La scrittrice americana di origine indiana Jhumpa Lahiri, premio Pulitzer per L‘interprete dei malanni, vive a Roma dal 2012. Autrice di L’omonimo e La moglie, da poco pubblicato con Guanda, Jhumpa Lahiri ha incontrato Melania Mazzucco. Ne è nato un dialogo, una reciproca intervista con un tema centrale: il viaggio.
Com’è cominciato questo viaggio in Italia? Cosa ti ha portato qui?
Jhmpa Lahiri
La lingua italiana che amo perdutamente e inspiegabilmente.
Sono venuta in Italia vent’anni fa, forse di più, sono stata a Firenze una settimana e mi ha colpito soprattutto la lingua. Per cui sono tornata in America e ho cominciato pian piano ad imparare questa lingua da lontano. Inutile dire che è stato un processo molto strano, molto frustrante. Venivo ogni tanto in Italia per una vacanza. Poi sono venuta a Roma nel 2003 per la prima volta. Ci sono voluti dieci anni per arrivare a stare qui. Sì, c’è questo amore linguistico che secondo me significa qualcos’altro oltre la lingua. E’ probabilmente una questione di appartenenza o di mancanza di appartenenza perché quando io vivo, scrivo, leggo in un’altra lingua; c’è una distanza tra me e la lingua. Questo ha segnato la mia vita fin dall’inizio. E poi volevo cambiare aria per un po’. Ho vissuto tutta la mia vita in America.
Melania Mazzucco
E’ il viaggio inverso a quello che ho cercato di fare io.
Jhmpa Lahiri
Tu sei romana. Io sono venuta qui, tu sei nata qui. Hai ambientato i tuoi romanzi sia a Roma, sia altrove. Sono curiosa e volevo chiederti quanto ti ispira Roma perché per me è una fonte di grande ispirazione. Mi affascinava da piccola, Roma antica, mi ha conquistato la città quando sono arrivata per la prima volta e poi c’è la lingua che m’ispira così tanto.
Melania Mazzucco
Per me è stato un po’ il contrario come per molti italiani della mia generazione e forse anche di adesso. Mi è sempre sembrato che l’Italia fosse un paese piccolo con una lingua meravigliosa che è il nostro tesoro, ma un po’ chiuso. Negli anni Ottanta, quando ho finito gli studi, mi sembrava un paese antico. La stessa mescolanza, l’apporto di altre civiltà, di razze, non c’era a Roma in quel momento e quindi volevo andare a cercare altrove, a Londra piuttosto che a Parigi, quello che mi sembrava fosse la modernità e il nostro destino. Parigi era la mia città dell’anima per la lingua francese dei miei libri. I romanzi libertini del Settecento mi sembravano le cose più intelligenti che fossero mai state scritte sull’amore, sui rapporti fra gli uomini e le donne. Pensavo in francese settecentesco e scrivevo un po’ in francese settecentesco. E volevo essere una scrittrice francese. Quindi sono andata a Parigi pensando di voler stare là.
Jhumpa Lahiri
Secondo te una lingua straniera per uno scrittore, una scrittrice, è come l’amante rispetto al marito?
Melania Mazzucco
Era una liberazione. Mi sentivo più libera scrivendo in un’altra lingua.
Jhumpa Lahiri
Anch’io. Ma è una cosa pericolosa.
Melania Mazzucco
Infatti, poi mi sono resa conto che quello che cercavo era la liberà dentro la parola e non avevo bisogno di andarla a cercare in un altro posto, dove ero esule in mezzo a tanti esuli. Un posto dove non conosci nessuno e vivi in mezzo a tanti sradicati che arrivano da tutto il mondo. Ho deciso che volevo scrivere in italiano, che era la mia ricchezza. In francese ero il frutto di tutto ciò che avevo letto e amato ma non ero capace di essere originale. Sono tornata e a quel punto ho iniziato la riconquista della mia città. Come molti romani non ero nata in centro, in mezzo alle bellezze che colpiscono chi viene da fuori. Ero una di quelle che in centro ci andava in metropolitana. Quindi non sentivo che questa città mi apparteneva veramente.
La tua storia Jhumpa è una storia di spaesamento, di dislocazione, di esilio, però anche di crescita in Una nuova terra. Uso il titolo italiano di una raccolta di racconti che in Italia è uscita nel 2008 e vorrei leggere l’epigrafe che hai scelto, tratta da Hawthorne:
“La natura umana, tale e quale una patata, si rifiuta di fiorire se piantata e ripiantata per un susseguirsi troppo lungo di generazioni nello stesso suolo eccessivamente sfruttato. I miei figli sono nati altrove e nella misura che la loro fortuna potrà dipendere da me, metteranno radici in una nuova terra”.
Jhumpa Lahiri
Sì e questo processo per me continua anche adesso perché quando qualcuno lascia il proprio paese apre la porta di una strada senza fine. Questa epigrafe rappresenta perfettamente, sia il mio progetto come scrittrice, sia il corso della mia vita. Tutto è connesso, i viaggi, ma anche la scrittura che è un’altra specie di spaesamento, un incontro con l’ignoto.
Melania Mazzucco
E’ un viaggio quando scrivi una storia, esci da te e inventi un universo. E’ strapparsi dal luogo in cui sei per andare altrove. E’ non sapere dove andare perché è la scrittura stessa che ti porta. Non c’è un biglietto di ritorno. Io non riesco mai a immaginare viaggio, vita e scrittura come cose diverse.
Jhumpa Lahiri
Per me ogni libro è come un paese da scoprire, da conquistare e poi abbandonare. Te ne vai perché devi andare avanti. Quindi continua il viaggio e ogni libro è una tappa.
Melania Mazzucco
Nei tuoi libri c’è l’esperienza della prima generazione, dell’arrivo nel luogo straniero. Nel vostro caso, arrivando dall’India, l’inglese era già un patrimonio acquisito. Poi c’è la seconda generazione che cerca di essere uguale e poi c’è la terza.
Jhumpa Lahiri
I miei genitori si sentono ancora adesso, cinquant’anni dopo che l’hanno lasciata, legati
Melania Mazzucco
E’ interessante parlare dei luoghi che scegliamo per le storie. Leggendo i tuoi libri ci sono sostanzialmente due mondi, l’India, il luogo d’origine, quasi sempre Calcutta, e dall’altra parte l’America, quella della costa est, delle cittadine universitarie, dei dormitori, oppure delle grandi periferie. Per noi lettori italiani c’è un effetto che tu forse non potevi immaginare: la parte indiana ci è abbastanza familiare, nonostante l’apparente esotismo. Le dinamiche famigliari sono affini, così come il caos delle città. Mentre invece ci è veramente estranea la vita nei sobborghi americani in cui ci si sposta in macchina, la solitudine di quelle case. Quindi c’è un curioso effetto di rovesciamento. Queste doppie ambientazioni sono l’anima di tutte le storie che hai scritto.
Jhumpa Lahiri
L’America è un paese singolare e io forse mi sento più a casa in Italia perché per certi versi è una cultura più vicina all’India. L’America è un paese che sta sempre crescendo e non ha un’identità fissa. Questo è il bello ma anche il problema perché crea un paese con un’identità molto fluida, instabile. Qualsiasi cosa può succedere. I luoghi per me sono sempre stati molto importanti. Siccome i miei genitori hanno sempre provato una fortissima nostalgia per l’India, questa nostalgia è presente anche in me fin da bambina. Loro cercavano un modo per ritornare ma è stato impossibile. Nei primi racconti ho provato ad “attingere” l’India per loro, perché volevo accontentarli. Poi ho cominciato ad ambientare i racconti in America e in quest’ultimo romanzo, La moglie, sono tornata a Calcutta. Però in questo momento vorrei ambientare un libro in nessun posto reale perché nell’ultimo libro mi sono sentita veramente costretta: ho dovuto creare, ricreare, evocare un luogo preciso che non conoscevo bene. Quindi ho dovuto lavorare e impegnarmi molto per renderlo credibile. E tu hai mai descritto un posto in cui non sei mai stata?
Melania Mazzucco
Non è necessario essere stati in un posto per scriverne, però bisogna possederlo e il mio
Jhumpa Lahiri
I tuoi libri sono spesso una specie di miscuglio tra ingredienti reali e invenzione. Come Vita in cui hai creato la storia della tua famiglia, la stessa cosa che io ho fatto in questo libro, La moglie. Com’è viaggiare tra realtà e immaginazione?
Norman Mailer, in una intervista sulla differenza tra la narrativa e la realtà dice una cosa secondo me molto bella: “Narrativo perché respirava, questa è la differenza. Metti insieme i fatti davanti agli occhi del lettore in modo che respirino di vita propria. Allora stai scrivendo narrativa”. Fiction non significa racconti, o leggende, o narrazioni di fatti irreali. Mi piace molto l’idea che la narrativa respiri mentre la realtà non respira. Tu non puoi cambiare la realtà, è così, è successo e non puoi toccarla, ma la narrativa sì. E’ molto più elastica e flessibile.
Melania Mazzucco
Per me il desiderio della scrittura nasce da una perdita e quindi da un sentimento di malinconia.
Jhumpa Lahiri
Alla fine l’importante è la storia e tutto deve essere al servizio della storia. Tutti i dettagli, gli eventi, la realtà sono assoggettati alla storia che è una cosa costruita.
Melania Mazzucco
Nella narrativa contemporanea è come se la struttura fosse crollata ma nei romanzi di Jhumpa Lahiri c’è invece una grande forza costruttiva in cui tutto quello che entra nel racconto ha un senso perché illumina qualcosa dei personaggi. Perciò è rassicurante anche se la costruzione architettonica non è convenzionale, ma comunque ha una saldezza che mi ha sempre colpito perché anche le mie storie sono come grandi cattedrali, grandi costruzioni.
Jhumpa Lahiri
Grazie ma no, per me mentre scrivo questa struttura e questa chiarezza non ci sono. Questo è lo scopo ma ci arrivi ed è una costruzione completamente artificiale. La realtà deve solo rendere più credibile l’invenzione.
Melania Mazzucco
Jhumpa Lahiri ha pubblicato due raccolte di racconti e due romanzi in 15 anni e l’ultimo libro è un’affascinante storia di paternità scelta.
Jhumpa Lahiri
Come Sei come sei.
Melania Mazzucco
Volevo che ci raccontassi qualcosa del padre della moglie che è il personaggio centrale, più del personaggio femminile, anche se dal titolo italiano non sembra (il titolo italiano, La moglie, è diverso da quello originale inglese The Lowland : la pianura).
La moglie è un omaggio alla paternità scelta. In questa storia ci sono due padri, come nel tuo libro. E’ un rapporto tra una figlia e due padri. Mi rendo conto che questa moglie è un personaggio difficile, tosto, difficile da accettare per tanti. Anch’io sono madre eppure mi interessava il suo dilemma. Lei è al centro. Ma il personaggio di Subhash è il vero eroe di questo racconto: il più generoso e il più virtuoso. Lui che non è il padre naturale, biologico, riesce ad amare e ad accettare completamente una nipote come figlia. Mentre scrivevo il romanzo io non sapevo che lui sarebbe stato capace di accettare questa ragazza. E’ stata una bella scoperta. E in te com’è nata l’idea di questi due padri?
Melania Mazzucco
Volevo scrivere una storia su un padre e una figlia che non siano legati dal sangue ma dall’amore, dall’aver accudito e scelto la paternità. Al di là del fatto che i miei protagonisti sono due maschi, con tutto quello che ne consegue sul piano sociale e giuridico che in Italia è disastroso, mi sembra comunque un tema importante oggi che le famiglie si muovono e si ricompongono.
Jhumpa Lahiri
Questo libro mi ha toccato e mi ha molto commosso forse perché anch’io ho dei genitori diversi. Non sono omosessuali ma sono diversi rispetto agli altri genitori che vedevo quando andavo a scuola. Gli unici genitori da Calcutta. Per cui anch’io mi sentivo un po’ diversa e strana come Eva. Ma alla fine avere dei genitori diversi crea anche un’intimità incredibilmente forte nella famiglia. E questo si sente nel tuo libro e mi è piaciuto tanto. E poi si vede che una famiglia diversa alla fine è una famiglia qualsiasi. E’ tutta una illusione, anche la questione dell’origine. Quando qualcuno mi chiede “Qual è la tua patria?” adesso dico, sì magari la letteratura, ma in realtà i miei genitori. I miei genitori e basta. Loro sono la mia origine anche se non è legata a un posto reale, a un luogo geografico.
Melania Mazzucco
Un’ultima domanda sul tuo nome. Che cosa vuol dire Jhumpa?
Jhumpa Lahiri
Il mio nome non ha nessun significato, ma in realtà ne ho tre: Jhumpa, Nilanjana Sudeshna. Quando mia madre stava per partorire a Londra aveva in mente due o tre nomi e poi è arrivato qualcuno per il certificato e ha dato i tre nomi che mi hanno creato tantissimi problemi. Jhumpa è una specie di soprannome perché tra i bengalesi c’è la tradizione per cui si hanno due nomi, uno a casa e uno ufficiale. Il romanzo L’omonimo (da cui Mira Nair ha tratto il film The Namesake) parla proprio di questo. Quando sono andata a scuola, avevo più o meno cinque anni, i miei genitori hanno provato a usare uno dei miei nomi ufficiali, ma l’insegnante ha chiesto: “C’è un altro nome più semplice e più corto?” Allora loro hanno detto: “Be’ ci sarebbe anche Jhumpa”. Quindi sono diventata Jhumpa sia a casa, sia a scuola. Questo per i miei parenti in India è una cosa stranissima e non giusta. Quando vedono questo nome sulla copertina dei libri mi chiedono: “Ma come mai hai usato questo nome?” che non è un nome per una copertina. E’ un nome privato, un nome informale, intimo. Rappresenta in generale la crisi della mia vita, questa divisione che provo tra due culture, sospesa fra due posti. Il nome è la metafora centrale.