LE GRANDI RAPINE
I ragazzi della Riviera sono nati ladri e rapinatori e come capo hanno una cosiddetta “testafina”, uno che riesce a fare grandi “colpi” senza che nessuno rischi la vita o vada in galera.
Troppo rischiosi i sequestri di persona, che vanno di gran moda in quel periodo, ma che non danno la stessa soddisfazione rispetto a una rapina in grande stile. E Maniero queste sfide le ha sempre accettate con piacere.
La “grana criminale” è di livello, ad ogni grande colpo la notorietà del “cotoea” (gonna) sale. Quasi come un Arsenio Lupin degli anni ’80, riscuote simpatia tra i suoi compaesani Felicetto.
Ma è anche l’hotel che ospita i vip, i miliardari, i grandi giocatori del Casinò del Lido. Le sue cassette di sicurezza contengono fortune e da tempo i “campagnoli”, come venivano chiamati dai veneziani della città, avevano assaporato il boccone.
Era l’estate del 1982, l’anno dei mondiali in Spagna.
Sei uomini si affacciano nella terrazza deserta dell’hotel, sono tutti armati e a viso coperto. L’ordine è perentorio, aprire tutte le cassette di sicurezza ma senza spargere sangue.
3.30 del mattino: Sandro Radetich detto “Il Guapo”, Felice Maniero, Massimo Rizzi , Stefano Carraro detto “ Sauna” e altri due malavitosi immobilizzano il centralinista, il barista e il portiere.
Mentre uno rimane a fare il “palo”, il portiere, con la canna della pistola sul collo porta i rapinatori dentro al caveau. Pochi minuti e con un piede di porco vengono aperte 53 cassette di sicurezza.
Solo giorni dopo si riuscì a sapere il bottino: 2 miliardi e 340 milioni, compreso un diamante da 35 carati e un anello con brillante che Maniero regalò alla moglie di un camorrista .
Dopo aver arraffato tutto, il gruppo passò veloce la spiaggia, lì ad aspettarli un barchino che li portò in terraferma, destinazione Campolongo Maggiore . Ad aspettarli il fido Sergio Baron, nella cui casa nascosero il “tesoro”.
Fu così che seppero di un grosso carico d’oro lavorato che doveva partire per la Fiera di Francoforte su un Boeing 737 della Lufthansa.
Era il tardo pomeriggio di un giorno di Dicembre. Uno di quei giorni dove il freddo e pungente e la nebbia fa capolino sulle zone intorno a Tessera, ti si attacca addosso come neve da quanto è fitta.
Il commando che sta per entrare in azione è composto da gente fidata, esperta, preparata. Oltre a Felix c’è Mario Pandolfo, Sandro Radetich e il violentissimo Valeriano Forzati detto “Tango”, un bandito delle valle del Comacchio che troverà la morte in un carcere argentino.
Arrivano nei pressi dell’aeroporto con una macchina e un furgone, sono armati di tutto punto: un fucile mitragliatore M16, un M12 e una pistola o due a testa. Scavalcano la recinzione e corrono verso lo stabile dove sanno che c’è il caveau. Sono le 17.30 o forse le 18.00 quando entrano nello stabile.
Il direttore spiega a Maniero che sono invece quegli scatoloni a contenere l’oro vicentino. Non se lo fa dire due volte, chiama i suoi e inizia a trasportare i pacchi in un furgoncino dell’aereoporto. La fuga è rapida e silenziosa. Il furgone a metà strada fonde il motore e sono costretti a trasbordare il materiale in macchina.
Destinazione: la campagna veneziana, a casa di tale Danilo Biasioli, un macellaio amico di Pandolfo. E’ lì che bracciali, collane, anelli verranno subito fusi per cancellare ogni traccia dei legittimi proprietari.
Al Biasioli vengono dati dieci milioni in contanti e l’oro sarà seppellito a Campolongo Maggiore, nel campo dello zio di Felicetto, Renato. Il colpo dell’aereoporto fruttò 5 miliardi dell’epoca e un colpo allo stomaco ad Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Venezia.
La filmografia odierna ci aiuta a capire come la rapina di un tempio del gioco sia un fatto eclatante e complicato. “Ocean eleven” insegna. Ma questo al boss della Mala non interessava. Secondo lui non c’era nulla di complicato se si voleva fare.
A Venezia, in quegli anni non c’era solo il Casinò Municipale di Cà Vendramin. Nel periodo primavera estate apriva la sede del Lido, una struttura di grande impatto visivo con l’architettura di epoca fascista.
Era la sede balneare dei giocatori. Dove i cambisti avevano all’entrata il loro “ufficio” con divanetti bianchi e tavolini. Era sempre ben frequentato, soprattutto durante la Mostra del Cinema e i giocatori erano sempre ben forniti di contante.
La “dritta” è arrivata da un croupier a Mario Artuso, il cassiere della Mala. Il gruppo è composto da sette persone, sette uomini d’oro come li definirà il giornale. I più rappresentativi sono Mario Pandolfo, Giulianetto Ferrato, Maurizio Rizzi e Stefano Carraro detto il Sauna.
Quel Carraro che con i casinò ha sempre avuto un feeling particolare, tanto da acquistare per 300 milioni l’ufficio cambi del Casinò di Portorose. In quota parte con Felix e altri ovviamente, la stecca per l’acquisto fu di 50 milioni cadauno.
Anche quella sera portavano passamontagna, pistole in quantità e l’immancabile M16, rubato a casa Rosso Monti durante il rapimento. Arrivano con una barca a motore che viene ormeggiata a un pontile vicino al Casinò.
Scavalcano il muretto che divide il Palazzo del Cinema dal giardino e prendono in ostaggio due donne che stavano aspettando dentro le loro macchine l’arrivo dei compagni. Entrano ed urlando mostrano le armi, il messaggio è chiaro: questa è una rapina e nessuno sta scherzando.
Ripuliranno tutto in pochi minuti. Beffardo sarà il “Buonanotte” mentre i banditi lasciano il palazzo con due miliardi e mezzo in contanti.
L’ennesimo grande colpo è stato portato a termine. Una delle cose che rimarrà impressa nella mente della gente sarà proprio questa, la maestria diabolica unita alla sfrontatezza della Mala di Felicetto.
Ma non tutte le cose finirono con un successo senza sangue. Fu l’ultimo grande colpo che finì male e che macchiò indelebilmente la figura del Maniero “rapinatore”: la rapina al treno Bologna-Venezia. Una storia terribile che andremo a raccontare in seguito.
Sulla rapina al Casinò ci furono varie tesi, tra i tavoli verdi i giocatori della Riviera e del padovano si conosceva una verità diversa dalla semplice rapina. Si diceva che Maniero taglieggiasse il casinò in modo sistematico da anni, una sorta di estorsione per far si che la “casa” e i suoi ospiti non avessero problemi, inoltre la mal sopportazione delle autorità del Lido verso i cambisti erano cose da sistemare.
L’aria insomma era cambiata, come era cambiato il direttore che a quel tipo di richieste non si assogettava.
Ma queste sono storie della Riviera, di giovani emuli che si aggiravano tra casinò, ippodromi e bische con lo stesso taglio di capelli di Maniero, con lo stesso foulard o con i maglioncini girocollo.
Figli di una borghesia sempre più ricca nel nuovo miracolo italiano. Anche questo fu la Mala del Brenta.
La Mala del Brenta. Storie di crimini e criminali nel profondo nord (prima parte)
Fonte: "La resa" di Monica Zornetta per Baldini Castoldi Dalai
"Una storia criminale" di Felice Maniero e Andrea Pasqualetto Fonte foto Casinò del Lido: www.casinovenezia.it
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