La Grecia è tornata in recessione. Dopo un lieve aumento del prodotto interno lordo (PIL) nel secondo trimestre del 2015 (più 0,2 per cento), la crescita del paese è tornata negativa nei due trimestri successivi: tecnicamente si parla di recessione quando l’andamento del prodotto interno lordo di un paese è negativo per due trimestri consecutivi. In Grecia negli ultimi tre mesi del 2015 il PIL è diminuito dello 0,6 per cento, e nel precedente trimestre era calato dell’1,4 per cento. Su base annua il PIL della Grecia è diminuito dell’1,9. Ieri il capo economista del Fondo Monetario Internazionale, Poul Thomsen, ha detto che senza un piano realistico per la sostenibilità del debito della Grecia (che il primo ministro Alexis Tsipras richiede da tempo) «presto i timori dell’uscita della Grecia dalla zona euro si riaffacceranno».
Oggi ad Atene è prevista una grande manifestazione anti-austerità. In mattinata davanti al ministero dell’Agricoltura si sono già riuniti centinaia di agricoltori – provenienti soprattutto da Creta ma anche dal resto del paese – e sono in corso scontri con la polizia in tenuta antisommossa. La giornalista Helena Smith, inviata del Guardian ad Atene, ha scritto che l’area esterna al ministero «assomiglia a una zona di guerra». Gli agricoltori hanno lanciato pietre e pomodori all’entrata del ministero e hanno incendiato cassonetti; la polizia ha risposto con gas lacrimogeni. Ci sono stati anche degli arresti. La polizia ha formato dei posti di blocco per limitare l’entrata in città di trattori e altri mezzi.
In linea generale, la recessione si verifica quando la capacità produttiva di un paese è inferiore a quella che lo stesso potrebbe avere usando tutti i propri fattori produttivi. La recessione è quindi l’opposto della crescita economica, cioè allo sviluppo di un paese in diversi settori con aumento della ricchezza, dei consumi, della produzione di beni e di servizi. Gli effetti di un periodo di recessione possono essere tanti e diversi: molto dipende da come è strutturata l’economia del paese che si ritrova in questa condizione. Un periodo di recessione può quindi avere diversi livelli di gravità, che naturalmente influenzano anche le possibilità di uscirne bene e in tempi rapidi. Tra le conseguenze possono esserci, per esempio, un ulteriore calo dell’occupazione legato alla minore produzione, una sfiducia più forte sui mercati finanziari e quindi meno investimenti e un aumento del costo della vita.
Per la Grecia la situazione è molto complicata. Il Guardian scrive che quello che sta succedendo «mostra il danno subito dalla Grecia durante il lungo negoziato tra il governo di Atene e i suoi creditori lo scorso anno». In questa fase delle trattative, il governo di Alexis Tsipras – che si trova tra le altre cose a dover gestire la cosiddetta “crisi dei migranti” – ha dimostrato grande disponibilità alla cooperazione per non rischiare, come spesso ha ribadito, un’interruzione degli aiuti internazionali e un’uscita del paese dalla zona euro. Nelle prossime settimane dovrà approvare la riforma delle pensioni, che è una delle riforme più attese dai creditori della Grecia (Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, Unione Europea).
La riforma è il prerequisito per la prima revisione che la Grecia deve superare per ottenere gli 86 miliardi di euro del piano di aiuti concordato lo scorso agosto dopo sei mesi di intense e complicate trattative e, soprattutto, per tenere aperta la possibilità di una rinegoziazione del suo enorme debito pubblico: cioè la possibilità di restituire meno soldi e in tempi differiti. Lo scorso 15 agosto i ministri delle Finanze dei paese membri dell’eurozona avevano approvato a Bruxelles il nuovo piano di salvataggio per la Grecia, che prevedeva un pacchetto di aiuti di 86 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Il piano era stato approvato in cambio di una serie di misure adottate dal governo greco, tra cui: aumenti di tasse, tagli di spese e, appunto, riforma delle pensioni.
Il documento con la riforma delle pensioni inviato a Bruxelles dal governo della Grecia prevede la fusione dei sei principali fondi pensionistici delle varie categorie in un unico fondo e tagli alle pensioni future, di chi cioè lascia il lavoro a partire da quest’anno: i tagli dovrebbero oscillare tra il 15 per cento (per le pensioni più basse ma comunque superiori ai 750 euro mensili) e il 30 per cento (per le pensioni più alte). Vengono fissati inoltre dei limiti mensili massimi: 2.300 euro per le pensioni singole (ora è di 2.700 euro) e 3.000 euro per chi accumula più di una pensione (attualmente è a 3.680), e viene poi fissato un limite mensile minimo di 384 euro al mese (il resto dipenderà dai contributi). La riforma proposta introduce infine dei contributi previdenziali più elevati: un punto percentuale per i datori di lavoro e 0,5 punti percentuali per i dipendenti. Gli agricoltori protestano contro l’aumento previsto delle loro aliquote contributive (saranno triplicate). Il governo ha risposto che gli agricoltori hanno ricevuto negli anni molte sovvenzioni statali e che la riforma è necessaria per garantire le pensioni future. Tsipras si è dimostrato disponibile alla discussione per modificare parti della riforma: le sue aperture sono state tuttavia respinte.
Fonte: Il Post