La logica della follia imperiale e il Cammino verso la III Guerra Mondiale

Creato il 23 marzo 2011 da Tnepd

di Andrew Gavin Marshall
Global Research

Definire lo stratagemma Imperiale

Alla fine degli anni ’90 Brzezinski disegnò il progetto imperiale  dell’America del 21° secolo nel suo libro, “La Grande Scacchiera”. Egli affermò senza mezzi termini che “è imperativo che  non emerga alcuno sfidante eurasiatico, in grado di dominare l’Eurasia e, quindi, di sfidare l’America”, e poi chiarì la natura imperiale della sua strategia:

Per dirla con una terminologia che richiama l’età più brutale di antichi imperi, i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale  sono evitare la collusione e mantenere la dipendenza dalla sicurezza tra i vassalli, per mantenere tributari docili e protetti, e impedire  ai barbari di avvicinarsi [1].

Egli ha inoltre spiegato che le nazioni dell’Asia centrale (o “Balcani eurasiatici”, come egli si riferisce ad essi):

sono importanti dal punto di vista della sicurezza e delle ambizioni storiche di almeno tre dei loro vicini più immediati e più potenti, cioè la Russia, la Turchia e l’Iran, con la Cina che segnala un crescente interesse politico nella regione. Ma i Balcani Eurasiatici sono infinitamente più importanti come potenziale premio economico: Un’enorme concentrazione di gas naturale e di riserve di petrolio si trova nella regione, oltre ad importanti minerali, compreso l’oro [2]

Brzezinski sottolinea “che l’interesse primario dell’America è contribuire ad assicurare che nessuna singola potenza arrivi a controllare questo spazio geopolitico e che la comunità globale abbia libero accesso finanziario ed economico ad esso.” [3]

Obama come un fanatico imperialista

Obama non ha perso tempo nella rapida accelerazione delle avventure imperiali dell’America. Mentre il Pentagono ha smesso di utilizzare il termine “Guerra al Terrore” per adottare il termine  “Operazioni d’emergenza oltremare”. [4] Questa doveva essere la tipica strategia dell’amministrazione Obama: cambiare l’aspetto, non la sostanza. Il nome è stato cambiato, ma la “Guerra al Terrore” è rimasta, e non solo, ha subìto una rapida accelerazione ad un livello che non sarebbe stato possibile se fosse stata intrapresa dalla precedente amministrazione.

L’attuale espansione dell’imperialismo americano nel mondo ha subìto una rapida accelerazione da quando Obama è diventato presidente, e sembra intenzionato ad iniziare ed espandere guerre in tutto il mondo. Quando Obama è diventato presidente, l’America e i suoi alleati occidentali erano impegnati in una serie di guerre, occupazioni e destabilizzazioni segrete, in Afghanistan, Iraq, Somalia, Congo, e Obama si è insediato nel mezzo della brutale aggressione di Israele contro Gaza. Fin dall’inizio della sua presidenza, Obama ha subito giustificato il feroce attacco di Israele contro i palestinesi innocenti, ha rapidamente accelerato la guerra e l’occupazione dell’Afghanistan, ha ampliato la guerra in Pakistan, ha iniziato una nuova guerra nello Yemen, e ha sostenuto un colpo di stato militare in Honduras, che ha rimosso un governo democratico popolare in favore di una brutale dittatura. Obama ha ampliato le operazioni segrete speciali in tutto il Medio Oriente, Asia centrale e nel Corno d’Africa, e sta spianando la strada per una guerra contro l’Iran. [5] In realtà, l’amministrazione Obama ha ampliato le forze per Operazioni Speciali in 75 paesi in tutto il mondo (a fronte di una quota di 60 durante il regime di Bush). Tra i molti paesi che hanno visto l’espansione delle  operazioni ci sono  Yemen, Colombia, Filippine, Somalia, Pakistan, insieme a  molti altri. [6] Inoltre, negli ultimi mesi, l’amministrazione Obama ha dato una dimostrazione di forza alla  Corea del Nord, dando inizio potenzialmente ad una guerra contro la Penisola Coreana. Con la creazione dell’Africa Command del Pentagono (AFRICOM), la politica estera americana nel continente è diventata sempre più militarizzata.

Nessun continente è sicuro, a quanto sembra. L’America e le sue coorti della NATO stanno adottando una folle politica estera, accelerando drammaticamente l’imperialismo militare palese e quello segreto. Questa politica sembra dirigersi verso un eventuale confronto con le potenze orientali emergenti, in particolare la Cina, ma potenzialmente anche l’India e la Russia. Cina e America, in particolare, si stanno dirigendo verso  una rotta di collisione imperiale: in Asia orientale, Asia meridionale, Asia centrale, Medio Oriente, Africa e America Latina. La competizione per l’accesso alle risorse ricorda il “Grande Gioco” del 19° secolo, nel quale l’Afghanistan era un campo di battaglia centrale.

Si potrebbe pensare che nel mezzo di una massiccia crisi economica globale, la peggiore che il mondo abbia mai visto, le principali nazioni avrebbero ridimensionato la loro sovraestensione imperiale e il militarismo, al fine di ridurre i loro debiti e preservare le loro economie. Tuttavia, vi è una “logica imperiale” dietro  questa situazione, che deve essere collocata all’interno di un più ampio contesto geopolitico.

Concettualizzare l’ascesa della Cina

In primo luogo, dobbiamo affrontare adeguatamente la natura della crescita della Cina nel nuovo ordine mondiale. Quello a cui stiamo assistendo è una situazione storica eccezionale. Per la prima volta, la crescita di una “nuova” potenza non sta avvenendo in contrasto con le potenze egemoniche del tempo, ma entro l’ordine egemonico. In breve, la crescita della Cina non è stata un’ascesa contro l’America, ma piuttosto  all’interno del nuovo ordine mondiale americano. Così, la Cina è cresciuta tanto quanto l’Occidente ha permesso che crescesse, ma questo non significa che la Cina non cercherà di servire i propri interessi, ora che ha raggiunto uno status globale e un potere significativi. La Cina è cresciuta integrandosi con il sistema economico dominato dall’Occidente, e in particolare con il sistema bancario occidentale e i sistemi delle banche centrali. Cina e America sono economicamente dipendenti l’una dall’altra, mentre l’America acquista i prodotti a basso costo della Cina, la Cina finanzia il debito dell’America. In effetti, la Cina sta finanziando anche l’avventurismo imperiale dell’America.

Così, ci troviamo di fronte ad una situazione unica: di dipendenza reciproca e di concorrenza. Mentre la Cina e l’America sono dipendenti l’una dall’altra, sono anche i più grandi concorrenti l’una dell’altra, particolarmente in termini di accesso e controllo delle risorse. Ad esempio, la Cina sostiene sia l’Iran che il Sudan. Queste due nazioni sono i principali obiettivi delle ambizioni imperiali dell’America, non a causa di preoccupazioni umanitarie o anti-terrorismo (anche se questa è la propaganda a cui aderisce più spesso), ma a causa delle ingenti e strategiche risorse  di queste nazioni. Dato che non sono asservite all’Occidente e in particolare all’America, vengono considerate “nazioni nemiche”, e da quì l’attenzione dei media nel demonizzare queste nazioni in modo che l’opinione pubblica appoggi  le forze mlitari e qualunque altro mezzo per attuare il “cambio di regime.” La Cina appoggia queste nazioni per avere  accesso alle loro risorse, e per contrastare l’influenza americana.

Governance globale

Per aggiungere un altro elemento complesso a questa storia, dobbiamo inserire questo rapporto conflittuale nel contesto della crisi economica globale e nella risposta del mondo ad essa. Il G20 è il principale luogo di discussione per il  “governo globale”, in cui le nazioni del mondo stanno lavorando insieme per coordinare sempre più i loro approcci al governo su scala globale. La crisi economica ha fornito l’impulso per incoraggiare l’attuazione di progetti per costruire un sistema di governo economico globale: una banca centrale globale e una valuta globale. Così, mentre Cina e America stanno cercando di integrarsi ulteriormente a livello economico e a livello mondiale, sono anche in competizione per l’accesso e il controllo delle risorse.

La logica dietro tutto questo è che le due potenze vogliono essere in grado di negoziare il processo di costruzione di un sistema di governo globale, dal punto di vista più sicuro. Mentre è generalmente riconosciuto che il mondo sta assistendo “alla crescita dell’Oriente” in particolare di Cina e India, vediamo il centro del potere globale, spostarsi dall’Atlantico al Pacifico. Molti commentatori per anni hanno analizzato e discusso la questione, ma il fatto che l’Atlantico sia stato il centro del potere  negli ultimi 500 anni significa che non sarà così facile spostarlo nel Pacifico. In realtà, le potenze occidentali non solo riconoscono l’ascesa dell’Oriente, ma anche che l’Oriente è risorto perché hanno consentito e aiutato  questo processo. Le potenze occidentali hanno fatto questo non per qualche disegno benevolo, ma perché i poteri  intellettuali organizzati dell’Occidente (cioè, i principali think tanks e interessi bancari) hanno cercato di creare un perfetto sistema di governo globale, in cui il potere non oscilla da nazione a nazione, o dall’Occidente all’Oriente, ma piuttosto il potere è centralizzato a livello globale. Questo è ovviamente un progetto a lungo termine e non (se mai) sarà realizzato per molti decenni ancora. Eppure, è attraverso la crisi – economica, politica e sociale – che questo processo di governance globale può essere rapidamente accelerato.

Vedi: “La crisi è un’opportunità”: Gestire una depressione globale per creare un governo globale

Comprensione delle dinamiche Imperiali

C’è un’altro aspetto di questo complicato rapporto che deve essere affrontato, quello delle dinamiche interne tra l’élite politica, economica e militare delle nazioni dominanti. Per motivi di tempo, mi concentrerò sulle due principali nazioni: l’America e la Cina. L’apparato di sicurezza nazionale americana, vale a dire il Pentagono e i servizi di intelligence, hanno lavorato a lungo al servizio delle élite economiche e in stretta collaborazione con l’élite politica. Esiste una rete, che il presidente Eisenhower chiamava  “complesso militare-industriale” in cui gli interessi di questi tre settori si sovrappongono e danno all’America  il suo slancio imperiale.

E’ all’interno dei grandi think tanks della nazione, in particolare il Council on Foreign Relations (CFR), che viene incoraggiata e gestita la coesione tra questi settori. I think tanks, il CFR soprattutto, sono i responsabili della politica dell’impero americano. I think tanks raccolgono le élites dei settori più potenti della società -  militare, politico, corporativo, bancario, l’intelligence, il mondo accademico, i media, ecc – e discutono, dibattono e, infine, producono modelli di strategia e consigli per la politica estera americana. Le persone provenienti da questi gruppi di riflessione si muovono dentro e fuori dagli ambienti politici, creando una porta girevole tra i pianificatori della politica e quelli che la attuano. I think tanks, in questo contesto, sono essenzialmente i motori intellettuali dell’impero americano.
Eppure, non dobbiamo supporre che perché sono raggruppati, lavorino insieme, ed elaborino strategie comuni, che abbiano identici punti di vista o metodi; c’è ancora un notevole dibattito, dissenso e conflitto all’interno e tra i think tanks e i circoli della politica. Tuttavia, il dissenso all’interno di queste istituzioni è di natura particolare: si concentra sul dissenso rispetto ai metodi, piuttosto che agli obiettivi e alle finalità. Per elaborare, i membri (almeno i membri molto influenti) di think tanks come il Council on Foreign Relations non sono in disaccordo sui motivi dell’impero e sostengono l’egemonia americana, che viene considerata un dato di fatto, e spesso non viene neanche messa in discussione. Questo è l’ambiente in cui opera l’élite.

Quello che viene discusso e dibattuto sono i metodi utilizzati per raggiungere questo obiettivo, ed è qui che sorgono conflitti significativi tra le élites. Banchieri e corporazioni cercano di proteggere i loro interessi finanziari ed economici in tutto il mondo. Gli ufficiali militari si occupano di preservare ed espandere l’egemonia americana, e si concentrano essenzialmente sui potenziali rivali per la potenza militare americana, e tendono a favorire l’opzione militare in politica estera rispetto a quella diplomatica. I rappresentanti politici si devono preoccupare dell’influenza totale e dell’avanzamento della potenza americana – economicamente, militarmente, politicamente, ecc – e quindi devono pesare e bilanciare questi molteplici interessi  e tradurli in una politica coerente. Spesso, pendono verso l’uso della forza militare, tuttavia, ci sono stati molti incidenti e problemi per i quali i leaders politici hanno prevalso nel perseguire obiettivi militari e diplomatici. Ci sono stati anche casi in cui i militari hanno tentato di prevalere su leaders politici rabbiosamente militaristi, come durante l’amministrazione Bush, con i neo-conservatori che spingevano per un confronto diretto con l’Iran, suscitando dirette e spesso pubbliche proteste e confutazioni da parte della struttura militare, come pure diverse dimissioni di generali di alto rango.

Queste differenze sono spesso rappresentate direttamente all’interno delle amministrazioni. Gli anni di Kennedy, per esempio, hanno visto un conflitto continuo tra i militari e gli ambienti di intelligence e la leadership civile di John Kennedy. Il suo breve periodo come presidente è stato caratterizzato da una lotta costante per impedire che i servizi militari e di intelligence d’America – in particolare il Joint Chiefs of Staff e la CIA – iniziassero guerre con Cuba, il Vietnam e l’Unione Sovietica. La crisi missilistica cubana si è risolta solo dopo che Robert Kennedy, fratello di JFK e il Procuratore Generale, hanno convinto i russi che Kennedy rischiava di essere rovesciato da un golpe militare, il che avrebbe portato ad una guerra nucleare, diretta contro l’URSS.

Vedi: Lo Stato di Sicurezza Nazionale e l’assassinio di JFK

Così, all’interno dei circoli politici chiave – e cioè think tanks e consigli presidenziali – c’è sempre un delicato equilibrio tra questi interessi diversi. Fondamentalmente, con la potenza americana, tutti restano fermi e sostengono gli interessi corporativi e bancari americani. La Diplomazia, in particolare, si occupa di sostenere gli interessi corporativi e finanziari americani all’estero. Come le comuncazioni diplomatiche di Wikileaks  hanno rivelato in una serie di casi, i diplomatici intervengono in favore di e lavorano con vari interessi corporativi. I diplomatici statunitensi hanno agito come agenti di vendita presso governi stranieri per la promozione di aerei Boeing rispetto ai concorrenti europei, hanno fatto pressioni sul governo del Bangladesh per riaprire una miniera ampiamente contrastata dal paese  gestita da una società britannica, hanno esercitato pressioni sul governo russo direttamente in favore degli interessi di Visa e Mastercard, impegnati nella condivisione delle informazioni con la Shell in Nigeria, e nella Repubblica centro-asiatico del Kyrgyzstan, i diplomatici degli Stati Uniti hanno lavorato con i maggiori interessi economici britannici e il principe britannico Andrew , che ha affermato che “il Regno Unito, l’Europa occidentale (e per estensione anche voi americani)” erano “di nuovo nel mezzo del Grande Gioco”, e che, “questa volta puntiamo alla vittoria!”[7]

I militari, a loro volta, difendono gli interessi delle élites corporative e finanziarie, mentre i paesi che non si sottomettono all’egemonia economica americana vengono considerati nemici, e i militari vengono inviati in ultima analisi, ad attuare il  “cambio di regime”. Le preoccupazioni strategiche sono de facto preoccupazioni economiche. I militari si occupano di preservare ed espandere l’egemonia americana, e per farlo devono essere concentrati sulle minacce al dominio americano, così come di garantire luoghi strategici in tutto il mondo. Ad esempio, la guerra nello Yemen, un paese con molto poco da offrire dal punto di vista economico, ha molto a che fare con gli interessi strategico-economici. La “minaccia” nello Yemen non è raffigurata da al-Qaeda, anche se questo è ciò che viene più propagandato, ma piuttosto è il fatto che la dittatura a lungo sostenuto del presidente Saleh, che è stato al potere dal 1978, è minacciata da un movimento ribelle del nord e da un massiccio movimento secessionista nel sud, mentre il governo centrale controlla a mala pena un terzo del paese. In breve, lo Yemen è sull’orlo della rivoluzione, e così, il fedele alleato dell’America e despota locale, il presidente Saleh, è a rischio di essere usurpato. Così, l’America ha fortemente sovvenzionato i militari dello Yemen, e ha anche lanciato direttamente missili da crociera, ha inviato delle forze speciali e altre forme di assistenza per aiutare il dittatore dello Yemen a sopprimere, reprimere ed infine schiacciare i movimenti popolari per l’indipendenza e la libertà del popolo.

Ora, perché questo  interesse strategico-economico in America, per un paese che ha ben poche risorse da offrire? La risposta è nella posizione geografica dello Yemen. Direttamente sotto l’Arabia Saudita, un governo rivoluzionario, che sarebbe molto antagonista nei confronti dello stato saudita braccio armato di fiducia dell’America, costituirebbe una minaccia per gli interessi americani in tutto il Medio Oriente. Probabilmente l’Iran cercherebbe di allearsi e di aiutare un tale governo, e questo permetterebbe  all’Iran di espandere la propria influenza politica nella regione. È per questo che l’Arabia Saudita sta assumendo direttamente  un’azione militare nello Yemen contro i ribelli nel nord, lungo il suo confine. L’élite saudita ha paura che sentimenti ribelli si diffondano nella stessa Arabia Saudita. Non stupisce quindi, che l’America abbia recentemente firmato con l’Arabia Saudita il più grande affare per le armi nella storia degli Stati Uniti, per un totale di 60 miliardi di dollari, nel tentativo di sostenere le operazioni nello Yemen ma principalmente per agire contro l’influenza iraniana nella regione. Inoltre, lo Yemen si trova sopra il Golfo di Aden, di fronte al Corno d’Africa (in particolare la Somalia), che collega il Mar Nero al Mar Arabico, che di per sé è una delle principali vie di trasporto del petrolio nel mondo. Il controllo strategico sulle nazioni che costeggiano il Golfo di Aden è di interesse primario per gli strateghi dell’impero americano, sia esso di natura militare, politica o economica.

Lo Yemen inoltre si trova proprio di fronte alle acque  della Somalia, un altro paese devastato dalla macchina da guerra americana. Come hanno confermato alcune comunicazioni diplomatiche, nel 2006, “l’amministrazione Bush ha spinto l’Etiopia ad invadere la Somalia con un occhio alla frantumazione dell’Unione delle Corti islamiche”, che è esattamente quello che è successo, e la Somalia è diventata uno “Stato abbandonato” impantanato da allora in una guerra civile. [8] La pirateria che è esplosa nelle acque al largo della Somalia è il risultato del massiccio sversamento di rifiuti tossici e della pesca invasiva  da parte di compagnie di navigazione europee e americane e da altre principali compagnie di navigazione, e sono serviti come pretesto per la militarizzazione delle acque. In questo contesto, sarebbe inaccettabile da un punto di vista strategico  consentire allo Yemen di sottrarsi all’influenza americana. Così, l’America è in guerra nello Yemen.
Vedi: Yemen: l’apparato segreto dell’impero americano

In Cina, invece, non esiste una coesione diretta tra i settori politico, economico e militare. I militari cinesi sono intensamente nazionalisti, e mentre l’élite politica è più cooperativa con gli interessi degli Stati Uniti e spesso lavora per realizzare interessi reciproci, i militari vedono l’America come una sfida diretta e antagonista (ovviamente, lo è). L’elite economica della Cina, in particolare la sua élite bancaria, è fortemente integrata con l’Occidente, tanto che è molto difficile separare le due cose. Non c’è una tale integrazione tra le istituzioni militari cinesi e americane, né esiste una dinamica all’interno della Cina, che riflette il sistema imperiale americano. Le divisioni tra gli ambienti militari, politici ed economici sono più marcate all’interno della Cina che in America. La leadership politica cinese si trova in una situazione molto difficile. Determinati a vedere l’avanzamento economico della Cina, devono lavorare con l’America e l’Occidente. Tuttavia, sulle principali questioni politiche (ad esempio con Taiwan), la leadership politica deve attenersi ad un approccio fortemente nazionalista, cosa che è contro gli interessi degli Stati Uniti, e favorevole agli interessi militari cinesi. L’aumento della superiorità militare è visto come un aspetto fondamentale e obiettivo del crescente predominio politico della Cina nel panorama mondiale. Come un alto generale cinese ha dichiarato nel 2005, “La Cina deve usare armi nucleari contro gli Stati Uniti, se i militari americani dovessero intervenire in un qualunque conflitto con Taiwan”. Il generale ha citato “la logica di guerra” secondo la quale “una potenza più debole ha bisogno di usare il massimo sforzo per sconfiggere un rivale più forte. Il suo punto di vista suggerisce che gli elementi all’interno delle forze armate cinesi sono “determinati” a rispondere con estrema forza se l’America intervenisse in un potenziale conflitto con Taiwan, affermando che:” Noi cinesi ci prepariamo per la distruzione di tutte le città a est di Xian. Naturalmente gli americani dovranno essere preparati al fatto che centinaia di città saranno distrutte dai cinesi.”[9]

La logica della cooperazione competitiva

L’esercito cinese deve essere pronto a tutelare i suoi interessi economici all’estero, se  vuole avere il controllo sulla propria crescita economica e quindi mantenere il potere internazionale. Così, la spinta politica della Cina a sostenere e accrescere la sua influenza internazionale è molto contraddittorio. Da un lato, questo significa collaborare attivamente con l’America e l’Occidente (soprattutto in materia economica, come abbiamo visto con il G20, dove la Cina si sta impegnando nel dialogo e nell’attuazione degli accordi di governance globale), e, dall’altro, la Cina deve  sfidare l’America e l’Occidente, al fine di garantire un proprio accesso  e controllo delle risorse vitali necessarie per la propria crescita economica e politica. La Cina è in una situazione paradossale. Mentre lavora con l’Occidente per costruire l’apparato di un governo globale, la Cina non vuole imposizioni, e vuole invece una forte posizione negoziale negli accordi. Quindi, mentre è impegnata in discussioni e negoziati per la costruzione di un sistema di governance globale, la Cina deve anche cercare attivamente di aumentare il proprio controllo sulle principali risorse strategiche del mondo, al fine di rafforzare la propria posizione negoziale. Spesso succede che, quando le parti in conflitto vengono al tavolo dei negoziati, le operazioni a terra subiscono una rapida accelerazione, al fine di rafforzare la posizione negoziale della propria parte.

Questo è accaduto durante la Guerra Civile ruandese, quando durante tutto il Processo di Pace di Arusha, il Fronte Patriottico Ruandese (RPF), fortemente sostenuto dagli americani contro il governo del Ruanda (che era sostenuto da Francia e Belgio), ha accelerato rapidamente la sua campagna militare, prendendo così il sopravvento nel corso dei negoziati, cosa che ha funzionato a suo favore, traducendosi infine nel genocidio del Rwanda (innescato dall’assassinio del presidente ruandese da parte dell’RPF), e nell’usurpazione del potere da parte dell’RPF in Ruanda. Questo è anche il caso dei negoziati di “pace” tra Israele e Palestina, come ad esempio durante il processo di Oslo, quando Israele ha rapidamente accelerato l’espansione dei suoi insediamenti nei territori occupati, in sostanza, pulizia etnica di gran parte della popolazione palestinese della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Questo processo di espansione della pulizia etnica è ciò che i leaders politici e i media occidentali chiamano un “processo di pace.” Così, quando i palestinesi reagiscono a questa pulizia etnica e all’espansione degli insediamenti (che è un processo intrinsecamente violento), o quando avviene un attentato suicida o un attacco con i mortai in reazione a questa espansione degli insediamenti, i leaders politici occidentali e i media danno la colpa ai palestinesi di aver rotto un periodo di “pace relativa” o “relativa calma.” A quanto pare, viene considerata “pace relativa” se vengono uccisi solo i palestinesi. Quindi, Israele si assicura sempre che attraverso un processo di negoziazione, i suoi interessi siano soddisfatti sopra tutti gli altri.

Così vediamo questa logica con la Cina e l’America oggi. Anche se non direttamente in guerra l’una contro l’altra, esse sono l’una la più grande competizione dell’altra. Questa competizione è prevalente in Asia centrale, in cui l’America è alla ricerca di una posizione dominante su enormi riserve di gas naturale della regione, privando così la Cina di accesso e controllo di tali risorse strategiche vitali. E ‘anche fortemente presente in Africa, dove la Cina ha rappresentato per i governi africani un’alternativa al ricorso alla Banca Mondiale e all’FMI  per ottenere prestiti e assistenza in cambio di accesso alle risorse. In questo contesto, l’America ha stabilito il suo ultimo comando del Pentagono, l’Africa Command (AFRICOM) per unire diplomazia americana, società civile e politica militare in Africa sotto il comando del Pentagono. In Medio Oriente, l’America è in primo luogo dominante, spingendo così la Cina  ad allearsi con l’Iran. In Sud America, la Cina si allea con i governi progressisti che in qualche modo sono sorti in opposizione all’egemonia americana  militare ed economica nella regione.

Questa logica vale sia per l’America che per la Cina. Entrambe cercano di acquisire una posizione dominante mentre sono impegnate in discussioni e nella realizzazione di un apparato di governo globale. Questo porta le due potenze a ricercare la cooperazione e un mutuo vantaggio, ma, contemporaneamente, a competere a livello mondiale per il controllo delle risorse. Questo è amplificato dalla crisi economica globale, che ha rivelato la debolezza dell’economia globale, e in effetti del sistema monetario e bancario globale. L’economia mondiale è sull’orlo del collasso totale. Il prossimo decennio sarà segnato da una nuova Grande Depressione. Ciò fornisce un ulteriore impulso per entrambi questi poteri ad accelerare rapidamente il loro controllo sulle risorse e ad  ampliare le loro avventure militari.

L’impero americano è in declino, ed è completamente fallito, ma la sua élite, che in realtà è più globale che nazionale, nella sua ideologia e nel suo orientamento, sta cercando di non far semplicemente sparire  la potenza americana, per essere sostituita dalla potenza cinese, ma piuttosto di usare la potenza americana per costruire l’apparato di una nuova struttura globale del potere, in modo che l’impero americano semplicemente svanisca in una struttura globale. Si tratta di un delicato equilibrio per l’elite globale, e richiede l’integrazione della Cina e delle altre potenze dominanti all’interno di questo sistema. Esso implica anche, intrinsecamente, il dominio finale sul “Sud del mondo” (Africa, America Latina, e  parti dell’Asia). Questo è un processo in corso del tutto nuovo. Gli imperi sono sorti e caduti durante tutta la storia umana. Questa volta, la caduta dell’impero americano si svolge nel contesto dell’ascesa di un genere completamente nuovo di potenza: globale per estensione, struttura e autorità. Questo sarà senza dubbio uno degli eventi che definiranno la geopolitica dei prossimi decenni.

Storicamente, i periodi di declino imperiale sono contrassegnati da una rapida accelerazione dei conflitti internazionali e delle guerre, poichè il potere in declino cerca di controllare, per quanto può e in maniera più veloce possibile (per questo vediamo l’espansione apparentemente folle dell’America con guerre, conflitti e militarizzazione ovunque nel mondo), mentre le potenze emergenti cercano di approfittare di questo declino, al fine di accelerare il crollo del potere in declino, e garantire la loro successiva posizione di potere dominante. Eppure, in questo panorama geopolitico del 21° secolo, siamo di fronte a questo contesto del tutto nuovo, dove il declino di un impero e l’ascesa di una nuova potenza sono in corso mentre entrambi cercano di integrarsi e costruire un sistema e una struttura di potere completamente nuovi, ma entrambi cercano di garantire per se stessi una posizione dominante all’interno di questa nuova struttura. Il potenziale di conflitto è enorme, il possibile risultato una guerra diretta tra America e Cina, o una moltitudine di guerre globali per procura tra di loro.

Questo nuovo secolo sarà davvero interessante. Le prospettive di una nuova guerra globale stanno aumentando ad ogni accelerazione dell’avventura  militare. L’antagonista principale in questo teatro dell’assurdo sono senza dubbio, gli Stati Uniti. Se il mondo è diretto verso la terza guerra mondiale, è perché l’America ha reso una tale situazione inevitabile. Non si può escludere che per molte élites globali, un tale risultato possa essere desiderabile in sé e per sé. Dopo tutto, la prima guerra mondiale ha dato l’impulso per la formazione della Lega delle Nazioni, e la seconda guerra mondiale ha dato la spinta alle Nazioni Unite a “garantire la pace fra le nazioni.” In un mondo in gran parte gestito da strateghi globali, sarebbe ingenuo non considerare che una nuova guerra mondiale potrebbe essere proprio l’evento di cui hanno bisogno per convincere i popoli del mondo ad accettare il loro desiderio di un sistema di governance globale; senza dubbio per assicurare la “Pace nel Mondo”  Almeno, io sono sicuro che l’inganno avverrà sotto questa falsa apparenza.

Fonte: Global Research 14 Gennaio 2011
Traduzione: Dakota Jones

Note

[1] Brzezinski, Zbigniew. The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives. Basic Books, 1997: Page 40

[2] Ibid, page 124.

[3] Ibid, page 148.

[4] Scott Wilson and Al Kamen, ‘Global War On Terror’ Is Given New Name, The Washington Post: 25 March 2009: http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2009/03/24/AR2009032402818.html

[5] MARK MAZZETTI, U.S. Is Said to Expand Secret Actions in Mideast, The New York Times, 24 May 2010: http://www.nytimes.com/2010/05/25/world/25military.html?_r=1

[6] Karen DeYoung and Greg Jaffe, U.S. ‘secret war’ expands globally as Special Operations forces take larger role, The Washington Post, 4 June 2010: http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2010/06/03/AR2010060304965.html

[7] Eric Lipton, Diplomats Help Push Sales of Jetliners on the Global Market, The New York Times, 2 January 2011: http://www.nytimes.com/2011/01/03/business/03wikileaks-boeing.html?_r=2; Fariha Karim, WikiLeaks cables: US pushed for reopening of Bangladesh coal mine, The Guardian, 21 December 2010: http://www.guardian.co.uk/world/2010/dec/21/wikileaks-cables-us-bangladesh-coal-mine?INTCMP=SRCH; Luke Harding and Tom Parfitt, WikiLeaks cables: US ‘lobbied Russia on behalf of Visa and MasterCard’, The Guardian, 8 December 2010: http://www.guardian.co.uk/world/2010/dec/08/wikileaks-us-russia-visa-mastercard; David Smith, WikiLeaks cables: Shell’s grip on Nigerian state revealed, The Guardian, 8 December 2010: http://www.guardian.co.uk/business/2010/dec/08/wikileaks-cables-shell-nigeria-spying; Borzou Daragahi and Alexandra Sandels, CENTRAL ASIA: WikiLeaks dispatches reveal a Great Game for the 21st century, Babylon & Beyond: LA Times Blog, 14 December 2010: http://latimesblogs.latimes.com/babylonbeyond/2010/12/great-game-wikileaks-turkmenistan-prince-edward-chevron-kazakhstan-kyrgyzstan-azerbaijan-turkmenista.html

[8] Rob Prince, WikiLeaks Reveals U.S. Twisted Ethiopia’s Arm to Invade Somalia, Global Research, 26 December 2010: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=22512

[9] JOSEPH KAHN, Chinese General Threatens Use of A-Bombs if U.S. Intrudes, The New York Times, 15 July 2005: http://www.nytimes.com/2005/07/15/international/asia/15china.html

http://ilupidieinstein.blogspot.com/2011/01/la-logica-della-follia-imperiale-e-il.html

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