Ormai mi conoscete, o forse ancora no, e in questo secondo caso, è bene che lo facciate. Adoro filmacci come La Macchina Nera (The Car). Cose che, fatte oggi, sarebbero vietate, ma quand’ero bambino, invece, venivano trasmesse anche al pomeriggio. E poi, a trentacinque anni suonati, mondi alternativi sempre a disposizione e una cotta per un’attrice come non mi capitava da quando avevo sedici anni, ci si ritrova con un blog tra le mani, e con tutto il tempo e la voglia (e l’incoscienza) di parlarne. La macchina diabolica più bella di tutti i tempi è Christine, rossa e cromata, autoriparante, e su questo non si discute, la inclusi anche in questa speciale classifica, però, la macchina nera ha il suo perché, con quel suono strombazzante così caratteristico, il frontale uscito dagli anni cinquanta, da un telefilm di Batman presumo, e la spietatezza di verniciare una ciclista contro un muretto a secco, per poi prendersela col suo moroso anch’egli su due ruote, ecco, quella è una cattiveria che manca, al cinema.
Il cinema destruens, puro e semplice, come gli slasher. E, quando lo si girava, questo tipo di cinema, sono convinto che non fosse previsto alcun substrato interpretativo, come poi è andato di moda imporre retroattivamente. Non c’era bisogno di ragioni, per girare certi film, bastava un pretesto.
E il pretesto è una macchina infernale, che si guida da sola, cattiva perché animata da una forza maligna, che, comparsa dal nulla, si mette a infestare le strade di una sperduta contea statunitense, falciandone come in Carmageddon, tutti gli abitanti che si trova a incrociare sul suo cammino. Il male puro in azione su quattro ruote, in un survival horror dove, a variare, è solo la forma e la sostanza dell’assassino. Per il resto, il leit-motiv è sempre lo stesso.
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Guardandolo, non potrete fare a meno di pensare a un film ben preciso: Lo Squalo. Pensateci, trama identica (storia e sceneggiatura di Dennis Shryack e Michael Butler). Variano il campo d’azione, la creatura e il carisma che Spielberg (a proposito di Spielberg…) sapeva dare ai protagonisti della caccia e alla preda, Bruce. The Car è un tentativo grezzo, messo su con tutto quello (poco) che c’era a disposizione. Si trovò, in un certo senso, anche ad anticipare la teoria diabolica, quella che voleva attribuire ai mostri di natura, una coscienza maligna che, in quanto esseri viventi mossi dall’istinto, nella fattispecie pesci come lo squalo, non possono avere. Tuttavia, il filone era diffusissimo, conobbe un gran seguito, e con film così si potevano fare tanti soldi.
Lo sforzo produttivo, poi, non fu proprio un’inezia. Furono costruite ben quattro automobili, e tre di queste costarono ben 84.000 dollari ciascuna.
L’idea è, ok, stiamo girando un bieco horror al sapore di zolfo, ma che almeno l’attrattiva principale sia bella. E così è, infatti. Non so se faccia paura, la macchina. Ci riesce come può riuscire a terrorizzare il pensiero di essere investiti, eppure, la forma scura, perfetta, un insieme di potenza e antiquariato della vettura (insieme al clacson), be’, difficile scordarsene. Infatti, dopo anni e anni in cui avevo dimenticato tutto, riguardo questo film, compreso il fatto che ci fosse James Brolin come protagonista, solo l’immagine dell’auto restava chiara nella mia mente, insieme a quella della ruota della bicicletta del ragazzo che lascia una strisciata sul paraurti cromato dell’auto che sta per spingerlo giù dal ponte.
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E il film è questo, né più né meno un gioco al massacro, immotivato e condotto con estrema stupidità da chi è incaricato di fermare la macchina impazzita. Eppure, col senno di poi, ammettendo di trovarsi in una situazione simile, ci sarebbe qualcuno veramente pronto ad affrontare una simile minaccia, se fosse reale?
Ma veniamo un po’ all’angolo del bullonaro: la macchina nera.
L’automobile, anzi, le tre automobili identiche modificate per l’occasione erano delle Continental Mark III, dal ’69 al ’71. Di queste, quella incaricata di effettuare le acrobazie su strada era dotata di blocco differenziale da 4:11 e di un mostruoso motore V8 da 460 pollici cubici (edit by elgraeco, ore 17:18, 27/02/12), vetri ambrati, perché la cinepresa dall’abitacolo risultasse filtrata di rosso, fornendo alla creatura alla guida lo stampo luciferino del quale necessitava e, dettaglio non indifferente, tutte le Continental furono rivestite di acciaio, risultando pesantissime e, in pratica, veri e propri carri armati.
Le quarta auto, quella destinata a volare in un crepaccio, fu una Thunderbird coeva alla produzione del film.
Delle tre Continental, due non sopravvissero alle riprese, finendo distrutte in altrettante scene acrobatiche, il volo attraverso una casa (!) e il capitombolo col quale falciare due volanti della polizia. La terza, intatta e ancora funzionante è stata acquistata da un anonimo collezionista europeo. È da queste parti, quindi. Magari un giorno qualcuno di noi riuscirà a incrociarla per strada.
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James Brolin e tanti altri attori, per un intreccio semplice che, contrariamente alle aspettative, non lascia spazio ai facili moralismi e alla legge del contrappasso. Al regista, Elliot Silverstein, non interessa dispensare giustizia morale, interessa solo il conflitto. Questo risalta dalla volontà di presentare di volta in volta personaggi imperfetti, di proporre morti ingiuste che vanno a colpire personaggi che, di solito ma non qui, puzzano di sopravvivenza fin dalla prima inquadratura. Esempio perfetto di questa scelta coerente è che, alla fine, il merito di aver sconfitto il nemico, va attribuito anche a un personaggio, il marito violento e ubriacone, che tutto è fuorché specchio di moralità o eroe da emulare. Ma, come ho detto, l’idea della lotta per la sopravvivenza è talmente essenziale, da far tralasciare dettagli futili come questo. Scelta coraggiosa e intrigante, nonostante si tratti di un’opera che non si discosta dal b-movie.
Ultima curiosità, echi di The Car si possono ravvisare in un altro b-movie successivo, al quale sono affezionatissimo, Tremors. Trama identica e citazione-omaggio nel finale. Vedere per credere.
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