Forse si potrebbe anche pensare che tutto il sistema degli euro 1,2,3… e delle regole Usa sostanzialmente simili ( ma con limiti più alti di quelli europei al contrario di quanto generalmente viene riferito) non sia soprattutto un modo per stimolare il rinnovo del parco auto più che un sistema per ridurre effettivamente le emissioni. Di fatto i criteri di controllo astrattamente standardizzati sono assurdi perché radicalmente differenti dall’uso reale, mentre solo dal 2017 si prevede un controllo su strada per le omologazioni sia pure anch’esso in condizioni irreali e soprattutto ad auto nuova. Questo senza dire che l’efficacia di alcuni sistemi dipende dalla manutenzione, dallo stile di guida, dallo sfruttamento del veicolo o anche dall’uso concreto: per esempio la maggior parte dei filtri antiparticolato e anti ossido di azoto per pulirsi e restare efficaci hanno bisogno di un po’ di guida autostradale o comunque di percorsi ad andatura vivace.
Si tratta solo di domande a cui non posso dare una risposta diretta dal momento che non so nulla della International Council for Clean Transportation organizzazione no profit dal cui responsabile europeo è partita l’idea della prova, poi realizzata in Usa. So solo che è finanziata per 9 milioni di dollari dalla Hewlett Foundation, The Energy Foundation e Packard Foundation, ma la cui esistenza è rimasta finora sconosciuta ai più. Al contrario so che negli Usa le industrie nazionali stanno facendo la guerra al diesel: dopo l’inizio della crisi i consumatori sono divenuti sensibili ai consumi e le varie Gm, Chrysler e Ford hanno risposto proponendo al pubblico motori più piccoli e meno assetati che tuttavia non sembrano soddisfare la clientela, specie a fronte di corpi vettura particolarmente pesanti. Il diesel grazie alla pronunciata potenza di coppia ha cominciato ad attirare sempre di più: se fino a qualche anno fa solo il 10% delle persone sceglieva la motorizzazione diesel (per i modelli che la possedevano) adesso questa percentuale è salita al 30%. Inoltre la maggior parte dei modelli autoctoni che utilizza questo tipo di motori monta diesel di costruzione o progetto europeo, il che ovviamente non va tanto bene alle tre sorelle che di certo non vogliono spendere per creare nuove linee produttive. Del resto la multa che aspetta la Volkswagen, fino a quasi 18 miliardi di dollari, sia piuttosto sproporzionata rispetto ai 900 milioni pagati dalla Gm per blocchetti di accensione difettosi che causarono 124 morti accertati.
In due parole ho l’impressione che l’interesse pubblico in questa storia sia solo il fulcro apparente di una guerra tra multinazionali e aree produttive. Come al solito e come sempre: la macchina del popolo ha ben poco a che fare con quest’ultimo.