Non mi piace dire ve l’avevamo detto .. ma ve l’avevamo detto. Le brutali scorribande orchestrate chissà dove e dirette contro le donne da un migliaio di maschi, si dice tunisini, marocchini, ma anche “occidentali, che ubriachi di birra, avidità e frustrazione si sono accaniti molestando, frugando nei corpi, derubando, deridendo, addirittura stuprando, probabilmente nel contesto di un attacco provocatorio ed organizzato, avrebbe fatto bene alla causa dei fascisti di ogni latitudine, in Germania, in Scandinavia, in Ungheria, in Europa e dove in Europa si vorrebbe entrare, in Medio Oriente, negli Usa, tra quelli che condannano il fondamentalismo con la mano sinistra, mentre con la destra lo finanziano e armano. E avrebbe danneggiato la civiltà di ogni latitudine, senza gerarchie e superiorità, quella che dovrebbe esaltare e proteggere conquiste di libertà, autodeterminazione, dignità delle menti, del pensiero, dell’espressione e dei corpi dalla barbarie dello sfruttamento, della misoginia e dell’omofobia, del razzismo e della xenofobia che albergano più o meno controllati, più o meno trattenuti, più o meno condannati in tutto il mondo, senza distinzione di credo religioso, di regime politico, di bagaglio di tradizioni e costumi.
E non stupisce se in questo caso l’attacco esplicitamente è stato mosso contro le donne, che se da un lato simboleggiano un affrancamento da quella combinazione di uso politico oscurantista della religione e sistema sociale fondato sull’abuso, sull’accumulazione e la speculazione, la mercificazione del lavoro e dei corpi, sono ancora più esposte, più vulnerabili, più discriminate in strada, in casa, nel lavoro, quando su di esse pesa maggiormente la crisi, la cancellazione di Welfare e il depauperamento dell’istruzione come arma di riscatto, a dimostrazione, sia pure involontaria, che la civiltà occidentale che rivendica superiorità, sul fronte dell’eguaglianza, delle libertà, della giustizia che deve stabilire le pari opportunità, ha fallito.
E infatti quello che è accaduto ma soprattutto l’uso strumentale che se ne è fatto, ben oltre la condanna, non fa certo bene alle donne musulmane, non fa certo bene a quelle che fuggono da guerra e fame coi figli in collo e li vedono annegare, che arrivano dove nessune le vuole, se non come schiave della tratta sessuale o di lavori faticosi che devono svolgere da invisibili senza diritti e poca paga, a causa di ciò ancora meno tollerate, guardate con paura, diffidenza e sospetto.
Ve l’avevamo detto e Renzi non ha mancato di confermare le nostre peggiori profezie, con quell’esercizio di fare e disfare, dire e smentire, annunciare e avviare la retromarcia che è poi un carattere distintivo della politica di un leader che va a tentoni dove lo mandano i padroni, che ondeggia come un ubriaco avendo tardivamente scoperto che malgrado le sue “riforme” mirate a cancellare la partecipazione e la democrazia, ha ancora bisogno dei voti, dentro e fuori dalle aule e dai processi notarili del parlamento, mandando avanti ad esporsi qualche suo fido affetto da fiduciosa dabbenaggine, per poi sconfessarlo, scegliendo sempre alla fine i soliti sodali e le solite alleanze legittimate dall’abbraccio osceno col potere vigenti.
Così dopo le desolanti piroette sulle unioni di fatto, ecco un’altra spericolata acrobazia: prima la finta dell’urgenza di depenalizzare il “reato” di clandestinità, una delle più nefande, infami e inutili reliquie dei governi Lega-Berlusconi, poi il passo indietro, dettato da ovvie ragioni di “opportunità” dopo i famigerati incidenti, in modo da ascoltare le pance più avvelenate e i possibili “associati” più indegni, con la inossidabile formula della “pausa di riflessione”, cara a fedifraghi codardi e decisori ancora più vigliacchi.
E poco vale che su quella misura indecente, condannata perfino dall’Ue che di poca decenza in materia di accoglienza se ne intende, si siano pronunciate negli anni le voci più autorevoli, ma anche quelle più sorprendenti, critiche a motivo dell’accertata iniquità ed inefficacia, cui si è aggiunta l’Associazione Nazionale Magistrati attraverso il suo presidente Rodolfo Sabelli, che incalza: “Norma che ingolfa i tribunali e ostacola indagini su scafisti, visto che il clandestino, in quanto indagato, non può essere sentito come testimone …. E poi, nessuno rinuncerà a entrare illegalmente davanti a una sanzione pecuniaria”.
Non serviva un addetto ai lavori per ristabilire la verità, bastava riflettere sul ridicolo di infliggere un’ammenda a chi arriva senza nulla, salvo la propria nuda vita a repentaglio, o di immaginarne l’effetto deterrente per chi sui profughi ci campa, specula, organizza attività criminose. Ma anche per chi comunque non ha nulla da perdere, scappa dai lager di stato, vive nella più tremenda oscurità di identità e diritti, non ha altra previsione di sopravvivenza ridotta al minimo, che la trasgressione.
Ma come potremmo aspettarci, non dico umanità, ma intelligenza, decenza, efficienza e competenza da chi riconferma ogni giorno l’inviolabilità della legge più scandalosa in materia di immigrazione” indegna della nostra Costituzione, della nostra storia, della nostra emigrazione? quella legge Bossi-Fini che costituisce un’allegoria di inciviltà per le motivazioni profonde che l’hanno generata e per le regole che ne hanno costituito la traduzione concreta. Che considera l’emigrazione come un problema di ordine pubblico, con conseguente ricorso massiccio alle norme penali e agli interventi di polizia. Motivata dal rifiuto dell’altro, del diverso, del lontano, che con il solo suo insediarsi nel nostro paese ne mette in pericolo i fondamenti culturali e religiosi. E che si fonda su una radice razzista e sul fatto che, considerando pregiudizialmente il migrante irregolare come il responsabile di un reato, viene così potentemente e pericolosamente rafforzata la propensione dei cittadini al rifiuto e dei profughi a mettersi ai margini di leggi e diritti. Diritti, si, ma anche doveri, ugualmente negati a chi non possiede nulla nemmeno la possibilità di scegliere tra bene e male, sempre più ridotti anche per noi, a cominciare dal voto, dal lavoro, vicini ad essere clandestini in casa.