La guerra dietro casa

Creato il 06 agosto 2012 da Bulgarone84

11 ottobre 2011 -Fincantieri E’ così che va, perché è così che deve andare. Sei lì, che fai la tua marcia quotidiana, verso il tuo quotidiano mucchietto d’impegni, sommersa dalla tua quotidiana dose di pensieri e poi: bum! La guerra. Ma non quella delle barricate, dei carri armati, delle bombe più o meno intelligenti. No. Bum! La guerra quella del lavoro. Per il lavoro. Per la propria casa, il proprio mutuo, la propria famiglia. La guerra di una società che sempre meno e sempre in meno arriva a fine mese e riesce a parlare di futuro. Se quello che descrive almeno uno degli aspetti di una guerra è la preoccupazione e la difesa della propria vita, l’istinto primordiale di autoconservazione, allora sì: questa è una guerra. Solo che scoppia ad un metro da te. E’ così dannatamente reale che non puoi più far finta d’aver letto e scordato la notizia, o visto e sentito il servizio in TV e poi cambiato canale. No, puoi solo, anzi devi, continuare a camminare, attraversare la tua quotidiana strada, tra una folla di operai dei quali, anche se in silenzio, riesci a sentire la disperazione, lucida e profonda che respiri assieme al fumo nero, quasi corporeo, di due bidoni della spazzatura in fiamme che bruciano in mezzo all’asfalto. 2 agosto 2012 - ILVA E’ così che va, perché è così che deve andare. Sei lì, che fai la tua marcia quotidiana, verso il tuo quotidiano mucchietto d’impegni, sommersa dalla tua quotidiana dose di pensieri e poi: bum! La guerra. E ci risiamo, pensi! Ma sbagli: perché la verità non è che “ci risiamo”. La verità è “ci siamo sempre dentro, non ci siamo mai mossi di lì, stiamo solo continuando a sprofondare”. Un giorno sono i cantieri, il giorno dopo sono i dipendenti delle mense aziendali, poi i precari della scuola, poi i ragazzi orfani di una prospettiva di lavoro perché vivono in un paese senza crescita, poi sono quelli della centrale del latte, poi 20000 personea livello nazionale del settore siderurgico del gruppo Riva. E poi? Poi toccherà a me, o se mi va di lusso, al mio vicino di casa. L’aria è tesa, la rabbia palpabile, così pure gli immancabili fumogeni. Tutto tranquillo. Il corteo sfila attraverso la città. Anche questa volta gli abitanti li senti vicini. Chi non cammina affianco a te, ti guarda comunque dalle finestre: in una galleria di sguardi dal preoccupato al solidale. Il sequestro degli stabilimenti per motivi ambientali e sanitari, arrivato proprio in queste settimane, sembra l’ennesima beffa. Lavoro o salute? Bum! Ma non è così: i lavoratori che rivendicano il loro posto di lavoro non sono dei masochisti: la domanda è mal posta. Non c’è, ne ci deve essere un aut aut tra due diritti fondamentali, come quello al lavoro e quello alla salute. Le due cose devono coesistere. Dovrebbero coesistere almeno. Da sempre, per giunta. C’è chi urla. Chi scuote la testa. Tanta gente comune che china il capo e sotto un’afa indescrivibile continua a stazionare nel corteo. Questo paese le gambe ce l’ha. Deve solo creare i modi e gli spazi per farle camminare. Che ci sia bisogno di cambiare, modificare, migliorare le aziende preesistenti, e di crearne di nuove è evidentemente un’esigenza non più rimandabile. Ma la strada dovrebbe essere quella della crescita, dell’apertura. Ed invece ti ritrovi a marciare di fianco a “tagli”, “esuberi”, “esodati”, “cassaintegrati”, “disoccupati”. Sempre di più. Sempre più spesso. C’è chi dice che urlare non serve a niente. Però se l’unica certezza che hai è quella di non essere ascoltato, che fai? Sussurri? Nelle piazze, per le strade. Si. Bum! E’ proprio una guerra. E come tutte le guerra, più che vinti e vincitori, riesci solo a vedere vittime. (Cvd)

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