La mafia uccide solo d’estate: Pif stupisce tra risate ed emozione

Creato il 13 gennaio 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

La mafia uccide solo d’estate, ma rovina e distrugge la vita della gente tutto l’anno. E ostacola l’amore. Il film d’esordio di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, nota maschera di Mtv, ha il merito di concentrarsi sul risvolto sociale e quotidiano di un fenomeno che, se non siamo siciliani, rischiamo di avvertire solo mediato dalla televisione e dai giornali. Pif rende palpabili i disagi e i danni che quotidianamente un palermitano vive. E lo fa non rubando la scena alla tematica prescelta. Tutt’altro. Se ne sta in disparte per buona parte del film, limitandosi a fare qua e là il narratore di un sé bambino (Arturo) affascinato dalla vampiresca figura di Giulio Andreotti e innamorato di una biondina (Flora) che non vuole saperne di lui.

Lui e lei. Ecco il germe della storia d’amore, che, pur accompagnando tutta la vicenda, sentiremo con forza solo nel finale, in età adulta. Lui che nasce in un palazzo in cui si consumò un delitto tra bande di mafia, lei che vive nel palazzo abitato dal magistrato Rocco Chinnici, e che ne vide l’attentato che gli rubò la vita. Rocco Chinnici, appunto. Pif sceglie una vittima di mafia illustre ma spesso dimenticata, e non Paolo Borsellino o Giovanni Falcone, che, memorabili bandiere del nostro tempo, sono ormai inflazionati nella cinematografia “di mafia” nostrana.

La criminalità organizzata, pur con tocco lieve, è mostrata in tutto il suo orrore, e le vittime con sommo rispetto. Pif non si addentra in ricostruzioni di attentati. Lascia fuori campo sangue e corpi martoriati, limitandosi a mostrarceli tramite immagini televisive. La sacralità delle vittime è immacolata, non alterata dalla finzione filmica. Ma il comico di Mtv va pure oltre, ricordando decine di persone che la storia ha reso “minori”, ma tali non sono perché vittime della stesso cancro della società italiana. Tanti nomi che Pif rievoca in un finale che fa commuovere, che prende al cuore e allo stomaco, che strappa la lacrimuccia e un timido applauso. Tocca le corde dell’emozione scortandoci attraverso una Palermo costellata di commemorative targhe di pietra che suonano come lapidi di un cimitero di santi del nostro tempo. Una volta tanto, un sano e necessario tocco educativo che non si tinge di banale né di demagogico.


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