LE FUGHE
Due le sue fughe mirabolanti: dal carcere di Fossombrone e da quello di massima sicurezza di Padova.
Due evasioni diverse, per momento storico, modalità e soprattutto per le conseguenze politiche che portarono.
E’ il 16 Dicembre 1987, poco prima di Natale, quando Felice Maniero e il suo compagno di cella Peppino di Cecco, attraversando le condotte fognarie del penitenziario pesarese, trovano la via che li porta al fiume Metauro e quindi alla libertà.
Si perché non era un galeotto qualsiasi quello che scappò con Felix quel giorno. Peppino di Cecco era un brigatista, uno che l’anno dopo per ringraziare il boss della partecipazione alla fuga vestirà i panni di un finanziere nella tentata rapina che sfociò nel sequestro di Donato Agnoletto. Strano che uno delle Brigate Rosse si fosse appoggiato a un criminale comune per fuggire da un carcere. Ma i tempi erano cambiati anche tra i terroristi e si andava meno per il sottile con la moralità. I due complici esterni fecero un gran lavoro per arrivare a scavare fino al punto convenuto: un tombino all’interno del carcere dove, come segnale , dovevano mettere un pacchetto di Gouloise appena fosse tutto pronto. E quel pacchetto comparve puntuale.
Cambia il panorama , il tempo e la situazione politica .
E’ il Due Palazzi di Padova il carcere che ospita il boss della Riviera. Struttura mastodontica e sicura. Un carcere che viene definito di massima sicurezza, alto sette piani, pronto per ospitare terroristi rossi e neri e qualunque criminale di alto livello.
Duecento miliardi il costo del fiore all’occhiello dei penitenziari italiani. Un sistema di videosorveglianza 24 ore su 24 che copriva ogni angolo della prigione stessa. Tutto bello sulla carta. Eppure quel giorno d’estate, stranamente, tutto il sistema andò in tilt.
Ad agevolare il commando che libererà Maniero e gli altri c’è una guardia penitenziaria: Raniero Erbì, un vicebrigadiere che dietro la promessa di mezzo miliardo di lire apre le porte a sei componenti della Mala.
Sarà l’Antico Guerriero il primo punto d’appoggio dei fuggitivi, una trattoria dove il gestore Francesco Andreatta aspettava tutti con calici e champagne per brindare alla fuga riuscita ma non solo. Lo stesso metterà a disposizione una casa in montagna, nel vicentino, dove nascondere armi, macchine e parte dei fuggiaschi.
Non poteva esserci inizio più difficile per un Ministro degli Interni come Maroni, fresco di nomina e con la promessa di essere una vera spina nel fianco nei confronti del crimine.
Una beffa che prende sempre più i contorni torbidi quando esce la notizia di una informativa del Capo della Polizia al Prefetto e al Questore di Padova un mese prima della fuga: “ appreso imminente attuazione progetto fuga da carcere Padova detenuti Felice Maniero detto “Boss Brenta” nato il 2.9.54 et non meglio generalizzato Di Girolamo. Precitati reclusi godrebbero appoggio agenti di custodia in servizio presso menzionato istituto penitenziario che consentirebbero utilizzi apparecchi cellulari per mantenere contatti con esterno. Premesso quanto sopra le SS.VV sunt pregate disporre per adozione adeguate misure di vigilanza et per pronta attivazione servizi infoinvestigativi”.
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