La Libia prima e dopo Gheddafi, vista da un “emigrato”

Creato il 20 settembre 2011 da Lapulceonline

I drammatici avvenimenti che si susseguono in Libia, in attesa che tutto si plachi e la pace riesca a sedare gli scenari di guerra e di morte che quotidianamente insanguinano una terra che molti italiani riconoscono ancora come una seconda patria, sono seguiti con trepidazione anche in Italia da molti di loro. Infatti, la Libia dal 1911 sino al 1943 è stata colonia Italiana. Dopo la disfatta di El Alamein, le truppe Anglo Americane entrarono in Libia dall’Egitto e sconfi ssero le truppe dell’Asse. Dal 1943 al 1951 è stata amministrata militarmente dall’Inghilterra.  Dal 1951 al 1969 la Libia fu una monarchia costituzionale. Il monarca fu Re Idris che ritornò dall’esilio Egiziano [infatti, dopo la morte dell’eroe libico Al Muktar ordinò alle sue milizie di cessare ogni ostilità, rifugiandosi in Egitto]. Nel 1969 però, un colpo di stato perpetrato da un giovane Muammar Gheddafi cancellò il trattato nel frattempo sottoscritto nel 1957 tra Italia e Libia, e nel 1970 gli italiani furono espulsi dalla Libia Questo, per sommi capi, è quanto ci spiega proprio uno di quegli italiani che in Libia nacque, nel 1938, e che nel 1956 ritornò in Italia con la sua famiglia.
Parliamo di Giuseppe Bianchini, oggi Consigliere Comunale di Alessandria, il quale sottolinea, ironia della sorte, il fatto che Gheddafi stabilì che la giornata della cacciata degli Italiani (uffi cialmente il 1° settembre 1970 ad un anno esatto dal colpo di stato)dovesse essere celebrata annualmente il 1° settembre come “Giornata della vendetta”. Mentre scriviamo mancano infatti pochissimi giorni al 1° settembre ma questa volta Gheddafi non avrà modo di festeggiare quell’anniverrsario impegnato com’è a fuggire per sottrarsi dalle ire dei libici. E’ carica di nostalgia la voce di Bianchini nel raccontarmi la storia di quegli avvenimenti, e le sue parole ricordano fatti che ormai fanno parte della storia di quel popolo, una storia che inevitabilmente si intreccia con la nostra storia. Bianchini è ricco di particolari quando si tratta di episodi che ormai possiamo defi nire storici di quell’epoca, ma avaro di particolari riguardanti la sua permanenza in Libia. Glielo faccio notare – “Ti dirò – spiega – i ricordi che porto dentro di me riguardanti i primi 18 anni della mia vita non sono stati affatto piacevoli e rievocarli mi provoca tutt’ora una grande pena”. L’ottobre scorso, grazie anche all’impegno di sua sorella, Franca, che annualmente organizza il ritrovo degli ex Tripolini, trovandosi a Garian, una ottantina di km a sud di Tripoli (per inciso – spiega Bianchini – da dove sono partite le milizie ben addestrate delle tribù di Berberi che hanno “espugnato” Tripoli) mentre Bianchini con la sorella Franca ed altri ex Tripolini pranzavano in un bellissimo ristorante, gestito da un libico che parla bene l’italiano, si presentò un libico ottuagenario – “ben lieto – racconta Bianchini – di salutare gli “amici Italiani”, con i quali aveva lavorato durante la loro permanenza Italiana e con i quali si era trovato bene anche con la Libia indipendente pre Gheddafi . In quell’occasione, per un “omaggio” agli Italiani, iniziò a cantare “Giovinezza, Giovinezza” – una canzone della sua gioventù vissuta tra gli italiani, ricorda Bianchini con una nota di nostalgia. Un racconto, quello di Bianchini, sull’onda dei ricordi di quel viaggio effettuato l’ottobre scorso nei luoghi dov’è nato, nello specifi co, Al Baida (all’epoca della colonizzazione Beda Littoria, una località nelle cui vallate si svolsero le grandi battaglie tra le milizie a cavallo dell’eroe libico Omar A Mukhtar ed i reggimenti di cavalleria italiana, tra cui il 14°Reggimento Cavalleggeri di Alessandria), cittadina che la sua famiglia abbandonò nel 1943 inseguita dalle truppe coloniali inglesi, percorrendo circa 1600 chilometri di litoranea e finendo per stabilirsi, dopo varie peripezie al Villaggio Corradini, 30 chilometri ad ovest di Leptis Magna, la patria di Settimio Severo, penultimo imperatore romano d’occidente. “Corradini – spiega Bianchini ricordando il viaggio dell’anno scorso – ora Ghanima, è irriconoscibile.
Gheddafi ha fatto costruire vari edifici sull’ampia strada di accesso dalla litoranea al piccolo centro. Sorge il sospetto – azzarda Bianchini – che Gheddafi , buon cultore di storia, abbia voluto “vendicarsi” contro Enrico Corradini, deputato al Parlamento Italiano, che agli inizi del 1900, dai banchi di Montecitorio tuonava per la conquista della Libia”. Successivamente, Gheddafi impedì il ritorno in Libia agli italiani che vi erano nati e solo nel 2010 cambiò idea in proposito. Ed è proprio da Al Baida, ci spiega, che è scoppiata la rivolta contro Gheddafi innescando quella che oggi è una vera e propria guerra civile. Molti i ricordi e le puntualizzazioni di Bianchini, come il fatto che l’ultimo Direttore Generale italiano dell’INPS in Libia fu uno zio di Bianchini, Alfredo Cascini, che nel 1969 passò le consegne all’INPS Libico.
Fu in quel viaggio effettuato l’anno scorso che ebbe modo di rivedere la sua vecchia abitazione, e nel Villaggio Giordani, ora Annasira, vicino a Zavia (in libico Al Zawya, ove vi sono i pozzi petroliferi presi dagli insorti), un anziano libico, riconoscendo dopo 50 anni il suo compagno italiano di giochi di infanzia, scoppiò a piangere. Ripresosi, si rivolse ai suoi fi gli adulti che assistevano muti alla scena ripetendo: “questi sono gli italiani, gli amici Italiani…”. Evidentemente lo stereotipo di “italiani brava gente” proviene da un comportamento di spontaneo e benevolo rapporto interpersonale tipico dei popoli latini, più avvezzi al vivi e lascia vivere che al confrontoscontro. Lo dimostrerebbe anche l’episodio dei quattro giornalisti italiani rapiti e poi liberati, grazie a due “lealisti libici, senza l’intervento dei quali la loro sorte era pericolosamente in bilico. Per quarant’anni Gheddafi ha catechizzato il suo popolo imponendo la defi nizione di italiani “assassini del popolo libico”. I fatti e la storia dimostrerebbero però che quel messaggio, evidentemente, non è passato, se non altro perché in Libia gli italiani ci sono finiti per le mire espansionistiche dell’allora regime fascista, ma il vero obiettivo di chi si è fermato al termine della guerra era, ed ancora è, la volontà di costruire insieme un futuro che coinvolga entrambi i popoli. Collaborando in pace, non in guerra.

[Show as slideshow]

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :