I BAMBINI HANNO UN CUORE SEGRETO
“Ti ho fatto spazio” mi ha detto ieri. Si alza, m’invita a sedermi: un gesto buono, la Sarah dolce.
Sorrido: “Devi togliere le carte, però”. Carte di figurine sparse su metà del tavolo, tutta la porzione dove mi ospitava a fare merenda.
In un istante le scende un mostro in gola, si fa rossa, si pianta come una scheggia in una mano. Piange che credi abbia una vita intera da pianger fuori in poche lacrime.
Fatico sempre, in quei momenti: ho la paura di vetro, quella delle madri che sanno di essere in perdita, un passo indietro, e non hanno le palle di ricomporsi, spingersi avanti, francamente. Oppure farsi da parte, lasciare che la tempesta si plachi da sé, lasciare al tempo il suo tempo, la sua ragionevole stagione.
La sgrido, non la sgrido, la consolo, la ignoro. Vorresti che la risposta ti arrivasse con lo stesso impeto del suo capriccio, se capriccio è, se spunta fuori da un niente, quando invece sotto forse c’è un dolore. E quale dolore, piccola? Che allora ti prendo e ti consolo, ci facciamo due chiacchiere, mando di là gli altri e parliamo io e te. Solo che poi impareresti che a strillare mi ottieni. E non è amore, questo: non è cosa.
Allora la porto di là, infine, non perché io abbia ragionevolmente deciso, lo spazio della scelta è sempre sottile, una frattura istantanea nel quieto vivere, ma questa volta mi è venuta così, e più lei diceva “tanto non vengo” intuendo che la portavo in camera a calmarsi da sola, più io tiravo. Ed eravamo un quadro perfetto di come non si fa.
“Guarda che so camminare!” si difende allora dall’oltraggio di un vile tiro alla fune.
E io continuo a tenerle la manica, a tenere il punto.
Avrei pensato che ce l’avesse con me, per questa e altre, numerose guerriglie. Almeno due o tre da merenda a cena, un altro paio prima della notte. Sempre col sapore adulto di una scusa, non sai credere ci sia ragione valida per un dentifricio che è multigusto anziché fragola, o perché Patrick è arrivato per primo in camera, o l’ha sfiorata, o la Isa ha dato un bacio a lui e gli sale sul letto, gli salta in groppa e addosso, ed è vero, da lei nel letto non ci va mai. Ma non ci lasceresti l’anima.
Invece Sarah sì. Ha cinque anni e un cuore solo. Come tutti. Un solo animo, e dentro tutto quanto non ci sta. E bisogna tenerlo da conto, ché deve durarti fino a chissà quando. Sa di essere giovane, giovane e bella, sa che ci vogliono enormi forze per crescere, e che i desideri vanno custoditi con cura.
Forse è per questo che piange tanto. Forse è per questo che a volte li nasconde.
“Abbiamo finito i cioccolatini, bambini. Ora, chi vuole, scrive un biglietto d’amore, un messaggio per chi vuole, e ce lo mette dentro. Questa diventa la scatola dei messaggi.”
La scatola rossa è un cuore di metallo sul bancone della cucina.
Avrei pensato che Sarah ce l’avesse con me, a volte mi sembra già una piccola preadolescente, non le sto dietro, perdiamo frammenti.
Ma oggi ho scovato dove stanno i pezzi che non vedo: ho aperto la scatola dove ieri trafficava. C’è un bigliettino di Geronimo Stilton per ognuno di noi, scrive davanti, poi continua dietro, dal basso dov’era rimasta, risale con la sua logica, perdendo le doppie, sforando margini. In capo a ognuno c’è il destinatario, sottolineato.
Pappa
Pappa ci sgrida per poche cose
Patrick
Patrick di certe volte Patrick mi fa arabiare
Isabel
La Isabel e cativa con me
Mamma
La mamma e brava con tuti