Già vecchio di due anni, La Horde o The Horde, comunque vogliate chiamarlo. L’avete già visto. Tutti quanti, lo so.
Io, però, l’ho visto solo ieri sera.
Se vi state domandando il perché è presto detto: certi film me li perdo. Questione di volontà, che nulla ha a che fare con la razionalità.
Gemello di La Horde, perché mi sono perso anche lui, è The Road. Questo magari lo recupererò tra una decina d’anni.
Sono un cinefilo sì, ma non un maniaco del cinema. E poi, c’è sempre il fattore impegni.
Ovvero, negli ultimi tempi fatico a trovare due ore libere per guardarmi un film. Per cui ripiego su quelli da un’ora e mezza. Incredibile, ma vero.
La Horde dura 92 minuti, ma in realtà ci sono ben sei minuti di titoli di coda. Più che perfetto.
Poi c’è la questione Survival Blog, dalle cui atmosfere proprio non riesco a cavarmi fuori; e l’ennesima variante innestata su zombata-orgia di superstiti insanguinati fino alle mutande è da non perdere.
Abbonda il sangue in La Horde. I muri ne sono affrescati. Sembra che gli ascensori debbano spalancarsi e vomitare liquido rosso. A ettolitri. Alla Mario Brega, la cui verve sembra essere ripresa da un personaggio panzuto.
Così stamattina mi sveglio, sopravvivo all’assalto di ben due visite inattese, esco, prendo possesso della mia work station, me ne fotto di tutto quello che ho da fare e mi collego su IMDb. Digito La Horde e il primo risultato che il sito mi propone è Il Mucchio Selvaggio (1969). Ok, ci può anche stare. A IMDb piace l’ironia.
Digito The Horde e stavolta esce L’Uomo che sussurrava ai Cavalli (1998).
Così, a occhio, direi che IMDb necessita di implementare la funzione search.
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Le Voci della Rete
Contrariamente alle mie abitudini, anziché attaccare a scrivere del film dopo la visione, ho navigato in cerca di vecchie recensioni. Ne ho trovate di fantasiose ed epiche, esaltate e composte da migliaia di parole. Quasi tutte si soffermano sul dettaglio denti degli zombie.
Gli zombie di La Horde sono zannuti. Le inquadrature si stringono sulle bocche, fin dall’inizio, quando spunta il primo zombie, muscoloso e incappucciato, con la bocca (e il morso) libera.
Dicono sia la fame atavica. Mah…
Ok, sarà questione di trucco. Ma non capisco tutta questa esaltazione. Dov’è la vera rivoluzione dello zombie affamato?
Che poi, è sempre “colpa” di Romero: lo zombie ha davvero fame, o la sua è solo un ricordo innestato nella ghiandola pineale?
Superata la masturbazione della fame atavica rappresentata, secondo tutti, in modo sublime, poi si passa a magnificare i personaggi. Uno fra tutti, il poliziotto che sembra uscito dalla banda di Romanzo Criminale e il reduce vecchio, tipo Mario Brega, coi suoi siparietti comico-romantici, in special modo quando si mette a rimembrare le tette della sua defunta signora, che le arrivavano alle ginocchia. Una con la quale non era il caso di scherzare…
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Vitalità e Morti Viventi
La Horde forse conferma la vitalità del cinema francese rispetto a quello italiano. E ‘sti cazzi, non ce lo aggiungete?
Anche lo stato comatoso è più vitale del cinema italiano, tutto impiegati statali e psicodrammi d’attualità.
La perplessità di questo film è che la trama appare poco più che una scusa per inscenare il canovaccio dei morti viventi.
Si inizia spiazzando, o forse per contrappasso, in un cimitero. Lì è finita la storia di un poliziotto. Da quella tomba, quella precisa mattina, non si torna indietro. Lasciatemi aggiungere un forse, alla luce dei rapidi sviluppi.
Sta di fatto che i colleghi del defunto si recano, passamontagna e pistola, in un palazzone della periferia di Parigi per punire i responsabili, una banda composta da nigeriani iper-cazzuti, uno zingaro (che s’incazza se lo chiamate così) che assomiglia a Harvey Keitel, e altri figuri poco raccomandabili.
Pochi minuti, il tempo di far capire che tutti i personaggi, sia poliziotti che delinquenti, sono sul filo del rasoio della moralità e arriva l’outbreak.
Il primo morto ammazzato si rialza e comincia a uccidere.
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Sangue
Zombie che in La Horde sono la fusione letale tra infetti e morti viventi. Sono veloci, affamati, e non li butti giù neanche con le cannonate.
Cominicia ad abbondare il sangue.
L’idea è che ci si trova intrappolati in un palazzone di quindici piani, all’ultimo piano, e che tutta la città, forse il mondo, si riempie di zombie famelici. L’escalation è vertiginosa, confermata dalla visione inquietante della città, dal balcone del palazzo, illuminata dai lampi delle esplosioni. Il problema infezione, quindi, non appartiene soltanto al piccolo gruppo di sopravvissuti.
Di pretesto in pretesto, poliziotti e criminali uniscono le forze per poter fuggire. Cosa difficile, viste le decine di creature voraci che si sono addensate, dal nulla, ai piedi dell’edificio e che premono per entrare.
Ma non è importante né fondamentale chiedersi il perché. L’ideale è farsi prendere non tanto dall’atmosfera che, a dire il vero, non è che sia contagiosa, ma dai colori.
Sì, a differenza di tutti gli altri, a me della fame atavica degli zombie non me ne frega granché. I dentoni non mi hanno impressionato più di tanto.
Molto, invece, ho apprezzato i corridoi bui, le trombe delle scale dalle quali salgono urla diaboliche, e gli schizzi abbondanti ovunque, che pare di essere finiti in uno dei sottolivelli di Doom 3, uno di quelli dov’è scoppiato il casino sul serio.
C’è sangue dappertutto. Facile, quindi, parteggiare per quei personaggi, come René, il vecchio reduce di non so quale guerra, che vuole trascorrere le sue ultime ore abbandonandosi al massacro totale, riverniciandosi di rosso.
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Fight
Botte da orbi. Gli zombie sono ultra-tosti. Cioè devi essere veramente un figlio di puttana per riuscire a sopraffarli e a non farti mordere. Non credo La Horde abbia eguali in quanto a sequenze di lotta tra umani e zombie, tali e intense da rivaleggiare con Van Damme. Gli zombie vengono sforacchiati dai proiettili, picchiati coi calci delle pistole, presi a pugni, calci, gli vengono spezzate le ossa e il collo e vengono schiacciati buttando loro addosso mobili pensili e frigoriferi. Ok, questa è guerra.
Siparietti comici di René a parte, gli altri personaggi, come la loro storia sono rapidi e inconsistenti come un battito d’ali d’un colibrì. I protagonisti, veloci e inspiegabili, restano loro: i morti.
Il mondo finisce in una sola notte, i suoi rumori sostituiti da grida affamate. Non c’è spazio per nessuno, tranne che per raddrizzare gli ultimi torti subiti. Ma è tutto inutile, a questo punto.
Insomma, è divertente. E non ci si può aspettare nulla di più, o di meno.
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