La lezione argentina

Creato il 17 luglio 2014 da Zamax

Un sistema calcio che è ormai visto come un modello in tutto il mondo, risanato nelle strutture materiali ed immateriali, negli stadi, nel tifo, nella classe dirigente; un sistema diventato ricco per i suoi profitti, non per la presenza di ricchi sfondati; un sistema opulento ma oculato, non scialacquatore; una federazione che lavora a lungo termine sui giovani; un sistema pronto ad aprirsi con duttilità all’apporto delle nuove leve della gioventù multietnica tedesca e a quello delle novità tattiche provenienti da fuori: la forza della Mannschaft del mondiale brasiliano era rappresentata anche da questo recente e fecondo retaggio, che andava a sommarsi alla tradizionale disciplina, alla consueta potenza atletica e alla sempre notevole qualità tecnica di base dei giocatori tedeschi. Eppure tutto questo non è bastato. La rasoiata di Messi ha silurato la corazzata germanica regalando all’Argentina il suo terzo alloro mondiale. Ma sarebbe ingiusto dire che a decidere tutto sia stato il caso o l’unghiata del campione. Il calcio è una metafora della vita. E la vita non è solo intelligenza e programmazione. Il calcio è anche fede. Una fede che supera tutti gli ostacoli. Che ti fa sputare sangue volentieri se c’è da sputare sangue, che esalta il tuo spirito di sacrificio, la tua volontà di non mollare mai, il tuo coraggio e la tua perseveranza, il tuo cameratismo, e quell’attenzione parossistica e tuttavia tanto naturale (perché è propria di chi “veglia”) che ti porta a riconoscere e a cogliere l’attimo segnato dal destino, com’è successo a Messi, mai come oggi il vero Messia del pallone. In una parola, il calcio è prima di tutto la “garra” tanto cara agli argentini e agli uruguagi: una grinta forgiata al fuoco della fede, un sacro furore.

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