Giuseppe Personeni, notaio bergamasco, racconta la sua esperienza nella Grande Guerra in cui servì come ufficiale di complemento. L'autore è un osservatore attento, un uomo pragmatico, di buon senso. Queste sue qualità, si rileva, stentano a trovare corrispondenza in buona parte dell'organizzazione militare con cui entra in contatto. Vede tante storture e assurdità, perciò è molto critico e si affida all'arma dell'ironia, spesso di stampo manzoniano; non a caso la prima edizione dell'opera venne sequestrata nel 1922 dalle autorità. Ritiene, come afferma nella prefazione appunto alla prima edizione, di aver dipinto uno stato d'animo comune a molti combattenti fino al tracollo di Caporetto. Non risparmia, ad esempio, sarcasmi a danno della cavalleria, rea di essere stata troppo timida e cauta nelle prime settimane di combattimento:
" Era la prima del mondo... a Pinerolo! Ma sull'Isonzo credo abbia dimostrato di essere l'ultima".
Tramontata la speranza di una rapida vittoria, inizia ben presto la fase della guerra statica. Pur non essendo entusiasta del conflitto, ha voglia di combattere e orgoglio da vendere. In questa fase l'ironia è temperata da uno spirito agonistico che mal sopporta la stasi delle trincee:
" Cosa m'importava di morire? Ma volevo morire guardando in faccia il nemico, urlandogli addosso l'ira di cui mi sentivo invaso. Morire così come un insetto schiacciato sotto le ruote di un carro, non mi piaceva affatto".
Le offensive sull'Isonzo si susseguono, ora inconcludenti, ora fruttuose come nel caso della conquista di Gorizia; ma c'è sempre qualcosa a impedire che i successi diventino decisivi. Troppi sono gli errori nella conduzione delle operazioni. Personeni, come in parte aveva fatto un altro soldato e scrittore come Gadda, ne aveva individuati alcuni, trovando conferma nelle considerazioni espresse da qualche ufficiale austriaco prigioniero. Li enumera con cura: l'italiano attacca con impeto, ma si accontenta di piccole conquiste e perde slancio in fretta; quando si dovrebbero affondare i colpi, ecco che invece si rallenta permettendo al nemico di riprendersi. Inoltre, le artiglierie tirano disordinatamente, invece di scegliere bene alcuni bersagli da cannoneggiare in modo breve ma intenso. A ciò va unita la pessima gestione degli uomini, assillati dalle vacue disposizioni di certi comandanti sia in trincea, sia nei turni di riposo. Cadorna non è Napoleone, dice il memorialista; il generale Capello invece gode della sua stima. Una vera calamità sono certi ufficiali superiori che vogliono fregiarsi a tutti i costi di qualche successo; dalla loro ambizione nascono iniziative fallimentari, duramente pagate dai soldati. Ecco come commenta uno degli ordini che è costretto a far eseguire, in uno dei passi più intensi dell'opera, mandando in postazioni allo scoperto qualche fante:
" Non vedevo la convenienza di far uscire tre o quattro soldati per il bel gusto di vederli stramazzare".
Ma non c'è nulla da fare. In quella fase in cui le conquiste si misurano col metro, anche avanzare di dieci metri faceva salire un comandante nella considerazione delle alte sfere. Questa è la guerra che Personeni vede e allora non può che sentire ammirazione per gli umili fanti che sopportano docilmente le peggiori fatiche:
" La maggior parte di essi erano contadini, attaccati come l'edera al tronco, al focolare, al loro campo ... Si poteva fare di loro quello che si voleva: farne dei traditori o mandarli contenti al macello a seconda del solco che sapeva aprire nel loro cuore vergine il lavoratore che doveva seminarvi".
In loro il dovere significa sottomissione, sentita come un fatto naturale. L'inferiorità che provano li porta a tollerare ogni onere, fino a che si comincia a chiedere troppo anche a loro.
Il dovere di combattere per il proprio Paese, nota Personeni, dovrebbe vincolare tutti, non solo una categoria sociale, eppure chi ha appoggi importanti riesce a imboscarsi nelle retrovie. Davanti a tante iniquità e furberie, non gli resta che dichiararsi un idiota, dato che non capisce il senso di molte scelte che considera sbagliate, sciagurate, prive di razionalità. Frequenti sono le critiche all'organizzazione militare in cui tanti vogliono essenzialmente evitare le grane più che svolgere azioni efficaci. " Lei ragiona come un ufficiale di complemento!", si sente dire da un ufficiale effettivo preoccupato solo di evitare noie con i superiori e non di contribuire a rifornire di mezzi le truppe in prima linea. Anno dopo anno, il clima morale peggiora; la fibra del soldato sta per cedere davanti allo spettacolo dello stuolo di imboscati e graduati assenti dal fronte ma coperti di medaglie, mentre molti fanti stanchi aspettano da troppo tempo la licenza. Chi si sente maltrattato non ha voglia di dare nulla agli altri e non fa che accrescere il malumore tra i compagni, nota il memorialista. Il malessere aumenta mentre Personeni si occupa dell'istruzione di alcuni giovani; scartoffie e burocrazia, mancanza di materiale necessario, circolari contradditorie e nemici agguerriti portano al massimo il disagio nelle trincee. Si arriva a Caporetto e la viva descrizione di quei giorni chiude l'opera, lasciando molti interrogativi su come non sia stato possibile arginare un'offensiva sulla quale erano trapelate tante informazioni dettagliate.
La guerra vista da un idiota è un testo fresco, vivace, in cui il sale dell'ironia in parte alleggerisce il dramma; c'è anche un gustoso capitolo dedicato a un asino "portalettere" dell'esercito, quasi una piccola favola nell'orrore, con una rinnovata attenzione per gli ultimi, uomini o animali, decisivi nel portare il peso della guerra, come già aveva notato, ancora una volta, Carlo Gadda.
Personeni resta sempre dalla parte delle vittime di tanto miope sfruttamento e immagina già cosa faranno gli sbandati di Caporetto, riproponendo un atto d'accusa verso le gerarchie:
" ... oso ringraziare il cielo che mi ha risparmiato di assistere alla bestiale rivincita che una folla anonima di abbruttiti e di calpestati ha voluto prendersi contro tutte le insipienze di un'altra folla meno bestiale ma più pervertita che non ha saputo distinguere nel soldato lo spirito dal corpo, che lo ha tenuto sotto il giogo imperioso della sua superiorità materiale, ma che non ha saputo farle apprezzare la sua superiorità morale perché non l'aveva".
Chi è interessato al libro, la cui nuova edizione, realizzata per opera del Comitato "Pro Chiesa di Plave", è finalizzata alla raccolta di fondi per il restauro della chiesetta dell'ex cimitero militare italiano di Plava, può scrivere a prochiesadiplave@tiscali.it