Molte ed antiche sono le leggende ed i racconti sui fantasmi che infesterebbero il piccolo borgo medievale di Erice, ed invero la piccola cittadina che spesso sembra dissolversi tra le fitte nebbie, in tutto appare come la cornice ideale per lo scenario di vecchie e dimenticate storie di fantasmi. Quella a cui qui si vuole fare riferimento riguarda la storia, non molto conosciuta, di un fantasma che ancora oggi avrebbe la sua dimora all’interno delle antiche mura della città della vetta, nota ai più come il fantasma della cosiddetta Bellina di Erice.
La Bellina sarebbe il fantasma di una fanciulla bellissima, vissuta probabilmente intorno al XIII secolo ad Erice, la cui inquietante presenza infesterebbe le case abbandonate dell’antica cittadina del già monte San Giuliano.
La leggenda narra che la Bellina spesso si affaccerebbe dalle finestre delle stamberghe ericine per attirare a sé i malcapitati passanti che, accorsi quasi in preda ad un invasamento per quell’irresistibile richiamo femmineo, nello stesso momento in cui si trovino al suo cospetto farebbero la raccapricciante esperienza di vederla tramutare in un’orrenda biscia nera.
Giuseppe Pitrè, in uno dei suoi tanti libri sulle leggende popolari siciliane, così descrive la terribile scena della trasformazione:
“…allunga le gote, allarga il mento e la fronte sì da empire il vano della finestra; e gli occhi, pur ora sì belli, diventan lividi e lucion di fiamme, rivolgendosi a destra e a manca quasi pendolo d’orologio”.
Si dice della fanciulla che in vita fu la Bellina di Erice, un’incantevole ragazza di nobile casato, dai lunghi capelli lisci e neri; una vergine dai lineamenti aggraziati ed eterei, di cui tutti si invaghivano già alla sola prima vista.
La leggenda vuole che rifiutasse senza esclusione ognuno dei suoi corteggiatori e che restasse a lungo affacciata dalla finestra della sua casa a scrutare il mare oltre l’orizzonte, quasi fosse d’un altro mondo. Qualcuno disse che restasse lì pensosa, affacciata sul davanzale della sua finestra, in attesa dell’unico ragazzo di cui solamente si era innamorata, un soldato partito per una guerra di ventura da cui non fece più ritorno. Il ragazzo, che la conobbe prima di partire, le fece in dono un anello con il quale voleva prometterla in matrimonio. La bella di Erice, che tanto sperava nel suo ritorno, un giorno fu avvicinata da un barone che se ne innamorò subito; lei lo respinse senza remore ed il barone si rivolse allora ad uno mago per riuscire così ad averla con un incantesimo. Il barone riuscì con un sotterfugio ad impadronirsi dell’anello di fidanzamento della Bellina, che da quel momento non faceva altro che cercare e cercare invano. L’anello pervenne nelle mani del mago e fu da questi maledetto, divenendo l’oggetto del ricatto del barone, che dandole un appuntamento promise alla Bellina di restituirglielo in cambio di un solo bacio. La ragazza che una sera andò all’appuntamento, rifiutando ogni lusinga del barone chiese solo di riavere il suo anello, il barone allora stizzito gettò l’anello in un impenetrabile cespuglio di rovi e se ne andò. La Bellina disperata cominciò a cercare tra i rovi e quando le parve di vederlo, allungando una mano si punse con una spina, scatenando in questo modo l’incantesimo che la fece trasformare in una biscia.
Da allora della Bellina si dice che si aggiri tra le case abbandonate ed i rovi, proprio come i serpenti, condannata per l’eternità ad attirare a sé come l’oggetto di un desiderio impossibile tutti gli uomini che in vita aveva rifiutato.
Questa curiosa leggenda sul fantasma di una bellissima donna ericina, sembra riprendere l’antica tradizione popolare secondo cui ad Erice ci sarebbero le donne più belle della Sicilia, da cui il detto per cui: “cu voli Sali vaja a Trapani, cu voli beddi vaja a lu Munti.” Vero o no che sia il detto, è in ogni caso un fatto che proprio ad Erice nell’antichità vi era un tempio dedicato al culto della dea che per antonomasia incarnava la bellezza ed ancora oggi esprime l’ideale sacro dell’amore, la Venere Ericina.
Sempre secondo quell’antica credenza popolare siciliana di cui si diceva, le donne ericine, tanto belle quanto brutte, sarebbero destinate come le vittime di un perfido incantesimo, per una sorta di legge del contrappasso, a perdere tutta la loro bellezza una volta discese da quel fatato “monte” che diede loro i natali.
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