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La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli: colpo di fulmine

Creato il 03 giugno 2012 da Saramarmifero

La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli: colpo di fulmineLa guerra è dichiarata è uno di quei film che ti fanno apprezzare l'utilità dei titoli di coda. Quando, col favore delle tenebre e il lembo di un fazzoletto annegato di lacrime tra le mani, si cercano di occultare i segni di devastazione che una visione strappalacrime ci ha lasciato sul viso. E come potevo sperare io, povera ingenua, di scampare alla consueta eruzione di singhiozzi di fronte alla storia di un neonato malato di tumore al cervello? Una trama che suona come un terribile avvertimento: lasciate ogni speranza o voi che guardate! Eppure, questo racconto miracoloso, scritto a quattro mani da Valérie Donzelli e dal suo ex compagno Jérémie Elkaïm, ispirato alla loro esperienza autobiografica con il figlio Gabriel, si dà il caso trabocchi speranza. Già il titolo è premonitore: non già tragica messinscena di una malattia incurabile, ma diario di bordo della feroce lotta che una giovane coppia ingaggia contro la morte. Commovente inno alla vita ed elettrizzante storia d'amore. 
La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli: colpo di fulmineLui è Roméo, lei Juliette. Incuranti del crisma di fatalità racchiuso nei loro nomi, si innamorano perdutamente l'uno dell'altra, e noi di loro. Peccato, che la lingua italiana, con tutto il suo sterminato repertorio lessicale da Dolce stil novo, abbia dimenticato di infondere nel verbo innamorarsi la sensazione di quel meraviglioso capitombolo che il falling in loveinglese e il tomber amoureux francese tratteggiano così bene. La caduta d'amore di Roméo e Juliette vive nella sferzante accelerazione di due cuori, e due ruote, che sfrecciano sui boulevards, dove baci e sorrisi si rincorrono precipitosi sullo schermo come in una proiezione a doppia velocità. É nel nido di una Parigi da Nouvelle Vague, nel déjà vu della corsa a perdifiato di Jules et Jim, che i due covano e nutrono il loro amore. Quand'ecco che, come concepito dalla vagina dipinta da Courbet ne L'origine du monde, arriva il bebé, Adam. E, come tutti i bebé, si tratta davvero di una specie di piccolo primo uomo, che con la sua tirannica smania di attenzioni e mammelle metterà a soqquadro l'idillio a due costruito dai non più soli genitori. La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli: colpo di fulmineMa le minuscole prove da affrontare in tempo di pace non hanno nulla a che vedere con le enormi sfide dei tempi di crisi. Presto si scopre che il piccolo è affetto da un cancro celebrale particolarmente aggressivo. Madre e padre si trovano catapultati nella trincea di un labirintico ospedale marsigliese, poi sul campo di battaglia di una clinica parigina. Non si scoraggiano, serrano i ranghi, arruolano al loro fianco amici e famigliari, e dichiarano guerra aperta alla malattia. Quasi fusi in una micidiale testuggine, saranno capaci di reggere gli urti più dolorosi, dalla via crucis delle operazioni al calvario di un amore che finisce. Insieme, perché l'unione fa la forza, ci insegna il film, che una didascalia finale dedica all'eroismo di chi ogni giorno lavora e resiste nel servizio sanitario pubblico francese. Ci voleva coraggio, per girare questo film, per paracadutarsi sul campo minato del cinema-malattia, dove ad ogni passo si rischia di saltare sulla mina della lacrima facile, con in più la trappola del ricatto emotivo da “true story” pronta a scattare. Pericolo sventato se però dietro alla cinepresa c'è Valérie Donzelli, fiore all'occhiello di una nuova cinematografia tutta al femminile, che nell'ultimo decennio ha visto in Francia ingrossare le proprie fila a dismisura. La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli: colpo di fulmineIl ricordo autobiografico di Valérie e Jérémie si trasfigura, grazie all'atto crativo, nell'universalità della finzione vissuta da Roméo e Juliette, vera e propria catarsi per i due interpreti, esorcismo liberatorio per lo spettatore. Impavida nella forma non meno che nel contenuto, la regista rivendica una formazione fai-da-te, faticosamente costruita in gioventù a colpi di selvagge scorpacciate cinefile, lontano dall'accademismo delle blasonate scuole di cinema. Come già per l'esordio La reine des pommes, la Donzelli raccoglie senza troppi convenevoli l'eredità espressiva della Nuovelle Vague, facendo propria la lezione di quella 'politica degli autori' che, molto prima della primavera sessantottina, voleva liberare il cinema dal diktat falsamente naturalistico che imprigionava i mestieranti del passato. Ma se nel suo primo lungometraggio si trattava di rappresentare le peripezie amorose di una giovane donna attraverso una teatralizzazione eccentrica e gioiosa, la gravità del soggetto 'cancro' sembrava precludere un ritorno a quelle atmosfere. E invece, per sdrammatizzare basta una semplice gaffe della pediatra (Béatrice de Staël), che al culmine di una scena carica di tensione si sbaglia e fa per alzare la cornetta di plastica di un telefono giocattolo. 

La guerra è dichiarata di Valérie Donzelli: colpo di fulmine

La reine des pommes, di Valérie Donzelli

É sul terreno di una regia tutt'altro che invisibile che la cineasta combatte un'altra guerra, questa volta metaforica, contro il cinema vile che non osa osare. A quel cinema, la cineasta risponde con una scarica di artifici formali, che a tratti le fanno perdere il controllo certo, senza tuttavia farla mai vacillare verso un virtuosismo compiaciuto e fine a se stesso: inserti di immagini al microscopio che testimoniano l'espandersi del tumore; piani sequenza semi-documentaristici degli interni ospedalieri, ripresi grazie alla maneggevole fotocamera digitale Canon “truccata” con obiettivi cinematografici; intervalli canori Magnolia-style, nonché una colonna sonora pasticciatissima che spazia da Vivaldiall'elettronica, e un piglio da commedia musicale che strizza l'occhio a Jacques Demy; un montaggio tagliuzzato dalla tecnica del jump-cut e impreziosito da rumori espressionisti. Si resuscita persino la tendina ad iris, quella che stacca da una scena all'altra oscurando lo schermo a cerchio, come nei vecchi film muti (tecnica già ripresa, guarda caso, da Godard in Fino all'ultimo respiro). Infine, la metafora visiva della corsa, con la quale lo script inscena la strategia bellica del “tutti per uno e uno per tutti” messa in atto dai genitori moschettieri. La corsa disarticolata e disperata di Juliette per i corridoi dell'ospedale, le sgommate in auto per raggiungere in tempo la stazione, la tenace maratona di entrambi su e giù lungo in sentieri di Buttes Chaumont. La Donzelli ha confessato di aver voluto girare un film d'azione. Un film fisico, dinamico. E la brava Valérie, quella guerra non solo l'ha dichiarata, ma l'ha vinta.
Note di distribuzione: Si deve ringraziare la caparbietà di Nanni Moretti - fresco fresco della bagarre suscitata quest'anno a Cannes dal suo "habemus polemicam", nel quale ha vestito i panni del presidente della giuria - e la sua piccola Sacher, se La guerra è dichiarata ha trovato uno spiraglio per accedere alle sale italiane.  Vive la France, viva Nanni Moretti

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