Ah, l’estate. La stagione degli ombrelloni, dell’umidità e delle zanzare. Ma anche delle piscine all’aperto, delle creme solari, dei condizionatori, del caldo, della noia, della “Guarda che bel tempo che c’è fuori, perchè non esci un po’ invece di stare sempre in casa?” e dei “Fuori caldo, meglio Playstation e gelato davanti al ventilatore”. E, ultimo ma non meno importante, la stagione del nulla assoluto cinematografico nel Paese Italico.
Una stagione in cui ci si ritrova sommersi da remake di horror usciti in patria circa due anni prima, documentari, e per l’amor del cielo chi cazzo va a vedere i documentari al cinema, e pellicole italiane che escono proprio grazie a questo momento di pausa seguendo la filosofia del “Oh, noi lo distribuiamo poi cazzi vostri”. Per non parlare poi della distribuzione di una pellicola natalizia in piena estate.
Per fortuna arriva il secondo film appartenente al corso del nuovo millennio, dopo Harry Potter e la dama annerita, della Hammer, la casa di produzione britannica celebre per i film horror con Peter Cushing e Christopher Lee. Oggi parliamo di The Quiet Ones o, proprio traducendo alla lettera, Le origini del male.
The Quiet Ones vuole più o meno raccontare la vicenda del celebre (davvero?) Philip experiment del 1972, un esperimento di parapsicologia che tentava di dimostrare che il soprannaturale non è altro che qualcosa creato dalla nostra mente, cambiando però luogo, data, personaggi, avvenimenti e motivazioni.
La trama. Un professore tiene prigioniera una ragazza che c’ha problemi e amiche invisibili. Dopo essersi fatto praticamente scoprire dai vertici dell’Università di Oxford, il professore perde i finanziamenti per lo studio costringendo a spostarsi, assieme alla sua cricca, in una cazzo di villa immersa nel fottuto nulla con i pavimenti in legno che scricchiolano e le lenzuola sui cazzo di mobili. Diomio, partiamo male. Ovviamente le cose andranno male. E quando dico “male”, intendo “prevedibilmente male per un film che si basa per i primi trenta secondi di girato su un evento reale per poi mandare tutto in vacca prima di arrivare al finale con twist più o meno prevedibile”. Ma andiamo per gradi.
Ecco, ha fatto la pipì.
I personaggi. Nella realtà si trattava di signore normali e uomini maturi con barbona bianca lunga (no, non Babbo Natale). Nel film ci ritroviamo davanti alla figura stereotipata del professore universitario, che per essere perfetta mancano solo il monocolo e l’orologio nel taschino come se sto film si svolgesse nel 1800, assieme a tre bellocci perchè se dobbiamo fare un film tanto vale metterci gente bella così che quando il pubblico lo guarda riesce a vedere solo tre sagome inutili, ma belle, muoversi per lo schermo senza riuscire ad empatizzare con loro nemmeno (spoiler) quando muoiono male. Abbiamo il belloccio maschio #1, ovvero l’assistente bello ma preparato, la belloccia femmina #1, ovvero l’assistente bella, leggermente meno preparata del ragazzo ma che si scopa qualsiasi cosa che respiri, il belloccio maschio #2, ovvero l’operatore della telecamera ingaggiato per registrare il tutto. Sono riusciti anche a trovare una carina per il ruolo della posseduta che, teoricamente, non dovrebbe essere posseduta (poi invece si crede sia posseduta sì è proprio posseduta anzi aspetta un attimo no non lo è) abbruttita solamente con un paio di occhiaie e di borotalco in faccia. Spero fosse borotalco, almeno.
Detto ciò, al minuto dieci, smetti di preoccuparti dei personaggi e cominci a puntare tutto sulla trama. E la ruota gira, speri che il pallino si fermi dentro la casella della trama ma, quando ormai si ferma, ti accorgi che si è fermato su “E anche oggi ho buttato via 8 euro”. Il signore perde, il tavolo vince. Sempre.
Aveva chiesto indietro i soldi del biglietto.
La storia. Degli avvenimenti originali sono rimaste due cose: c’è uno studio su qualcosa attinente al soprannaturale e ad un certo punto c’è una scena attorno ad un tavolo. Tutto qui. Il resto sono urla della protagonista posseduta ma non troppo, che sfodera una prestazione discutibile, un gradino sotto alla ragazza de L’ultimo esorcismo, passi pesanti dal piano di sopra e il grande trucchetto dell’inserire un cameraman nella vicenda per poter ogni tanto usufruire della visione in POV, in prima persona, tanto cara ai found footage. Trucchetto già sdoganato dal notevolmente migliore Sinister che, però, in quel contesto funzionava. Quindi, da un lato il tentativo di ammiccare ai found footage è così telefonato da diventare imbarazzante per l’economia degli avvenimenti, dall’altro si apprezza, in minima parte ma proprio minima, la volontà di cercare di usufruire di una tecnica oggigiorno fin troppo abusata, tentando, nello stesso momento, di dissociarsi dalla massa. Sì, Oren Peli ce l’ho sempre con te. Comunque pochissimi momenti bubusettete.
La violenza. E’ un horror. Ma è un PG-13, vietato ai minori di 13 anni non accompagnati, e si vede: il sangue c’è ma poca roba, le sequenze realmente violente avvengono praticamente sempre fuori dallo schermo mentre di immagini che potrebbero essere definite disturbanti non ce n’è l’ombra, ad eccezione di un “coso malvagio” che esce dalla bocca della posseduta ma anche no. Quasi la stessa cosa presente in The haunting in Connecticut.
Cucù.
Per concludere, nonostante possa sembrare una stroncatura, mi sento di dire che ho visto di peggio. The Quiet Ones è un filmetto che, anche grazie alla breve durata di un’ora e venti scarsa, si lascia guardare senza impegno e regala qualche buona sequenza verso la fine. D’altronde la Hammer mica faceva (e fa) solo capolavori. Ma in una estate torrida e sconsolatamente deprimente, da un punto di vista cinematografico, come questa, è meglio di niente. In attesa dei Transformers, ovvio.