Messa da parte l’emozione del tornare a casa per Natale, la routine in quella che è stata casa mia per 20 anni si ristabilisce in fretta. Non è vero che non è stata ancora inventata la macchina del tempo: vi siete mai soffermati a vedere cosa succede veramente quando torniamo a casa dei nostri genitori per le feste?
Ritorniamo a essere figli adolescenti, ecco cosa succede. Un’evoluzione da adolescenti ad adulti, anni di lotte, crescita, traguardi raggiunti, che regrediscono in un attimo.
Se nella vita di tutti i giorni siamo delle donne o degli uomini indipendenti, che si mantengono da soli, lavorano, viaggiano, si divertono con gli amici, quando varchiamo la soglia della casa paterna veniamo ingoiati in un vortice temporale che ci fa regredire di un quindici-ventennio.
All’inizio fa piacere essere coccolati, sentire il calore famigliare, i profumi così conosciuti, le voci che si muovono da una stanza all’altra.
Poi inizia l’operazione regressione, che si srotola in diverse fasi:
L’abbigliamento da casa
È quella proposta confortevole che vi fa la mamma non appena posate la valigia a fianco a letto, ancora intatta.
Ho giusto quello che fa per te, una comodissima felpa in pile che ti terrà al caldo. Ecco, anche le pantofole abbinate.
Nel giro di dieci minuti siete già pronti per sedere di fronte al camino e non muovervi più per l’intera giornata.
La chiamata a tavola
Facile da dimenticare quando viviamo fuori, la chiamata a tavola è quel momento in cui il pranzo è pronto e tutti devono essere seduti di fronte al piatto. Se per qualsiasi motivo non riuscite a stare nel tempismo, sentirete la chiamata. Il volume sarà più o meno alto a seconda della stanza della casa in cui vi trovate. La sua durata dipenderà solo da voi, più in fretta vi avvicinate alla cucina, più corde vocali risparmierete a vostra madre.
Non pensate di scamparla se siete fuori casa, vi verrà a cercare anche sul cellulare:
Ma non torni a pranzo? Ma a che ora rientri scusa?
Fai come ti dico
L’autonomia filiale si riduce inequivocabilmente quando si torna a casa dei propri genitori. Ve ne accorgerete da piccole cose, come quando le vostre abitudini quotidiane vengono costantemente messe in discussione.
Perché prepari il caffè in quel modo? Dovresti usare un dosatore più piccolo.
(la spiegazione perché mi piace il caffè lungo non è ancora stata digerita)
Perché vuoi andare oggi per negozi e non domani? Sarebbe meglio andare domani, che è mercoledì.
(secondo quale religione non si può andare a fare shopping di martedì?)
Perché invece di lavorare in camera tua non vai nella camera di tuo fratello? Ha il condizionatore, lui.
(ma è anche la camera di un maschio alfa giocatore di basket con una camera profumante di ormoni maschili e scarpe da ginnastica)
Gli oggetti sconosciuti
Oltre alla valigia con gli abiti e qualche regalino di Natale, magari vi siete portati dietro anche alcuni vostri gadget. Il computer, il kindle, le cuffie, più altri oggetti di cui voi conoscete bene l’utilizzo e l’utilità. Sono vostri e non disturbano nessuno. Però potrebbero non essere riconosciuti, quindi fate molta attenzione. Solo ieri per esempio mi sono resa conto che il mio utilissimo porta cuffie in cartone biodegradabile è stato gettato nel fuoco, perché era solo un pezzo di cartone.
I malanni di stagione
Vivete da soli, sapete come sopravvivere a un raffreddore. Ma vostra madre no, pensa che ancora non ne siate in grado. Ecco perché vi prende alla spalle mentre state lavorando, alzando un cucchiaio di sciroppo balsamico e intimandovi di ingoiarlo. Inutile resistere, non potete essere così cocciuti da non prenderlo. E poi prima lo prendete, prima potete tornare alle vostre faccende.
La merenda
Mentre siete in riunione via Skype con il vostro gruppo di lavoro, la mamma si avvicina furtiva e inizia a fare dei gesti cercando di sussurrare. Vi sta chiedendo se volete fare merenda. Scuotete la testa indicando le cuffie, cercando di farle capire che ora no, siete in riunione. Avete perso in totale 10 secondi di conversazione, che naturalmente si riveleranno fondamentali. Proprio quando vi ri-concentrerete sulla discussione qualcuno dei colleghi vi starà giusto chiedendo “e tu cosa ne pensi?” Ehm…
Le porte chiuse che non scoraggiano
È una cosa che non sono mai riuscita a risolvere, nella mia routine familiare: il concetto di porta chiusa. Quante volte i miei voli pindarici adolescenziali venivano interrotti dall’apertura improvvisa della porta, con ingresso fulmineo del genitore che doveva dirmi qualcosa di estrema non-importanza o semplicemente vedere cosa stavo facendo. Quante volte, nel trovarsi la porta chiusa a chiave, la reazione genitoriale non era quella sperata: invece che pensare “forse non vuole essere disturbata”, iniziava a bussare con veemenza e a intimare l’apertura. Tempo fa, la psicologa definì questa routine comunismo familiare, tipico delle famiglie in cui le porte (e le vite) dei suoi componenti dovevano rimanere sempre aperte. Oggi continua a funzionare così: siete lì che vi concentrate su un problema di lavoro da risolvere, o semplicemente vi state rilassando leggendo un libro, o magari siete nel mezzo di una chiacchierata su Skype. Ed ecco che la porta si apre d’improvviso, lo spiffero di aria fredda si insinua e il silenzio tanto ambito si rompe. Bussare non è mai andato di moda qui e figuratevi se stare in camera propria con la porta chiusa potrebbe voler dire che non vogliamo essere disturbati.
A volte penso che forse questo è il risultato dell’essere andata via di casa presto e che i miei non mi abbiano vista diventare adulta sotto questo tetto. Può essere una spiegazione? A voi succede qualcosa di simile?