Allora, dicevamo, i boschi e le foreste, circondavano il paese, ricco di numerose sorgenti e di giacimenti minerari, ancora da sfruttare. Non c'erano strade ma solo stretti sentieri, profumati di essenze di ogni tipo, ma polverosi e insicuri. Non c'erano i servizi igienici e l'acqua, nelle casupole fatte di mattoni crudi, un misto di fango e paglia, fatto essiccare al sole.
Però anche se mancavano le case nuove, le abitazioni, rispetto a quelle dei vicini villaggi, erano più spaziose e confortevoli. Gli abitanti erano in gran parte pastori e contadini, che trascorrevano lunghi periodi di tempo in campagna, coltivando i campi, ma soprattutto allevando bestiame, lontani dalle famiglie. E, proprio per questo motivo, essi erano taciturni e tristi, diffidenti, poco inclini al dialogo e alla socievolezza. Ma, fra i guspinesi c'erano alcuni abili artigiani. Essi sapevano costruire con grande maestria, carri e calessi per buoi e cavalli, sapevano lavorare i metalli come pochi, forgiare lame e fabbricare utensili, con una tecnica tramandata di padre in figlio, le cui origini si perdevano nella notte dei tempi.
Gli artigiani, al contrario dei pastori, erano dinamici e intraprendenti e ostentavano orgoglio e sicurezza. Proprio per queste qualità, nel villaggio, sia tra i pastori che tra gli artigiani, ben presto, si diffuse il benessere. Alle antiche tradizioni di fango e paglia, si sostituirono, lentamente le robuste case in granito, una pietra ricavata dalla misteriosa, magica collina, che domina il paese: il monte S. Margherita.
Un giorno, in un tiepido pomeriggio di primavera, camminavano sole solette nel fitto bosco. A tratti seguivano i sentieri tortuosi, incorniciati da mirti, corbezzoli, cisti e lentischi, a volte imboccavano gli angusti paesaggi che solo i cervi e i cinghiali, assai numerosi in quella zona, conoscevano alla perfezione. All'improvviso videro in lontananza, una forma umana, che si muoveva tra le querce secolari. Si nascondevano e appariva, ripetendo decine di volte lo strano atteggiamento, quasi stesse giocando a nascondino, ma con una velocità incredibile ed una leggerezza quasi aerea, che nulla aveva di materiale, di terreno. E tuttavia era chiaro che si trattava di un uomo. Era l'immagine di un giovane bellissimo. Non avevano visto niente di simile, di così magico. Mai un uomo reale così stupendo e affascinante, dal fisico così perfetto e armonioso. L'uomo, sembrava seguire i loro movimenti e sorridere. Il suo sguardo era intrigante, possessivo, ma al tempo stesso, dolce e gentile.
Entrambe, si innamorarono subito di quella figura diafana evanescente, che continuava a osservarle, a fissarle in modo piacevole, diverso, da quello che usavano gli altri uomini del villaggio. L'istinto di donna, per troppo tempo sopito, inibito dalla superbia, ebbe prima un sussulto, poi un risveglio potente, immediato e incontrollabile. Decisero quindi di seguirlo, con la speranza, che almeno una di loro, alla fine, sarebbe stata la prescelta. Non sapevano le incaute, di avere a che fare con una divinità, un dio dei boschi, malvagio e incantatore. Attraversarono più volte tutti i piccoli camminamenti della foresta, ma il bel giovane sembrava irraggiungibile. La distanza che le divideva da quell'essere misterioso, benchè loro affrettassero il passo, restava sempre invariata. Lui continuava a guardare e a sorridere, loro a corrergli dietro, travolte da un desiderio inarrestabile. Il sole era ormai tramontato, la sfera rossastra ora si trovava dietro il monte S. Margherita e l'inutile inseguimento continuava.
Senza che si rendessero conto, si ritrovarono nella pianura, nella più lontana periferia del villaggio. Qui dopo lo sforzo sovrumano, non avendo più energie, disorientate e stordite, caddero esauste e si addormentarono. Era ormai notte. L'indomani gli uomini del villaggio, trovarono due pietre, dalla forma strana, quasi umana, conficcate nel terreno, che sembrava stessero guardando il villaggio di Guspini. Il dio dei boschi aveva punito la presunzione delle ragazze e le aveva trasformate in pietra, perchè esse, miseri mortali avevano osato innamorarsi di lui. Da quel giorno i guspinesi chiamano queste pietre fitte: IS SENNOREDDAS. Ed oggi, curiosamente, quasi per uno strano gioco, il destino si è inventato una continuitè con la leggenda, un finale diverso: nei pressi dei due menhir, è sorta la splendida zona artigianale di Guspini. Il dio dei boschi aveva allontanato IS SENNOREDDAS, le figlie dell'artigiano, dal villaggio. Ora sono di nuovo vicine a noi, perchè gli artigiani si sono trasferiti da loro.
Tratto da http://www.guspini.net