La Live Nation Entertainment è un colosso americano che ha sede in California, fattura svariati miliardi di dollari, ha sedi sparse in tutto il mondo e conta oltre 6.000 impiegati (dati del 2011); per coglierne le reali dimensioni operative, sappiate che quella italiana da sola fattura 100 milioni di euro (fonte: Il Sole 24 Ore) e ingurgita il 25% degli incassi totali derivanti da concerti e manifestazioni su territorio nazionale, incluse quelle di piazza, feste di paese, sagre del ciauscolo o del puparulo imbuttunato (fonte: Assomusica). I restanti 300 milioni di euro sono spalmati su 120 altri players maggiori e minori. La Live Nation Italia, quindi, è un po’ l’asso piglia tutto della situazione. Bene, ne siamo lieti. Si aggiunga al quadro strettamente finanziario della faccenda quello sociale: il 2013 (sempre fonte Assomusica) ha visto un incremento di concerti, quindi escluse le sagre del puparulo e tutto il resto, del 26%, con un aumento di pubblico del 5% e si prevede per quest’anno un ulteriore incremento di quattro punti percentuali sul fatturato. Ciò significa che dei circa 16 milioni di euro previsti la Live italiana, se tutto va bene, ne intascherà circa quattro. Ottimo e abbondante.
Chi bazzica il mondo delle aziende o, più semplicemente, chi legge le pagine economiche dei giornali, sa che il fatturato non è un dato assoluto e non coincide con gli utili netti che potrebbero, dunque, anche essere negativi per via, ad esempio, di costi di gestione degli eventi maggiorati, di minori sponsorizzazioni, della burocrazia, degli ingaggi degli artisti che non vendono più cd e quindi trovano la propria fonte di reddito più cospicua proprio in sede live, o per via di un sacco di altri motivi. Ci sta, stacce. Poi c’è l’indotto: alberghi, ristoranti, treni, corriere, compagnie aeree, ambulanti, chioschetti, bibitari napoletani, cingalesi o di qualsiasi altra razza. Un cospicuo giro di denaro. Voi – noi – cari metallari, di tutto questo siamo solo una goccia nel mare magnum del business concertistico, perché la Live, sapevatelo, si occupa principalmente di artisti popolari. Facciamo, però, sentire il nostro peso specifico in occasioni tipo quella del Sonisphere quando ci presentiamo in oltre ventimila, quarantamila, cinquantamila, col nostro portafoglio gonfio di buoni sentimenti e i nostri animi carichi di audaci speranze.
Il pubblico metallaro è vario ed eterogeneo, si sa; c’è quello che bazzica solo locali di zona e club underground, quello che va a vedersi i Metallica a Milano e poi c’è quello che non disdegna né l’una né l’altra cosa e poi, magari, va pure all’Agglutination, al Fosch Fest e supera i confini nazionali per sbarcare in Francia (Hellfest) e Olanda (Roadburn) carico degli stessi buoni sentimenti e audaci speranze dei nostri colleghi milanesi o degli sventurati colleghi di Capannelle l’anno scorso. Andando in giro ti fai una certa esperienza di concerti e capisci cosa si dovrebbe fare SEMPRE e cosa non si dovrebbe fare MAI. Per esempio: non si dovrebbe MAI “sequestrare” il pubblico all’interno dell’area del concerto e si dovrebbe SEMPRE rendere accessibili acqua e servizi, soprattutto d’estate, e adeguare SEMPRE lo spazio a disposizione al numero di partecipanti attesi e dunque al numero di biglietti venduti, garantire SEMPRE vie di fuga adeguate alla fiumana di gente e così via, per i motivi che non devo starvi a spiegare e che solo delle scimmie che si lanciano i propri escrementi addosso non riuscirebbero a comprendere. Sono questioni che attengono la sicurezza di un evento e la salute di chi vi partecipa.
Ora chiediamoci, bambini miei, quali sono i doveri di un organizzatore di concerti? Il buon senso mi dice:
- Uno: garantire la sicurezza dei partecipanti;
- Due: preservare la salute dei partecipanti;
- Tre: mettere i partecipanti in condizione di godere dell’evento, di divertirsi, ed esprimere i propri buoni sentimenti nei modi più congeniali ma consentiti dalla legge.
Per una serie di motivi non concordo con chi lamenta la scarsa qualità dell’audio in un festival perché, è brutto a dirsi ma è così, questo accade quasi sempre e anche fuori dai confini di questo paese che tanto vi divertite ad insultare. Non concordo nemmeno con chi lamenta spintoni e, in generale, situazioni di disagio dovute al comportamento audace di altri partecipanti: sei a un concerto metal, amico/a, non alla sagra del carciofo alla giudia, ricordalo sempre e se non sei d’accordo cambia musica. Sul capitolo sicurezza e salute, però, faccio ancora fatica a farmene una ragione. Al netto di tutte le difficoltà possibili e immaginabili, degli eventi imponderabili, del cavolo di Expo, al netto anche di quei quattro idioti che vanno ai concerti solo per fare casino e dei criticoni di professione, degli ignoranti e di quelli che fischiano ai gruppi di spalla, al netto di tutto questo schifo, faccio fatica a comprendere come un organizzatore di concerti, leader di mercato, che fattura quello che fattura, che si presuppone abbia un’esperienza enorme maturata nel corso degli anni e quindi un’organizzazione aziendale adeguata allo scopo, a sentire le innumerevoli critiche sul web, non riesca ancora a definire gli spazi minimi utili alla vita di chi va a vedere un concerto, a calcolare le quantità di viveri da mettere a disposizione e renderle accessibili, a non riuscire a trovare alternative al “sequestro di persona” all’interno di quel medesimo spazio insufficiente e dalle risorse idrico-alimentari difficilmente reperibili (“sequestro di persona”, ovviamente, inteso in senso atecnico e indicante difficoltà riscontrate dal pubblico di entrare/uscire dal pit e dall’area del concerto). O forse tutto ciò non fa parte dei doveri di un organizzatore e abbiamo frainteso tutto? A chiusura di tutto ciò c’è poi l’aspetto ben poco marginale del divertimento; eh sì, perché nessun dottore ci ha prescritto di partecipare a questi eventi e se il disagio è maggiore del divertimento, allora niente più ciccia e punti percentuali per nessuno. (Charles)