La leggenda del santo bevitore (Roth)

Creato il 13 marzo 2015 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Solo pochi giorni fa ricordavo la mia difficoltà nella lettura dei racconti sciolti e della narrazione breve ed essenziale in genere. Purtroppo, nel recensire La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth (1894-1939), mi devo ripetere: anche in questo libricino, della cui brevità ho approfittato per accostarmi ad un autore che ancora non conoscevo, ho trovato l'amarezza di una narrativa che, pur sciolta e di valore molto alto, nonché ricca di spunti di riflessione sociale e storica, si spegne non appena inizia a girare.
La leggenda del santo bevitore ha come protagonista il senzatetto Andreas Kartak, che, dopo un periodo di reclusione, dorme sotto i ponti della Senna e viene improvvisamente beneficiato da una donazione di denaro da parte di un vecchio signore benestante, il quale vince la sua riluttanza ad accettare il denaro proponendogli di restituirlo, quando lo avesse avuto disponibile, attraverso una donazione a Ste Marie de Batignolles. Con il denaro ricevuto, Andreas si riassetta ed entra in un bistrot, iniziando a spenderlo nel suo vizio dell'alcol, ma ottenendo anche una proposta di lavoro che sembra avviare un percorso di riscatto dalla solitudine e dalla miseria: per Andreas inizia un brevissimo periodo di piccoli successi, anche grazie all'incontro fugace con Karoline, la sua vecchia fiamma, trova altro denaro in un portafogli economico comprato per conservare i primiguadagni e riallaccia i rapporti con un compagno di scuola divenuto calciatore di successo. Ma Andreas, come tutti i bevitori, ha una fame che solo essi possono provare, e il denaro, con le flebili possibilità di risalita che gli offre, esce dalle sue mani per essere scambiato con bicchieri di Pernod, fino a che l'alcol non si prende anche la sua vita.
Questo racconto, pubblicato lo stesso anno della morte dell'autore, è fortemente autobiografico: nel clima spersonalizzato di una grande città come tante negli anni dell'ascesa dei totalitarismi e della società di massa, Andreas è un uomo vittima del vizio, dell'indifferenza e della debolezza, che cerca una forma di sollievo nell'alienazione, nella perdita di coscienza e di quella consapevolezza che gli fa apparire persino Karoline, un tempo tanto bella e amata, come un segno del passare del tempo e della decadenza, ma è anche una sorta di prefigurazione del destino di Roth, anch'egli affetto dal vizio dall'alcolismo e destinato ad una morte in solitudine e del tutto diversa da quella serena che egli fa vivere al suo personaggio.
Ancora una volta un racconto interessante, intenso, ma, per i miei gusti narrativi, troppo breve. La lettura scorre veloce, senza risultare né moralista né semplicista, ma, anzi, evidenziando bene il pensiero di Andreas e l'inconsistenza del mondo che lo circonda, in cui persino l'unica presenza di buon cuore sembra più una personificazione di una fugace sorte che sorride che un reale interlocutore. Eppure il tutto si esaurisce con la rapidità con cui il racconto entra nel vivo, lasciandoci il dubbio su chi sia davvero questo Andreas, che cosa avrebbe potuto raccontarci. Sono quasi certa che questa sospensione sia programmatica e che, nelle intenzioni di Joseph Roth, volesse evidenziare proprio l'incomunicabilità e l'isolamento di tante persone come lui. Spero vivamente di poter apprezzare, in un prossimo futuro, anche i romanzi di questo autore, definito il pittore della decadenza dell'Impero asburgico.
C.M.

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