Messa così, il lettore poteva avere l’impressione che in Turchia venga messo in prigione chiunque si azzardi a muovere critiche: un vero stato di polizia; mentre la realtà è ben diversa: ed era arcinoto – ma ai soliti noti ha fatto comodo piegare la realtà alla propria ideologia anti-islamica – che gli arresti avvenuti non avevano nulla a che fare con l’esercizio della professione giornalistica, che erano invece legati alle attività sovversive e golpiste di Ergenekon o al sostegno politico per il Pkk (in quest’ultimo caso i provvedmenti sono manifestamente eccessivi, ma le leggi in base ai quali sono stati decisi sono state introdotte non dall’Akp ma dal regime autoritario precedente: l’AKp ha però il torto di non averle modificate adeguatamente).
Ora, grazie a un comunicato ufficiale del ministero della Giustizia, disponiamo di qualche dato in più: i giornalisti attualmente detenuti in Turchia sono 63, ma di questi solo 18 sono provvisti del regolare tesserino; tra i 63, comunque, 32 sono stati condannati o sono in attesa di giudizio per attività criminali che nulla hanno a che vedere con la professione giornalistica, 27 sono l’oggetto di investigazioni sulle quali esiste ancora il segreto istruttorio perché relative ad Ergenekon, i rimanenti 4 sono accusati di aver disseminato attraverso i loro scritti ‘propaganda a favore di un’organizzazione terroristica’ (il Pkk). Insomma, in Turchia non c’è nessun giornalista in prigione per aver criticato Erdoğan e il governo dell’Akp: e chissà se i kemal-leghisti daranno mai conto di questo comunicato.