La guerra e il califfo di provincia

Creato il 16 febbraio 2015 da Albertocapece

Ieri ho sostenuto che l’occidente ha finito per credere alle sue stesse narrazioni e soprattutto alla creazione di una sorta di nemico globale, liquido, ubiquo, gestibile a piacere secondo le necessità esterne di rapina e caos o quelle interne di riduzione della democrazia. Questo nemico battezzato terrorismo è diventato col tempo una categoria dello spirito con il quale si vuole interpretare tutto ciò che accade nel mondo arabo o islamico e che è del tutto cieco di fronte al fenomeno dello jahidismo, compresa la sua ultima incarnazione, quella del califfato.

Così dopo aver distrutto o tentato di distruggere  i regimi laici come quello iracheno e siriano o quelli che in qualche modo erano di argine alle pulsioni transnazionali che emergono sempre più forti nel mondo arabo, dopo aver creato il caos per tenere sotto scacco le regioni petrolifere e impedire che comincino a contare qualcosa a livello internazionale, ci si accorge che mostri e mostriciattoli, creati e finanziati per qualche scopo, agiscono in base a logiche del tutto diverse rispetto a quelle propalate dai media mainstream ( vedi qui) e utili soprattutto per tenere a bada le opinioni pubbliche.

In tutto questo niente è più vuoto, inquietante e ahimè ridicolo del ruolo della politica italiana che pur con spazi minimi di autonomia riesce ugualmente a far danni: prima si è completamente appiattita su Gheddafi, che attraverso torture, prigioni e ammazzamenti tamponava  il rubinetto dell’immigrazione; poi si è lasciata trascinare mani e piedi nella guerra santa contro il dittatore di Tripoli in nome della cosiddetta primavera araba: infine adesso si accorge che  il califfato è arrivato a pochi chilometri da casa e prende minacce riferite di terza mano come pretesto per indossare l’elmo di Scipio e minacciare la guerra, senza parlare dei soliti cretini leghisti che su un loro sito gridano: “ora guerra, sterminiamoli tutti”. Bene che ci vadano, magari.

L’odore che emana da questo Paese si fa di giorno in giorno più nauseabondo tra deliri di razzismo esasperato e il tentativo di una classe politica incapace e screditata, decisa a manipolare la Costituzione, ubbidiente quanto nessuna mai alla troika, di deviare l’attenzione dei cittadini verso un pericolo esterno che essa stessa contribuisce ad attirare con assurde e irresponsabili dichiarazioni di belligeranza. E una tecnica vecchia quanto il mondo, dietro la quale si nascondono obiettivi secondari rispetto alla legittimità acquisita parlando di belligeranza: il primo e più immediato dei quali è far passare senza troppi malumori le gigantesche spese militari che il governo ha programmato, mentre il secondo è tentare questa carta per propiziare un passaggio morbido all’oligarchia. Grottesco, ma significativo è che per due anni abbiamo avuto Al Qaeda ben insediata sulle sponde libiche e ora invece che parte di quelle forze divise in molti rivoli paiono aver aderito al Califfato, si strilla e si parla di guerra senza nemmeno disturbarsi a interpellare il Parlamento. Che del resto è quello che è.

Con quale strategia poi? Con quali obiettivi? E con quali alleati? Roba da guappi di periferia che credono di stare a twittare allegramente col compagno di merende del nazareno. Non si rendono nemmeno conto di quanto costerebbe in termini di vite oltre che di soldi, un intervento in Libia per fare un beau geste peraltro del tutto inutile nell’attuale contesto. Né sembrano comprendere  come proprio questo aprirebbe la strada ad attentati, sul territorio nazionale e che anzi la sola minaccia, anche solo per fare il miles gloriosus, potrebbe favorirli. A meno che non sia proprio questo ciò che si vuole.

Non si può lasciar marcire una situazione per anni e poi all’improvviso venir fuori con la guerra. Non lo si può fare nemmeno nel caso  in cui il ritrovamento accidentale dell’elmo di Scipio, sia semplicemente un messaggio a gruppi come Alba Libica finora incerti se combattere il Califfato o trovare un accordo con il medesimo. Non si può farlo sapendo che le milizie Zintan, appoggiate dall’Egitto, le uniche con le quali presumibilmente si potrebbe fare un alleanza sono filorusse e dunque non nelle grazie della Nato. Non lo si può fare dicendo – dopo i canti di guerra – che verrebbero inviati 5000 uomini, quando già dieci volte di più avrebbero un compito dagli esiti incerti.

Non si può prendere in giro il Paese, facendo i califfi di provincia.


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