far “tornare i conti”, ovvero a falsificarli, affinché la Grecia accedesse all’eurozona)

Io abito qui e non ho voglia di andarmene, anche se, in teoria, per me potrebbe essere più facile che non per altri. Mi piace la gente che conosco, il mio quartiere, i posti che frequento. Conosco lo smisurato orgoglio di questa gente, l’abitudine ad essere assistiti. Per molti è accaduto dal primo giorno che hanno fatto ritorno dalla diaspora. Molti hanno trovato solo un posto vuoto, che hanno però piano piano riempito, complice la tolleranza per questa multiforme massa di rifugiati che arrivava. Molti rimpiangono i posti dove erano nati, i posti che delle loro famiglie, posti che non si chiaman Grecia, pur essendo e sentendosi greci, perché si sa, da emigrati, si conservano ancora più saldamente i legami con la terra che fu origine una volta, anche se mai vista. Anche se ogni volta sembra che ciascuno parli di una Grecia diversa. La terra del padre, o della madre, o del nonno. Ma tutto ciò non si è trasformato negli anni in coesione sociale. La chiesa stessa che ha sempre avuto un ruolo enorme nel tenere le fila tra i mille rivoli di grecità sparsi per il mondo, oggi stenta, travolta anch’essa dai soliti indecenti scandali. Ancora onorata di privilegi che solo per il fatto di esser chiesa dovrebbe rifuggire, ma, figuriamoci. Qui ancora la domenica chi va a messa trova anche indicazioni politiche, autorizzate perché la Grecia almeno nella costituzione non è stato laico; non poteva mettere in disparte la chiesa, l’unica che ha saputo resistere alle bufere delle dominazioni e che quindi oggi si erge a difensore dell’identità perché, è vero, piaccia o no, questo è stato secoli fa il suo ruolo storico.

E allora smettiamo di scrivere fesserie. Smettiamo di difendere un sogno. Specie gli intellettuali, che stanno cercando solo di difender l’archeologia oltre al proprio ego. Banchieri e investitori ammettetelo: avete sbagliato. Popolo dell’arcipelago, hai sbagliato, non era il paese dei balocchi né della cuccagna questo.

Che la Grecia abbia dunque la sua opportunità di diventare stato se lo vuole. Ma non, ancora una volta, con le regole, i compiti e le imposizioni della comunità internazionale. Se lo vuole. Se la sua gente lo vuole. Altrimenti abbia il coraggio di chiamarsi arcipelago coloniale, diventi protettorato di qualche grande ed abbia l’umiltà di riconoscere gli sforzi altrui: inizi a chiamare il Fyrom con il suo nome, Repubblica di Macedonia, inizi a chiamare Istanbul con il suo nome e non Costantinopoli (come si continua a fare in parlamento e nei telegiornali) ed abbia rispetto di chi Stato sta cercando di diventare o di consolidarsi. E la finisca di piangersi addosso per quanto è stato, non ha certo la coscienza candida per farlo, per come allegramente ha speso in modo dissennato quanto di suo non era, alla faccia della povertà che l’attanagliava non più di cinquant’anni fa. E il dipendente, l’ultimo in graduatoria, non si senta meno colpevole del grande dirigente o del parlamentare, il perché lo sa perfettamente, per quanto agli altri ha sempre delegato il senso del dovere. Oggi stesso non sta dimostrando una gran dignità in quanto sta accadendo. Oggi non si può più cadere dalle nuvole dicendo: io non sapevo. Oggi, dopo due anni di feroce recessione, non si può più invocare la colpa altrui. Avrà ben di che piangere su ciò che l’attende. Per diventare stato occorre fatica ma soprattutto la volontà di un senso civico e sociale che è più vasto della famiglia, più vasto del villaggio, più vasto dell’isoletta. Quelli sono i punti di partenza poi l’orizzonte, forse, potrà divenire più vasto, per un futuro che non sia quello di un nuovo arcipelago gulag.


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COMMENTI (1)

Da nik
Inviato il 12 febbraio a 14:47
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La Grecia esiste! e ci sara per sempre... resisteremo fino ala fine... La revolutione e'cominciata brutti figli di puta