La trama si scioglie sotto gli occhi del lettore in modo scorrevole, ma i livelli temporali sono diversi e numerosi, pertanto il lettore dovrà abituarsi all’idea di dover fare i conti con tre cronologie distinte: la preistoria del 30.000 BC, il medioevo del 1100-1300 ca. e il presente. Scelta, peraltro, molto appropriata all’argomento della narrazione che può in questo modo lasciarsi raccontare secondo le fasi storiche toccate dalla grotta e dal misterioso infuso dalle proprietà quasi magiche, per approdare infine alla contemporaneità i cui sviluppi tecnologici e scientifici permettono una spiegazione logica dei fatti narrati.
L’espediente del ritrovamento di un manoscritto - "Ruac, 1307.Io, Barthomieu, monaco dell'abbazia di Ruac, ho ducentoventi anni.E questa è la mia storia." - non rappresenta certo una novità letteraria, tuttavia, l’ardita scelta di un topos narrativo così popolare (manzoniano, ancor prima che cervantiano) viene portata avanti da Cooper con grande professionalità, ma soprattutto viene rielaborata in senso moderno e associata al ritrovamento di un sito archeologico la cui importanza storica è descritta come incommensurabile: dieci camere sorprendenti dipinte con cavalli, bisonti, mani e piante (assoluta novità per quelle ere e chiave di volta del romanzo) disegnate con estrema precisione da un misterioso uomo uccello preistorico capace di servirsi di tecniche moderne, dell’uso della prospettiva e di colori vivaci mai usati prima.
Unica critica: la descrizione della caverna a volte risulta ripetitiva. Gli aggettivi utilizziati rendono chiara l'importanza della caverna che tuttavia rimane spesso un susseguirsi di stanze spettacolari che il lettore deve immaginarsi sulla base di una descrizione standard. Per concludere, lo stile semplice e scorrevole, associato a una distribuzione calcolata delle immagini e dei frequenti cambi scenici, fanno pensare a un romanzo perfettamente compatibile alle esigenze del grande schermo.