La malattia dell’ostrica

Da Parolesemplici

«Dove stai andando tu?»
«In giro, da solo»
«A far che?»
«Ad ammazzare»
«E chi?»
«Che domande: te. Ad ammazzare te, brandendo il mondo intero. Ad ammazzarti di silenzio, con la luce di una spada scintillante»«Non puoi farlo. Non puoi non farlo. Io ti voglio bene, ma ti amo»
«Prendi i tuoi occhi e vattene. E chiudi la sorte. Chiudi tutte le porte che non hai voluto aprire»
«Non è vero. Non ti amo. E tu lo sai»
«L’hai capito finalmente. E io che credevo ancora nella tua voce all’ingresso della stazione…Non te ne importa nulla del fatto che con quella voce io c’ho creato alti mondi»
«E così te lo ricordi. Io mi ricordo dei baci non dati, delle mani non sfiorate, dei capelli non contati»
«Non ricordi nulla. Nulla. Il tuo è un ricordo incondizionato. Di quelli che si trovano al supermercato a poco prezzo. Non te ne importa nulla neanche dell’odio che sto coltivando sotto casa»
«Fammi accendere, ché sto male. Fammi accendere, ché se no qua scoppia tutto. E guardami»
«Guardati tu, guardati negli occhi spalancati e poi ammazzati. Ammazzati.»
«T’ho rapito un giorno, ma tu non lo ricordi. E io me la ricordo la chitarra alla fermata dell’autobus, quando i buoni pasto ci presero a schiaffi e tu poi non volevi più andare via. Me lo ricordo il rumore della strada con i balconi che ci guardavano perplessi.
«Beh io no. Non mi va di ricordare. Io voglio ammazzare, per vivere»
«Tu non lo sai cosa vuoi. Tu non lo sai dove stai andando. Tu non lo sai cosa vuoi sapere e cosa non vuoi sapere. Tu piangi col pianto dei bambini dell’ultimo banco. E rifiuti la vita e le lune e birre quando tutti bevono. Ti accechi con l’illusione di poter spiegare tutto, di poter spiegare la vita a tutti»
«Io non vivo. Io non piango. Io mi illudo di essere illuso. La fantasia delle mie notti è tutto ciò che mi resta. Voglio una vita che vive, non voglio un sogno che brucia. Voglio la sbronza assoluta. Voglio la libertà dei giorni che non ho mai passato. Voglio la luna, voglio portarmela in tasca e farla vedere a tutti quanti. Voglio l’abisso di una fiamma che geme, il coraggio dei fiumi incatenati. E voglio ammazzare, ammazzare tutto il mondo con il Mondo intero. Voglio ammazzare te e la lingua tra i denti quando sorridi»
«L’utopia è ciò che vuoi. L’evanescenza relativa della vita assoluta. La vita sul comodino. La sveglia che non suona più. Tu sogni di sognare il sorriso che non ti ho mai promesso. E scrivi, scrivi, di notte quello che non hai il coraggio di scrivere di giorno. Sei un pagliaccio che non sa nuotare e si limita a imitare gli squali. Vivi per sentito dire, sei fatto della stessa sostanza dei libri che leggi mentre aspetti l’ultimo treno. Sei tu, e non lo sei. Vorresti esserlo e non ci riesci. Sei il coltello finto con cui accoltelli la noia della domenica pomeriggio. Non sei, e vorresti non esserlo. Perché non mi hai ancora ammazzato?»
«Perché sei tu che non lo vuoi. Perché sarebbe un sogno. E a te non sono mai piaciuti i sogni. Ma io esulto. “Salto come un indiano a nozze”. tanto leggero mi sento. Il vero sogno non è la realizzazione del sogno. Ma lo stesso sognare. E io ammazzo tutti pur di continuare a sognare. Ammazzo l’insonnia: la Giunone cattiva che pretende i miei occhi. Che non mi fa sognare in pace. Ma tu, come gli altri, e come lei, credete solo di poter sognare con gli occhi chiusi. Mentre io lo faccio con gli occhi spalancati, anche quando svengo per il dolore di non poterlo più fare. Io chi non sono. Vorrei essere ciò che gli altri pensano che non possa diventare. Sono la catena spezzata. La nuvola marchiata a fuoco. Sono il nulla che può diventar tutto. E non ti ho ancora ammazzata perché tu sei il sogno che non posso ancora avere e che non avrò mai»
«Sei pazzo. Sei folle all’infinito. Ho il cuore in lacrime e mi fanno male le ferite. Non puoi essere ciò che vuoi. Sei figlio della Realtà e non puoi abbandonarla. Non puoi ammazzare neanche lei. Puoi ammazzare solo te stesso. Niente più giochi. Se sei libero, se credi nella Libertà non puoi amare la vita. E io che voglio amarti non posso, perché per te anche l’amore è una gabbia. Ma io ti amo, non ti ho mai amato prima. Ti amo come si amano certe cose oscure»
«Ti amo anch’io. Tu sei la galassia nello specchio che ti copre gli occhi. Hai tra le dita il profumo di quand’eri bambina. Sei l’estate e la pioggia insieme. Sei il Tutto e anche il Nulla. Sei l’insonnia che non mi fa sognare. E ti amo come non ho mai amato niente.
Ma io sono diverso. Io sono il diverso che sfregia i tramonti. Sono il bello del brutto. Il caffè amaro.

Dio mio, sono la perla. Che è la malattia dell’ostrica.


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