La leggenda della Caccia Selvaggia

Creato il 08 maggio 2014 da Mcnab75

La Caccia Selvaggia appartiene al folklore e al background mitologico di diversi popoli.
Per accorgersene basta fare un breve elenco dei vari nomi che essa assume, a secondo della latitudine in cui ci troviamo.
Wilde Hunt in Gran Bretagna.
Sluagh in Scozia.
Struggele in Svizzera.
Wutende heer in Germania.
Chasse Arthur in Francia.
Dziki Gon in Polonia.
Estantiga in Galizia.
In Italia assume un nome diverso a secondo della regione che ne conserva il ricordo. In Valsassina, per esempio, è la Kasa Selvadega, mentre in Piemonte è il Corteo dla Berta. E via elencando.
Stiamo però parlando di una manifestazione dai connotanti molto simili, al di là delle varie sfumature locali. La Caccia Selvaggia è un corte soprannaturale, composto generalmente da anime dannate, che si manifestano nella forma di cacciatori immortali, spesso accompagnati da belve altrettanto spaventose. A capo di questo corteo c’è un essere superiore, a volte identificato col Diavolo, più spesso con uno spirito o una creatura mitologica appartenente al folklore locale (vedi dopo).
Lo scopo della Caccia è quello di catturare i mortali che si trovano incautamente sul suo cammino, di ucciderli oppure di trascinare le loro anime nell’Aldilà. Come se non bastasse, l’apparizione della Caccia era quasi sempre foriera di sventure.

Pur essendo una leggenda nata nelle isole britanniche e – in contemporanea – in Germania, la Caccia è, come abbiamo già detto, presente in quasi tutte le tradizioni europee.
Le primissime occasioni in cui si ipotizzò l’esistenza di questo ferale corteo risalgono al culto di Wotan (Odino), che secondo le tradizioni teutoniche e scandinave era a capo della Caccia, a cavallo del suo mostruoso destriero a otto zampe, Sleipnir.
Con le migrazioni dei popoli e il fondersi di culture e credenze soprannaturali/religiose, la Wilde Hunt venne progressivamente adottata quasi fin giù, nel nostro Mediterraneo.
Del resto essa è una fortissima manifestazione del potere dell’ignoto, che in tempi antichi corrispondeva col periodo delle tenebre e con le terre non urbanizzate, là dove era meglio non avventurarsi dopo il calare del sole.

Sleipnir, il destriero di Wotan (Odino).

Non a caso il timore di imbattersi nei membri della Caccia era diffuso soprattutto nelle zone montane e impervie, oppure nelle selve oscure, dove le fiere erano padrone assolute delle misere strade tracciate dagli uomini, che di notte non garantivano né protezione né salvezza.
Pur trattandosi di cacciatori dannati, a volte infernali, essi rappresentavano soprattutto il lato più violento e incontrollabile della Natura, anche nella sua concezione sconosciuta e misteriosa (soprannaturale o, se preferite, paranormale).

In alcune sue varianti, la Caccia assumeva un significato sacro, pur non risultando mai particolarmente benevola nei confronti dei comuni mortali.
In questo aveva grande importanza il leader del corteo che, come abbiamo già detto, varia da tradizione a tradizione.
Dal Wotan scandinavo/germanico, passiamo per esempio a Re Artù (niente meno!), considerato il leader della caccia nella regione della Bretagna e in alcune aree della Francia.
Altrove invece il capo-caccia era un’entità decisamente malvagia e inquietante. Faccio riferimento a figure come Arawn o Gwyn ap Nudd, Dio degli Inferi della tradizione gallese o al Conte Arnau, un nobile non-morto della Catalogna, crudelissimo e orribile d’aspetto (il suo corpo è perennemente divorato dalle fiamme, come se fosse una sorta di Ghost Rider in versione tardo-medioevale).

In Danimarca la Caccia ha ben due versione: nella prima è guidata da un troll femmina, malvagio e brutale, nella seconda è invece condotta da un elfo anziano, abilissimo battitore.
In Irlanda, invece, la Caccia ha una deriva ancor più magica. Essa prende il nome di Fairy Cavalcade (Cavalcata Fatata) ed è composta da componenti del Piccolo Popolo. Non necessariamente amichevoli…

In Italia si fa soprattutto riferimento a un certo Re Beatrik, come capo-caccia. Questi non sarebbe altro che una sorta di alter-ego di Teodorico il Grande. La comparsa di Beatrik era accompagnata da latrati demoniaci, ululati, fuochi fatui e da un forte e gelido vento.

Secondo la tradizione c’erano ben pochi metodi per salvarsi dalla Caccia. Il più pratico era quello di… non incontrarla. Viceversa, occorre far ricorso al sale, offrendo al leader del corteo. In tal modo si dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) riuscire a scongiurare l’attacco dei suoi cavalieri e dei mastini infernali.

La Caccia appare in molte opere letterarie vecchie e nuove.
Personalmente ne ho fatto uso nel mio romanzo intitolato Imperial, divertendomi molto ad adattarla a una storia che – apparentemente – tratta il tema delle auto infernali.
A voi scoprire in che modo ho evocato la Caccia, rendendola funzionale alla trama che volevo raccontare…

Wilde Jagd – 1889 di Franz von Stuck.

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(A.G. – Follow me on Twitter)


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