La lingua sarda, la base del Pd e i suoi vertici. Chi comanda?

Creato il 03 giugno 2012 da Zfrantziscu
Vito Biolchini e Roberto Bolognesi, pur concordando fra di essi e con me sulla critica che muovo alla sinistra per la disattenzione nei confronti dei temi identitari e sovranisti, muovono appunti a quel che considerano una mia sottovalutazione. Bolognesi scrive: “Credo che ZF, malgrado il suo passato di comunista non trascurabile (né lui, né il suo passato) abbia in questi ultimi tempi pochi contatti con i “vecchi compagni”. Le critiche che rivolge al PD – e che io condivido in pieno – non valgono per molti degli elettori e dei militanti di questo partito. Conosco molta gente di sinistra schierata senza ambiguità per la limba e per la non-dipendenza della Sardegna”. E Biolchini per parte sua: “Da diversi anni partecipo a numerosi incontri di natura politica e culturale, organizzati soprattutto da gruppi, partiti e associazioni della sinistra cagliaritana. Da tempo ogni volta, inevitabilmente, si finisce a parlare di cultura sarda e di indipendentismo: sempre. I giovani della sinistra cagliaritana prendono in considerazione questa ipotesi in maniera molto laica e senza preconcetti. Preconcetti che trovo invece nei dirigenti del centrosinistra sardo. Che ignorano evidentemente cosa frulla nella testa della loro base”. Anche Adriano Bomboi, intervenendo sugli stessi temi del sovranismo, scrive: “Il Partito Democratico Sardo che cosa vuole fare? Rinnovarsi e vincere in senso autonomista o perdere e proseguire nella classica retorica unitarista destinata a celare i particolarismi delle sue correnti? Un PD centralista nella Sardegna in cui mezzo milione di Sardi in un referendum ha scelto il rinnovamento è l’equivalente di un Titanic che, sicuro della sua stazza, prosegue a tutta forza verso il disastro”. Gli articoli dei tre cari amici sono, va da sé, assai più articolati di quanto potrebbero suggerire le tre frasi. Mi interessa, però, chiarire quanto ho scritto a proposito del Pd delle forme e dai nomi che questo partito nel passato ha avuto. Comincio col dire che nel 1977, ai tempi della legge di inziativa popolare sul bilinguismo, non saremmo riusciti a raccogliere le 13 mila firme (più le tante altre che neppure siamo riusciti a ritirare dai comuni) senza l'intervento di moltissimi militanti del Pci. I quali, con i fatti anche se non con le parole, sconfessarono l'ostracismo decretato dai dirigenti del partito. In una circolare del 6 dicembre 1977 imputavano l'iniziativa ad “alcuni gruppi separatisti sardi, raccolti intorno a quattro riviste isolane” che avevano il “preciso scopo politico come attacco al XXX dell’Autonomia della Regione Sarda, proponendo una posizione di indipendentismo e di riconoscimento del popolo sardo come “nazione” a sé””. Di conseguenza, “i compagni sindaci, vicesindaci e capigruppo comunali” erano tenuti a denunciare “gli obbiettivi strumentali che dietro di ciò possono celarsi” e a boicottare la raccolta delle firme. È vero che “la base” sconfessò i vertici, appure questi non solo non presero atto della lezione, ma anni dopo, quando si trattò di approvare una timidissima legge di tutela della lingua sarda che a quelle firme si ispirava, un gruppo di consiglieri regionali del Pci in una votazione segreta unì i suoi voti a quelli della Democrazia cristiana per bocciarla. Il Pci faceva parte del governo di Mario Melis e il voto avvenne, nel 1989, qualche giorno prima dello scioglimento del Consiglio regionale. Non ho dubbi che sia vero, oggi più dei lustri scorsi, che militanti e elettori di sinistra siano quel che Biolchini e Bolognesi dicono. Il problema è, temo – e del resto nell'articolo di Vito Biolchini se ne da conto –, chi e che cosa concretamente conta. L'apprezzamento sotterraneo e diffuso per la spedizione a Mario Monti di una diffida in lingua sarda o la definizione di “iniziativa folcloristica” che di quell'atto ha dato il segretario del Pd, Lai? L'apprezzamento non fa linea politica, quell'irrisione sì. È solo un normale riflesso condizionato di un oppositore o c'è dell'altro? Il contrasto nato fra il Pd sardo, che vorrebbe darsi in nome di Partito democratico della Sardegna, e quello italiano che nega il permesso mi riempie di grande contentezza. Faccio un tifo sperticato per chi vuole un Pd autonomo e, più in generale, per l'idea che i partiti italiani si facciano partiti sardi, quale che sia il loro posizionamento nella rosa dei venti. Si potrebbe obbiettare che l'autonomia non si rivendica, la si esercita punto e basta. Ma capisco anche che un accordo è pur sempre meglio di un conflitto: l'importante è che alla fine del percorso, nel nostro Parlamento gli schieramenti si dividano e si incontrino sulla maniera migliore di fare gli interessi della Sardegna. Naturalmente parlando in sardo. E in gallurese, in sassarese, in algherese e in tabarchino. O che, come capita nel Parlamento basco, chi non conosce l'euskera si rassegni a essere tradotto in attesa di imparare la lingua nazionale.

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