La Daimler Limousine grigia entra nel cortile reale attraversando due ali di folla, mentre la sera si appoggia morbida su Buckingham Palace. Alle 8 e 25 David Cameron scende dall’auto aggiustandosi la cravatta e passandosi una mano sui capelli appena tagliati. Elisabetta II lo aspetta nello studio privato per conferirgli l’incarico di formare il nuovo governo davanti al caminetto. Una cerimonia di quindici minuti che, dopo cinque giorni di polemiche e tradimenti, archivia tredici anni di potere laburista. Il patto innaturale tra conservatori e libdem è fatto e Cameron può presentarsi a Downing Street da padrone. «Chi mi ha preceduto ha reso un ottimo servizio alla nazione - concede - ora le sfide economiche ci impongono di andare avanti con un governo stabile e forte. Nick Clegg e io lavoreremo insieme. Ci aspetta una grande sfida». Samantha, incinta, vestita di viola, lo guarda con gli occhi pieni di lacrime, lui l’accompagna oltre la soglia del numero 10.
Il presidente degli Stati Uniti Obama è il primo a chiamarlo. Lo invita a Washington. E’ ufficialmente uno dei potenti della Terra. «Tra noi ci saranno relazioni speciali».
E’ stata una giornata difficile per Cameron. Sveglio da 36 ore, stanco, scavato, incapace di restituire il consueto sorriso perfetto, esce dalla casa di West London alle nove di mattina. Spende poche parole, finalmente di pancia. «Per Clegg il tempo è finito, deve darci una risposta in fretta». In nome del Paese, dei mercati e del buon senso. Salendo in macchina calpesta la giacca che gli scivola di mano. Per la prima volta, per un solo istante, sembra fuori controllo. Il doppiogioco del leader libdem l’ha costretto a rilanciare l’idea di un referendum sul voto alternativo. Si è alienato le simpatie dell’ala destra del partito, ma ora basta con i minuetti. «Te ne vuoi andare? Vattene». Non scherza, è pronto alla rottura.
Nick Clegg lo capisce e resta lì. E’ riuscito a mettere Brown alla porta, ma sapeva che la trattativa con i Labour era impossibile. Un pentapartito sarebbe stato incomprensibile per gli elettori, debole, ricattabile, guidato da un leader senza sostegno popolare. Chiama Cameron e lo invita a pranzo per le 13 e in quei 45 minuti davanti a un hamburger mal cotto e senza patatine si decide il futuro del Paese. Cameron ritrova forza, sarà lui il più giovane primo ministro della storia della Gran Bretagna. Rientra a casa, chiama il barbiere e ripassa il discorso preparato per la Regina.
A Downing Street, solo e scaricato dal partito, Gordon Brown batte il pugno sul tavolo e convoca l’autista che aspetta istruzioni nel cortile. La Jaguar apre la bocca posteriore e ingoia tre valigie da trasloco. Le carica personalmente, in tasca ha la lettera di dimissioni. Si rivolge alla moglie Sarah. «Prendi i bambini, ce ne andiamo a testa alta».
Contemporaneamente, a Westminster, Vince Cable, braccio destro di Clegg, racconta che l’accordo con i conservatori è «davvero vicino». Finisce un modello di sistema che è stato funzionale per l’Inghilterra ed esemplare l’Europa. Il nuovo patto contro natura, tra due forze così distanti - sull’Europa, sull’immigrazione, sul sistema elettorale, sul welfare - è un cerotto che non nasconde la ferita di un bipartitismo logorato dalla crisi economica e che assomiglia molto al governo di tregua pensato da Casini per l’Italia. Mai due mondi così distanti sono apparsi tanto simili.
Il cerchio si chiude. Gordon Brown appoggia per l’ultima volta le mani sul leggìo destinato al primo ministro. «Ho fatto il secondo lavoro più bello del mondo. Ora tornerò a fare il primo: il padre e il marito. Thank you and goodbye». Tende la mano ai figli John e Fraser (6 e 3 anni) che gli corrono incontro. Era così che voleva il finale, con una dissolvenza da film americano tutto patria e famiglia. La Gran Bretagna cambia strada.
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Quello che succede in Inghilterra e' l'ennesima lezione anche per il nostro paese,la situazione mondiale e' quella che e' e gli inglesi invece di tornare alle urne,e perdere tempo,decidono di accordarsi per togliere il paese dalle secche.
Se al posto dei Toryes ci fossero stati i labours non sarebbe cambiato nulla.
E' un discorso generazionale,i quarantenni hanno una visione pragmatica della vita libera da menate ideologiche e di conseguenza mettono il bene comune e il paese al di sopra di tutto.
Coi settantenni e' un discorso complicato.
Siamo il solo paese europeo il cui leader sia nato prima della seconda guerra mondiale,stesso discorso per quello precedente,stesso discorso per il Presidente della Repubblica.
Poi ci lamentiamo che siamo un paese fermo e vecchio....