La lezione che non abbiamo imparato

Creato il 19 gennaio 2012 da Funicelli

Pare che nella proposta del governo sulle liberalizzazioni, ci sia anche una norma che permette le trivellazioni più facili, per la ricerca del petrolio, più vicino alle coste.
Un regalo, scrivono i giornali, ai petrolieri, in cambio delle richieste che lo stesso governo ha fatto loro per la gestione delle pompe di benzina.
Capita sempre in questo tipo di provvedimenti, ma la sorpresa che il governo Monti ha introdotto nel decreto liberalizzazioni è di quelle davvero indigeste: un sostanziale via libera alla trivellazione del territorio italiano, incluso il mare e fin sottocosta, per cercare ed estrarre petrolio e gas. Non proprio, per così dire, la promozione della green economy. Nell’ultima bozza di decreto, infatti, di cui Il Fatto quotidiano è venuto in possesso, gli articoli 20, 21 e 22 hanno esattamente questa funzione: nel primo si prevede di aumentare gli investimenti in infrastrutture estrattive, nel secondo si abbassano drasticamente i limiti per la trivellazione in mare e nel terzo si liberalizza la ricerca di nuovi giacimenti.
Angelo Bonelli, a cui abbiamo chiesto un commento, è nettissimo: “Se questo fosse il testo definitivo – spiega il leader dei Verdi – vorrebbe dire che il duo Clini-Passera ha deciso di svendere l’Italia alla lobby dei petrolieri. Il rischio ambientale aumenterebbe incredibilmente”. Torniamo al testo. Il fine dell’articolo 20, spiega la relazione allegata, è “consentire nell’immediato di realizzare investimenti di sviluppo pari, nella sola Regione Basilicata, a 6 miliardi di euro, garantendo una produzione aggiuntiva di idrocarburi nei prossimi 20 anni per un valore economico di almeno 30 miliardi di euro ed entrate aggiuntive per lo Stato (tra royalties e entrate fiscali) pari ad almeno 17 miliardi”. La produzione nazionale passerebbe, per questa via, da 80mila a 104mila barili al giorno.
La vera botta, però, è il successivo articolo 21: al comma 2 si decide, infatti, che il limite spaziale per le perforazioni off shore – vale a dire in mare – passa da 12 a 5 miglia marine, praticamente sottocosta. Non bastasse si prescrive anche che la linea di riferimento per le misurazioni non è più quella “di base”, ma quella “di costa”: un modo furbetto di recuperare qualche altro metro. Roba che – se è consentita un po’ di dietrologia – pare fatta apposta per il famigerato progetto di trivellazione alle isole Tremiti, in Molise. Sarà il caso di ricordare, peraltro, che la sicurezza per l’ambiente delle perforazioni off shore è stata al centro di mille polemiche neanche due anni fa, quando un incidente su una piattaforma della British petroleum nel Golfo del Messico devastò l’intera costa della Louisiana. Nella relazione allegata – liquidata la questione ecosistema affermando che “resta, in ogni caso, protetto dalle stringenti normative nazionali” – curiosamente si sottolinea come le agenzie di rating siano sensibili a questo genere di provvedimenti: “Si rileva che tra le ragioni che hanno indotto, lo scorso 9 settembre, Standard & Poor’s ad alzare il rating di Israele ad ‘A+’ da ‘A’, c’è stata proprio la decisione del governo israeliano di sviluppare le attività di ricerca e prospezione degli idrocarburi nelle proprie acque territoriali”.

Questo accade nei giorni in cui ci si inizia a preoccupare dei rischi ambientali , dopo il naufragio della Costa concordia: in realtà un disastro ambientale è già avvenuto, sui fondali di fronte l'isola del Giglio, dove si è appoggiata la nave. 
Che succederà poi se la nave dovesse scivolare longo il fondale e non si riuscisse a mettere in sicurezza il greggio nella pancia ?
Chi pagherà le conseguenze per l'inquinamento?
Dovremmo discutere sulle rotte delle grandi navi, troppo vicine a zone protette, non allargare i rischi per le nostre coste, per i nostri fondali marini (Report ha dedicato una puntata al tema delle aziende che si occupano delle trivellazioni, dopo il disastro in Luisiana, causato dalla British Petroleum).
Non si impara mai abbastanza dalle lezioni del passato: permettere ora le trivellazioni, potrebbe voler dire altri disastri ambientali nel futuro.
Ne vale la pena?

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