La legislazione penale dell'emergenza in Italia, di Pasquale Troncone
Creato il 15 aprile 2013 da Roccobiondi
@rocco_biondi
Il libro analizza gli
aspetti giuridici di quello che accadde nel Mezzogiorno nel decennio
1860-1870 in cui si realizzò la cosiddetta unità d'Italia. Le
spinte ideali che portarono all'unità furono annullate dall'azione
condotta dal potere sabaudo. Per contenere la rivolta sociale contro
l'invasione, dai piemontesi furono usate leggi eccezionali
particolarmente repressive. Oltre la metà dell'esercito intervenne
nel Sud e diede vita ad iniziative arbitrarie. Venne ingaggiata una
lotta spietata e senza regole contro il brigantaggio.
Il fenomeno del
brigantaggio anche se ha profonde radici storiche, tuttavia nel
periodo postunitario assume una connotazione particolare. All'aspetto
di disagio sociale si aggiunge quello di rivolta politica contro i
nuovi modelli di governo imposti dal potere piemontese e contro la
cacciata dei sovrani borbonici. Il legittimismo borbonico ebbe anche
un attivo sostegno della Chiesa.
Nella legislazione vi è
una netta demarcazione normativa tra la figura del delinquente comune
e quella del brigante. Quest'ultimo assume una precisa connotazione
politica di vero e proprio partigiano
del deposto Sovrano, è un combattente legittimista. Anche se il
nuovo potere sabaudo ha interesse a far perdere al brigantaggio
qualsiasi caratteristica politica o ideologica e lo fa apparire come
semplice fenomeno delinquenziale. Questa mistificazione ebbe una sua
copertura pseudoscientifica con l'opera del medico Cesare Lombroso.
Lo Stato Unitario non
aveva fonti legislative di legittimazione. Questo vuoto legislativo
venne occupato dal potere militare. Quando i Piemontesi entrarono in
territorio napoletano nell'ottobre 1860, scrive Mack Smith, una delle
prime azioni del generale Cialdini fu di far fucilare sul posto ogni
contadino che fosse trovato in possesso di armi. L'onda montante
dello scontento e gli scontri armati divenuti sempre più frequenti
spinsero i piemontesi alla proclamazione dello stato
d'assedio militare. Risposta conseguente fu
che contro l'esercito piemontese si coalizzarono bande di briganti di
ispirazione legittimista, garibaldini delusi, ex soldati borbonici,
sbandati venuti fuori dalle carceri, e soprattutto contadini
profondamente delusi nella loro aspettativa promessa delle terre.
Il comando delle
operazioni militari, con sede in Torino, seguì un itinerario di
intervento tipico di uno stato di guerra, seppure mai dichiarato. La
legislazione non riuscì più a fare fronte al disordine pubblico,
lasciando il campo ad una indiscriminata azione repressiva, lontana
da qualsiasi garanzia legislativa.
Il Parlamento di Torino
nei primi mesi del 1862 tentò di riprendere la sua iniziativa di
centralità democratica ed istituì una Commissione d'inchiesta
dotata di ampi poteri, con il mandato di studiare le ragioni e lo
stato del brigantaggio e di additare gli opportuni rimedi. La
relazione finale della Commissione venne letta dal deputato tarantino
Giuseppe Massari, in seduta segreta alla Camera, il 3 maggio 1863 e
conteneva una concreta analisi delle cause che avevano portato al
brigantaggio. Venne anche proposto dalla Commissione un progetto di
legge composto da 29 articoli. Questo progetto non diventò mai legge
e al suo posto venne approvata una legge, proposta dal deputato
abruzzese Giuseppe Pica, composta di soli nove articoli, del tutto
difforme alle premesse dettate dalla commissione Massari.
Scrive l'autore Troncone,
professore presso l'Università di Napoli: «La
legge Pica raccolse tutti i possibili difetti che il progetto della
commissione Massari aveva ritenuto di evitare. Sul piano politico
rappresentava un cedimento al potere militare e l'impianto normativo
appariva come una sorta di ratifica legislativa per quanto l'esercito
aveva fino a quel momento attuato ed una sostanziale autorizzazione
preventiva per quanto riterrà di realizzare per il futuro. Sul piano
giuridico la legge si segnala per la obiettiva carenza di tutti i
caratteri della legalità costituzionale».
La pena prevista per i briganti che avessero opposto resistenza
armata era quella della fucilazione. Chi appoggiava in qualsiasi modo
l'azione dei briganti poteva essere condannato ai lavori forzati a
vita. Veniva anche istituito il domicilio coatto per gli oziosi, i
vagabondi, le persone sospette.
Con regio decreto venne
dichiarato in stato di brigantaggio quasi tutto il Mezzogiorno e
furono istituiti otto Tribunali militari speciali, che si aggiunsero
ai quattro già preesistenti.
Con la legge Pica si
realizzava una diretta e formale violazione del principio
di eguaglianza dei cittadini del Regno,
stabilito dall'art. 24 dell'allora vigente Statuto Albertino; quelle
norme infatti erano valide solo per una parte del territorio
italiano. Quei provvedimenti legislativi di emergenza inoltre
sospendevano di fatto sia norme di valore ordinario che disposizioni
costituzionali. Con l'istituzione dei Tribunali militari speciali
veniva introdotta una formale e pesante deroga dell'art. 71 dello
Statuto, che recitava: «Niuno
può essere distolto dai suoi giudici naturali. Non potranno essere
creati Tribunali o Commissioni straordinarie»
Il diritto di difesa veniva quasi totalmente annullato, il ministero
del difensore veniva esercitato da un ufficiale dell'esercito.
La legislazione per la
lotta al brigantaggio, varata nella seconda metà dell'800, contiene
un modello tipico di intervento che sarà più volte usato in futuro
nella lotta alla criminalità politica organizzata.
Pasquale Troncone, La
legislazione penale dell'emergenza in Italia,
Jovene Editore, Napoli 2001, pp. 256
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