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La marginalità geopolitica dell’Unione Europea nel contesto centroasiatico

Creato il 16 dicembre 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Daniele Cellamare Europa

La marginalità geopolitica dell’Unione Europea nel contesto centroasiaticoNel quadro della pubblicazione degli atti della conferenza "L'Unione Eurasiatica: sfida od opportunità per l'Europa?", tenutasi su iniziativa dell'IsAG il 19 settembre scorso presso la Camera dei Deputati, si propone quest'oggi il testo del discorso del professor Daniele Cellamare, direttore di ISTRID.


Nelle relazioni con l'Asia centrale, l'Unione Europea si è trovata relegata in una posizione sostanzialmente secondaria, ovvero temporaneamente esclusa dalla competizione geopolitica che si è sviluppata nella regione e che ha visto coinvolte potenze statali regionali ed internazionali. Questa condizione di marginalità, perdurata sino al 2001, riguardava sia l'Unione Europea, intesa come unico attore politico statale che i singoli Stati membri che la componevano, quindi espressione di una combinazione di considerazioni a carattere oggettivo, a loro volta il risultato di una differente strategia adottata nei riguardi della regione centroasiatica. In anni più recenti anni, l'Asia centrale ha comunque rivestito una scarsa importanza geopolitica per gli Stati membri dell'Unione Europea, a causa della mancanza di interessi economici o di sicurezza, considerati di rilevanza vitale per i destini dell'Unione. Nonostante venissero espresse delle preoccupazioni riguardo a determinate problematiche, come la prevenzione della proliferazione nucleare, la potenziale instabilità politica e il contenimento dell'islamismo radicale, l'Asia centrale non ha costituito una priorità nella politica estera dell'Unione Europea, maggiormente interessata in quegli anni all'evolversi della situazione nei Balcani, negli Stati dell'Europa orientale e nel Caucaso.

Considerato che la regione centroasiatica restava in larga misura pacifica, soprattutto se comparata alla polveriera caucasica, non si percepivano preoccupazioni legate alla questione della sicurezza; la guerra civile in Tagikistan era stata un unicuum, e i successivi accordi di pace avevano creato i presupposti per un periodo di sicurezza e stabilità che testimoniavano il successo della strategia di riconciliazione e di ricostruzione dello stato. A differenza di altre regioni, l'Asia centrale non ha conosciuto la destabilizzante esperienza del nazionalismo nelle forme assunte nei Balcani e nel Caucaso, permettendo alle minoranze etniche di convivere in tranquillità con la maggioranza 1: tra le repubbliche ex sovietiche esiste una forte rivalità interstatuale, ma non esistono i cosiddetti " frozen conflicts " destinati ad esplodere in aperto scontro armato tra stati, solitamente per dispute territoriali.

Oltre alla limitata rilevanza dettata dall'assenza di problematiche legate alla sicurezza, altri fattori hanno influito nel limitare l'azione di Bruxelles nella regione: la distanza geografica dall'Europa di una regione percepita come geo-politicamente complessa, la debolezza politica ed economica dell'Unione sul piano internazionale - che rendeva sostanzialmente impensabile un coinvolgimento europeo nella competizione con Stati Uniti, Russia e Cina al fine di esercitare un influenza geopolitica e geostrategica in Asia centrale - la mancanza di consolidati rapporti politici e culturali, l'assenza di una strategia politica e di un interesse degli Stati membri all'inserimento delle repubbliche dell'Asia centrale all'interno di politiche coordinate in ambito europeo. Nei primi anni post-sovietici, l'Unione Europea non elaborò e non intraprese una strategia di natura politica per confrontarsi con le repubbliche dell'Asia centrale, privilegiando le relazioni di natura economico-commerciale e mostrando un naturale interesse per le enormi ricchezze energetiche delle repubbliche centroasiatiche che si affacciano sul bacino del Caspio.

Questo mancato approccio politico si spiega con le difficoltà riscontrate nell'elaborazione e nell'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune (il cosiddetto "secondo pilastro" dell'Unione Europea), a causa della resistenza da parte degli stati membri a riconoscere un interesse comune e condiviso, soprattutto in quegli ambiti dove risultano coinvolti gli interessi nazionali, e dalla divergenza esistente tra obiettivi e interessi perseguiti a livello nazionale rispetto a quelli perseguiti dalla comunità degli stati nel suo complesso 2. Di conseguenza, l'Unione Europea non era direttamente coinvolta nei giochi politici e di potere nella regione, e la sua azione risultava confinata al perseguimento di obiettivi di lungo periodo di natura economico sociale e di assistenza tecnica:

  1. sostegno alla costruzione di infrastrutture che rendano la regione economicamente più efficiente, internazionalmente competitiva ed orientata commercialmente in favore degli interessi europei;
  2. sostegno alla creazione di un economia di mercato;
  3. promozione della democratizzazione, tutela dei diritti umani e sviluppo della società civile.


Mentre la Ue puntava quindi sullo sviluppo teorico di istituzioni democratiche e a considerare l'area secondo una prospettiva "petrocentrica" (senza elaborare una necessaria strategia politica), l'esigenza delle repubbliche centroasiatiche era orientata invece al rafforzamento della gestione autoritaria del potere, finalizzata a preservare la stabilità interna e garantire la sicurezza territoriale nazionale. L'orientamento di carattere economico-commerciale che ha prevalso - e che ha plasmato la strategia perseguita dall'Unione Europea nei confronti dell'Asia centrale nel primo decennio di indipendenza nazionale delle cinque repubbliche - era dunque motivato da una serie di considerazioni:

  1. lo sviluppo di relazioni commerciali tra le due parti era funzionale allo scopo di prevenire una situazione di instabilità nella regione, in quanto il crollo del sistema sovietico rendeva necessario offrire un sostegno alle fragili economie centroasiatiche e incentivarle a rafforzare la cooperazione economica regionale. Una dimensione economica che sottendeva motivazioni politiche, come mezzo per prevenire una potenziale conflittualità e assicurare la stabilità regionale;
  2. la complementarità tra l'economia europea e quella centroasiatica lasciava presagire la possibilità di sviluppare delle intense relazioni commerciali, in quanto l'Europa poteva fornire capitali, beni, competenze, servizi e tecnologie necessarie per la valorizzazione delle risorse delle nuove repubbliche centroasiatiche. Per i Paesi della regione, produttori di risorse energetiche e di materie prime, l'Unione Europea rappresentava un potenziale e importante mercato per le esportazioni, alternativo alla prospettiva di commercializzazione con gli Stati della Comunità degli Stati Indipendenti;
  3. l'ambizione di partecipare allo sfruttamento e alla commercializzazione delle riserve di gas e petrolio del Caspio, attraverso la creazione di un corridoio euro-asiatico che mettesse in collegamento i mercati europei con quelli asiatici. Si trattava della rivitalizzazione di un asse geo-economico est-ovest, enfaticamente definito come la "via della seta del secolo XXI", che si fondava sul rinvigorimento di quelle importanti relazioni sociali ed economico-commerciali che hanno rivestito una storica importanza nei secoli scorsi.


La strategia europea doveva quindi incentrarsi sull'elaborazione e l'attuazione di programmi e progetti che attenuassero la condizione di isolamento economico della regione, offrendo sbocchi commerciali e mercato alle loro produzioni, in modo tale da contribuire anche al rafforzamento della fragile indipendenza politica.
La concreta realizzazione di una siffatta strategia era tuttavia subordinata alla necessità di creare o rinnovare le infrastrutture di trasporto, dalle quali dipende lo sfruttamento e la commercializzazione delle risorse e delle produzioni nazionali, promuovendo il loro coordinamento in un ottica regionale, e alla riduzione delle barriere fisiche al commercio attraverso l'armonizzazione delle politiche e gli accordi di transito inter-repubblicani. Al perseguimento di queste finalità rispondevano i due progetti elaborati ed attuati dalla Commissione Europea, il progetto Transport Corridor Europe Caucasus Asia (Traceca) e il progetto Intestate Oil and Gas Transport to Europe (Inogate).

Il progetto Traceca 3, inaugurato su iniziativa della Commissione Europea alla conferenza di Bruxelles del 1993, è costituito da un insieme di progetti di assistenza tecnica nel settore dei trasporti terrestri e marittimi, che mirano a ricostruire un corridoio di trasporto ovest-est, dal Mar Nero alla Cina, passando per il Caucaso meridionale e l'Asia centrale. Lo studio preliminare condotto sul sistema di infrastrutture dello spazio ex sovietico, antecedente alla Conferenza di Bruxelles, rilevava il buon funzionamento delle infrastrutture ferroviarie, marittime e stradali, nonostante la carenza di investimenti negli ultimi anni di dominio sovietico. Tuttavia, era in atto un deterioramento delle condizioni economiche e una trasformazione delle modalità di scambio tra i paesi, caratterizzate da rigide e differenti procedure amministrative e commerciali, regolamenti doganali e difformità dalle norme internazionali. In questo scenario, un intervento di sostegno doveva essere finalizzato a fornire assistenza tecnica per la ristrutturazione e l'ammodernamento delle infrastrutture e per l'armonizzazione delle procedure e dei regolamenti. Condizione essenziale per accedere alla assistenza tecnica europea era la conformità degli stati beneficiari agli standard dell'economia internazionale, dimostrando cioè il necessario impegno nell'adozione di riforme per la progressiva instaurazione di un economia di mercato e il rispetto delle norme tecniche e commerciali corrispondenti.

In questa prima fase, tra le repubbliche dell'Asia centrale, l'Uzbekistan e il Turkmenistan sostenevano fortemente la creazione di un nuovo asse est-ovest, espressione della loro volontà di allentare la dipendenza politica ed economica dalla Russia, mentre il Kazakistan mantenne un atteggiamento prudente a causa della sua particolare posizione geopolitica, che lo costringeva a mantenere buone relazioni con i russi (con i quali condivide i maggiori assi di trasporto esistenti e una lunga frontiera). In seguito, il programma Traceca venne definito come un corridoio multimodale, la cui vocazione è di connettersi ai corridoi di trasporto e alle reti trans-europee attraverso il Mar Nero, identificato come zona di trasporto paneuropeo 4. Il crescente coinvolgimento tra l'Unione Europea e gli Stati che aderirono al programma si concretizzò nel 1998 con il Summit di Baku intitolato " Restoration of the Historic Silk Route"; in questa occasione venne siglato il documento fondamentale del progetto Traceca, noto come Mla ( Basic Multilateral Agreement on international transport for the development of the transport corridor Europe-Caucasus-Asia). Al summit parteciparono i rappresentanti di 32 paesi e fu uno dei maggiori successi diplomatici dalla caduta dell'Urss. Tuttavia, l'assenza del Turkmenistan e la sua mancata firma dell'accordo, nonostante l'iniziale sostegno all'iniziativa di creare un corridoio alternativo est-ovest, riduceva sensibilmente la portata dell'accordo.

L'istituzionalizzazione del programma Traceca nel 2001, attraverso la creazione della Commissione Intergovernativa con sede a Baku, e la successiva evoluzione e implementazione del programma, garantita anche dalla crescente partecipazione degli Stati geograficamente interessati, permisero di delineare le linee strategiche e gli obiettivi da perseguire nell'attuazione di questo programma:

  1. sostenere lo sviluppo delle relazioni economiche e commerciali e di trasporto in Europa, Mar Nero, Caucaso, regione del Caspio e Asia centrale;
  2. garantire a questi Stati l'accesso ai mercati mondiali del trasporto ferroviario, marittimo, stradale e stimolare la cooperazione interregionale;
  3. promuovere l'integrazione ottimale del corridoio Traceca nelle reti di trasporto trans-europee;
    garantire la sicurezza dei traffici e delle merci;
  4. armonizzare le politiche di trasporto;
  5. creare delle condizioni di concorrenza per le operazioni di trasporto.


A ridosso degli anni 2000, venne lanciato il programma Inogate, sostanzialmente complementare al Traceca. Con gli obiettivi orientati al rinnovamento e alla modernizzazione del sistema regionale di trasporto di petrolio e gas, il progetto Inogate si propone l'analisi e lo studio di differenti opzioni per il trasporto di idrocarburi tra Asia centrale-Caspio-Paesi europei, in modo da garantire la sicurezza e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico dell'Unione Europea. A seguito della conferenza regionale ministeriale per l'energia e il trasporto, che si è tenuta a Baku nel 2004 (Iniziativa di Baku), Traceca e Inogate hanno ricevuto un nuovo impulso politico-diplomatico.

Quindi il primo, da un punto di vista commerciale, e il secondo 5, da una prospettiva energetica, convergevano sulla necessità di ovviare alla condizione di isolamento delle repubbliche centroasiatiche, sviluppando in sostanza dei corridoi di trasporto che non attraversassero il territorio russo ed iraniano.
Tra le finalità del progetto Inogate non vi era la realizzazione di nuove pipelines, compito che spettava ad investitori privati, ma migliorare l'efficienza e la sicurezza di quelle esistenti, contribuendo alla modernizzazione e allo sviluppo degli oleodotti e gasdotti trascurati in epoca sovietica. Lo scopo era di promuovere l'integrazione regionale e facilitare il flusso degli idrocarburi verso l'Europa, offrendo una piattaforma di garanzia alle istituzioni finanziarie internazionali e agli investitori privati affinché investissero nel progetto. I due programmi finanziano sia progetti di assistenza tecnica che di riabilitazione delle infrastrutture. Le varie attività finanziate in Asia centrale si concentrarono in diversi ambiti:

  1. la ristrutturazione di infrastrutture, come strade, porti e ferrovie, in modo da creare un sistema integrato euro-asiatico di collegamento e di trasporto intermodale;
  2. studi di fattibilità;
  3. armonizzazione del quadro giuridico e normativo di trasporto (ad esempio sulle procedure doganali, diritti di transito).


Per quanto i due programmi abbiano sulla carta delle finalità differenti, in realtà - analizzando le tipologie d'intervento e le aree geografiche interessate - risulta evidente non solo la complementarità dei due progetti europei, ma soprattutto la loro funzionalità ad una strategia economico-energetica europea orientata sulle riserve di idrocarburi del Caspio, poiché Traceca è finalizzato alla riabilitazione delle infrastrutture di collegamento, che diventano a loro volta necessarie per la concretizzazione del sistema integrato di trasporto energetico promosso da Inogate.

Gli interventi coordinati sui tre principali porti del Caspio, Aktau in Kazakistan, Baku in Azerbaijan e Turkmenbashi (Kranvnsodok) in Turkmenistan, finalizzati alla ristrutturazione dei terminali marittimi e ferroviari, così come lo sviluppo del traffico mercantile nel bacino del Caspio, la ristrutturazione del sistema ferroviario centroasiatico -uno dei progetti riguardava la costruzione di una linea ferroviaria che collegasse la città turkmena di Chardzou, sede di un importante raffineria al porto di Turkmenbashi - rappresentano tasselli imprescindibili per lo sviluppo di una strategia di trasporto intermodale tra gli Stati rivieraschi del Caspio. Per quanto concerne i finanziamenti, i due progetti hanno ricevuto sostegno economico oltre che dall'Unione Europea, anche dalla Banca Europea della Ricostruzione e dello Sviluppo, dalla Banca Mondiale, dalla Asia Development Bank e da investitori privati. Dal 1996 al 2006, il programma Traceca ha sostenuto 61 progetti di assistenza tecnica e 15 progetti di investimento, per una spesa totale di circa 160 milioni di euro.

Occorre tuttavia precisare che i progetti sono sub-programmi del programma europeo di assistenza tecnica Technical Assistance to the Commonwealth of Indipendent States (Tacis), che riguardava tutti i paesi ex sovietici e che venne lanciato nel 1991 sul modello del programma di assistenza Phare, adottato per l'Europa centrale ed orientale. Le finalità del programma Tacis erano invece quelle di promuovere la transizione verso l'economia di mercato e rinforzare la democrazia e la legalità negli Stati partner, attraverso l'assistenza tecnica e finanziaria europea rivolta ad incentivare la crescita economica e rafforzare la democrazia, in modo da raggiungere una stabilità politica ed economica alle porte dell'Unione Europea. Nel 1991 vennero identificati cinque settori come aree prioritarie di intervento per fornire assistenza: formazione, energia (inclusa la sicurezza nucleare), trasporto, sostegno alle imprese commerciali e industriali, produzione e distribuzione di cibo. Dopo l'entrata in vigore degli accordi di partenariato e cooperazione, queste priorità vennero modificate ed adeguate alle nuove forme di intervento. Dal 2002, le nazioni centroasiatiche sono state inglobate all'interno di una strategia regionale che ha mutato le procedure di finanziamento dei progetti; nel biennio 2002-2004 gli stanziamenti previsti dalla Commissione Europea per finanziare i progetti Tacis sono raddoppiati passando da 25 a 50 milioni di euro, sino all'ulteriore aumento a 66 milioni di euro nel 2006. A seguito della riforma dell'intero sistema di assistenza allo sviluppo della Ue, il programma Tacis è terminato nel 2006.

La Shangai Cooperation Organization

La Shanghai Cooperation Organization (Sco) è un'organizzazione multilaterale che comprende Repubblica Popolare Cinese (Rpc), Russia, Kazakhstan, Uzbekistan, Kyrgyzstan e Tajikistan. All'interno del contesto Sco, questi sei paesi cooperano principalmente al fine di agevolare la loro interazione economica, specie nel settore energetico, e allo stesso tempo collaborano per mantenere la regione centro-asiatica al sicuro dai cosiddetti "tre diavoli" ( three evils): terrorismo, estremismo e separatismo. Dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, e la conseguente lotta al terrorismo intrapresa dagli Usa e sfociata nell'intervento in Afghanistan, i paesi occidentali hanno rivolto la loro attenzione alla regione centro-asiatica, suscitando le paure di Russia e Rpc, che poco gradiscono l'incremento della presenza americana vicino i loro confini, temendo un possibile accerchiamento. Inoltre, gli abbondanti giacimenti di petrolio e gas-naturale e la fitta rete di condotti per il transito delle risorse rendono la regione sensibile punto di sovrapposizione dei bisogni di approvvigionamento energetico sia dei paesi occidentali che di quelli asiatici.

La paura che un'area tanto rilevante dal punto di vista energetico possa finire sotto l'influenza di Russia e Cina, accresce i timori dei paesi occidentali nei confronti della Sco. La natura autoritaria e anti-democratica degli attuali governi dei paesi membri e i rapporti tendenzialmente conflittuali tra Usa, Russia e Rpc lasciano presagire a molti in Occidente che la Sco possa presto diventare un'alleanza militare anti-occidentale con l'intento di contrapporsi alla Nato e monopolizzare i rifornimenti energetici provenienti dall'Asia centrale. A fomentare questi timori sono state anche le ammissioni nel 2005 di Pakistan, India e Iran come paesi "osservatori" dell'organizzazione. E' necessario quindi analizzare i legami tra i paesi membri della Shanghai Cooperation Organization al fine di capire la natura stessa dell'organizzazione e verificare l'eventualità che questa possa costituirsi come una reale minaccia anti-occidentale, anche se uno scenario di scontro tra Nato e Sco sembra oggi altamente improbabile in virtù del complesso intreccio di rapporti a livello bilaterale e multilaterale che intercorrono tra i paesi dei due schieramenti. La Sco non nasce come un'alleanza militare, ma è piuttosto un frame-work presso il quale i paesi membri cooperano per trovare soluzioni alle gravi problematiche interne, ma più in generale sull'area geografica da essi occupata (compresa la preoccupazione sulla potenziale interferenza che gli Usa possono esercitare nella zona).

Gli anni Novanta hanno rappresentato per la Cina un periodo di svolta radicale in materia di politica estera. Sono questi infatti gli anni in cui inizia a sgretolarsi il muro creato dalle nazioni occidentali che ha isolato il paese in seguito ai noti disordini di Tienanmen nel 1989. Fu il principio della crescita di influenza cinese a livello globale, sospinta da un eccezionale sviluppo economico, e con la quale tutti gli attori mondiali non hanno potuto fare a meno di confrontarsi. Un'influenza che ben presto arriverà a rappresentare un rispettabile concorrente per l'altra grande super-potenza mondiale, gli Stati Uniti d'America.
È questo anche un periodo di intenso fermento in campo diplomatico; la Rpc - per allentare la presa statunitense sul Pacifico e ritagliarsi degli spazi di manovra, che le hanno poi permesso di dar sfogo ai suoi bisogni politico-economici - aderì ad un cospicuo numero di iniziative multilaterali, come ad esempio: l'Apec (1991), il Four Party Talks (1996) o l'Asean+3 (1997). Fra queste figura lo Shanghai Five Process, che ebbe il suo primo round il 24 aprile del 1996.

In quell'anno, la situazione nelle acque del Mar Cinese orientale e meridionale era già abbastanza tesa e la Rpc era preoccupata dalla disputa sulle isole Paracels e le Spratly 6, ma soprattutto dalle elezioni presidenziali a Taiwan, che avrebbero portato allo scoppio alla terza crisi dello stretto. Vista la forte instabilità del fronte orientale, la Cina volse le sue attenzioni nell'area occidentale, per tentare di trovare una soluzione definitiva alla storica disputa sui confini con le repubbliche ex-sovietiche e creare, di conseguenza, un fronte stabile e sicuro per alleviare la tensione che premeva lungo i confini. Al tempo stesso, colse l'occasione per creare un'intesa attività diplomatica per distendere i tesi ed ambigui rapporti con la Russia 7. Da parte loro, le repubbliche dell'Asia centrale non erano ancora riuscite a creare solidi governi dopo la dissoluzione dell'Urss. Sotto il governo centrale sovietico, questi paesi furono sfruttati come "colonie dell'Urss", con lo scopo di fornire risorse naturali allo stato grezzo e completamente dipendenti da Mosca per qualsiasi altro settore. Secondo E. Kavalski, ciò ha contribuito a rendere questi paesi " awkward states" durante il periodo post-sovietico, ovvero stati immaturi per intraprendere il processo di state building.

I capi di stato di Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan e Russia si incontrarono per la prima volta a Shanghai per discutere su come risolvere le dispute lungo i 7.000 km di confine che i paesi dell'Asia centrale e la Russia condividono con la Cina. Per implementare la risoluzione della questione, i leader concordarono in buona sostanza che: le forze militari non sarebbero state ingaggiate in alcuna attività offensiva nelle zone in questione; di non condurre esercitazioni militari contro uno dei paesi e di ridurne la portata, il livello e la frequenza; di informarsi l'un l'altro in caso di attività militari nel raggio di mille chilometri dal confine; di prevenire operazioni militari pericolose nella zona in questione; di invitarsi reciprocamente ad assistere alle esercitazioni militari pianificate. In quell'occasione, la Cina puntualizzò il bisogno di prevenire e limitare il passaggio alle frontiere da parte di movimenti pan-uigurici (chiaramente preoccupata dal sostegno che gli uiguri potevano trovare tra i mussulmani dell'Asia centrale) e di contrastare attività che avrebbero potuto minacciare la sovranità nazionale. Inoltre, uno degli obiettivi principali dell'organizzazione fu poi quello di cooperare contro il terrorismo e l'integralismo islamico nella regione. Si decise quindi di creare un centro antiterrorismo a Bishkek, in Kirghizistan, per controllare innanzitutto i movimenti alle frontiere.

D'altro canto, il governo cinese, come segno immediato di buona volontà per stabilizzare i territori di confine - e contestualmente dare l'esempio su come trattare una delle più grandi problematiche che tutt'ora affliggono gli ex membri dello Shanghai Five, ovvero il separatismo islamico - lanciò alla fine di quello stesso mese la prima campagna yanda ("picchia duro") o, come viene chiamata in inglese, Strike Hard Campaign. La campagna iniziò nell'aprile 1996 per piegare il crimine, il separatismo e le attività religiose illegali. Successivamente, campagne della stessa natura, ma con obiettivi e modalità sempre più radicali, si sono ripetute con cadenza annuale fino al 2004. Sono state tutte caratterizzate da migliaia di arresti, anche illegali, da processi sommari e sentenze arbitrarie, e a volte con condanne alla pena di morte. La rapidità con cui si svolsero queste campagne, e l'altissimo numero di arresti e di condanne che ne risultarono, fu di certo attribuibile ad una direttiva del governo centrale, che obbligava i tribunali a ridurre al minimo i tempi dei processi secondo il principio delle "due basi" ( liang ge jiben). Per procedere erano sufficienti solo " basic truth" e " basic evidence ".

Il primo frutto dello Shanghai Five Process fu rappresentato dall'accordo sulla risoluzione delle dispute di confine firmato tra Cina e Kyrgyzstan. Il secondo summit si tenne a Mosca il 24 aprile del 1997 ed i leader dei Paesi partecipanti stipularono un accordo riguardante la progressiva riduzione delle forze militari nelle zone di confine. Il terzo summit, tenutosi ad Almaty (Kazakhstan) nel 1998, vide l'ampliarsi dell'agenda dello Shanghai Five: si discusse di cooperazione economica regionale, rispetto reciproco e rispetto della sovranità nazionale dei Paesi membri (principio di non-interferenza in questioni interne), risoluzione pacifica degli attriti e lotta congiunta ai "tre diavoli". Inoltre, esisteva un altro fattore che rendeva particolarmente importante questo summit; al contrario dei primi due, nel corso dei quali Russia, Kyrgyzstan, Kazakhstan e Tajikistan facevano fronte comune per interagire con la parte cinese, da Almaty in poi i dialoghi vennero condotti in maniera propriamente multilaterale. Subito dopo questo summit vennero gettate le basi per la risoluzione della disputa tra Cina e Kazakhstan. Dopo il quarto summit (Bishkek 1999) la disputa sui circa 1.000 km di confine tra Cina e Kyrgyzstan venne definitivamente risolta. Il 5 luglio 2000, a Dushanbe (Tajikistan), si tenne il quinto summit. Al fine di rendere più efficace la collaborazione tra i paesi partecipanti, vennero proposti dei meeting supplementari tra ministri della difesa e ufficiali in carica alle dogane, truppe di pattuglia dei confini e organizzazioni di sicurezza. Inoltre, venne proposto di tenere esercitazioni anti-terrorismo congiunte. Venne anche espressa l'opposizione dei paesi membri allo sviluppo delle Theater Missile Defense (Tmd), con speciale riferimento al caso di Taiwan, e il supporto al Nuclear Non-Proliferation Treaty. Durante il summit, Cina e Tajikistan conclusero un accordo che risolveva permanentemente il problema dei confini tra i due paesi.

Lo Shanghai Five Process era ormai maturo ed il 14 settembre 2001, dopo che la Rpc si era detta pronta a sostenere gli Usa nella loro "battaglia globale", il "gruppo di Shangai" sottoscrisse una dichiarazione in cui, oltre ad affermare che "il terrorismo internazionale è diventato una seria minaccia per l'umanità", manifestava la volontà di " to raise the Shanghai Five to a higher level" e di " build a regional organization of multilateral cooperation covering various fields". Veniva così annunciata la creazione di una nuova organizzazione multilaterale, la Shanghai Cooperation Organization, che includeva adesso anche l'Uzbekistan. Molti esperti hanno visto nella creazione di questo nuovo soggetto, politico e strategico, un'abile mossa di Pechino per aumentare la propria sfera di influenza economica e geopolitica in Asia centrale. La Sco nacque il 15 giugno 2001 durante il meeting tra paesi aderenti allo Shanghai Five Process e la Repubblica Islamica dell'Uzbekistan, rappresentata dal presidente Islam Karimov che già aveva assistito in qualità di osservatore al summit di Dushanbe dell'anno precedente. Fu in questa occasione che i capi di stato delle sei nazioni firmarono la Declaration on Establishment of Shanghai Cooperation Organization. Nei 12 punti che compongono il documento vennero ribaditi i progressi ottenuti all'interno dello Shanghai Five Process, sulla base dei quali era possibile creare un frame-work in grado di rafforzare i legami tra i sei paesi dal punto di vista economico, politico, militare, scientifico, tecnologico, energetico, culturale e ambientale.

Il presidente cinese Jiang Zemin elaborò il cosiddetto Shanghai Spirit, che doveva disciplinare il codice di condotta dei paesi associati sulla base dei principi guida sulla sicurezza, indicati nel summit di Almaty del 1998: non-interferenza nelle questioni interne, rispetto della sovranità nazionale, mutua fiducia, mutuo aiuto, consultazione multilaterale ed eguaglianza. Inoltre, le relazioni tra Stati vennero disciplinate sulla base di quanto concordato dai primi due summit dello Shanghai Five Process mentre, per quanto riguarda i rapporti con i paesi esterni, la Sco aderì ai principi di non-allineamento, di non prendere di mira nessun paese o regione e di essere un'organizzazione aperta verso l'esterno. Per quanto riguarda la lotta al terrorismo, al separatismo e all'estremismo, venne proposta la creazione del Centro Anti-Terroristico Sco a Tashkent (Uzbekistan). Infine, per coordinare i vari dipartimenti dei Paesi venne stabilito il Consiglio di Coordinazione Nazionale, organo fulcro della struttura organizzativa del gruppo. Contestualmente, nasceva anche "l'Alleanza di Shanghai" ovvero un nuovo allineamento dei "potenti", deciso a Shanghai tra il 19 e il 20 ottobre 2001, in occasione del vertice dell'Associazione per la Cooperazione Economica dell'Asia-Pacifico (Apec).

L'incontro tra i presidenti Jiang Zemin, Vladimir Putin e George W. Bush si concluse con la firma di una dichiarazione in cui si denunciava il terrorismo internazionale e il presidente Bush che affermava che " China response immediately to the attacks of September 11th. There was no hesitation, there was no doubt that they would stand with the United States [...] There is a firm commitment by this government to cooperate in intelligence matters, to help interdict financing of terrorist organizations". Leggendo tra le righe, questo incontro ha rappresentato un complicato intreccio di interessi personali: Putin ha cercato di conquistarsi la tacita acquiescenza di Washington per continuare la sua "guerra" contro i ceceni, mentre Pechino ha ricercato la comprensione, o quantomeno il silenzio, di Washington sui suoi affari interni, specificatamente sul modo in cui la Cina reprimeva le aspirazioni all'autonomia dei due popoli sotto il suo controllo, i tibetani e gli uiguri dello Xinjiang. In merito, Pechino temeva che il terrorismo a sfondo religioso, soprattutto quello proveniente dall'Afghanistan e dalle regioni vicine (Tibet compreso), potesse compromettere il controllo sullo Xinjiang, grande serbatoio di ricchezze naturali. Nel 2002, la principale azienda petrolifera cinese, la PetroChina, ha firmato un patto con l'anglo-olandese Shell, la statunitense Exon Mobil e la russa Gazprom, per la costruzione di un gasdotto che dalle aree desertiche dello Xinjiang, nel nord-ovest, raggiunge la costa orientale del Paese. La Cina aveva dunque le sue buone ragioni per assicurare stabilità alla regione irrequieta dello Xinjiang: garantire l'energia necessaria per alimentare la rapida crescita economica ed espandere la propria influenza politica in una regione di confine così critica. Poi, durante il secondo meeting dei capi di governo della Sco, tenutosi a San Pietroburgo il 7 giugno 2002, venne definitivamente approvata la costituzione dell'associazione, che acquisì così personalità giuridica. Con l'inaugurazione del Segretariato, che ebbe luogo a Pechino (dove tuttora ha sede) il 15 gennaio 2004, la fase di gestazione della Sco poteva ritenersi pienamente compiuta.

Nei primi anni Novanta, a seguito dello smembramento dell'Unione Sovietica, la Rpc dovette confrontarsi con il nuovo scenario geopolitico delineatosi ai suoi confini nordoccidentali, caratterizzato dalla comparsa di cinque nuove repubbliche indipendenti, tre delle quali Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, che confinavano direttamente con il territorio cinese. La necessità di regolamentare le questioni transfrontaliere e l'esigenza di sviluppare delle relazioni con le nuove entità statali indussero le autorità politiche di Pechino ad elaborare sin dalle prime fasi una nuova politica estera ed una strategia rivolta all'Asia centrale, orientata secondo tre direttrici prioritarie: sicurezza, scambi commerciali, e risorse energetiche.
Da un punto di vista della sicurezza nazionale, la Cina temeva il potenziale effetto destabilizzante provocato dalla nascita di cinque stati indipendenti ai confini della regione autonoma dello Xinjiang, popolata in maggioranza da popolazioni musulmane turcofone (come gli uiguri ed i kazachi), presenti anche nelle regioni confinanti 8.

Per assicurare la stabilità e la sicurezza della regione, e sfruttare le opportunità politiche ed economiche offerte dal nuovo contesto regionale, la Cina ha adottato la strategia dello " Zhoubian zhengce" (politica periferica), fondata sulla creazione di relazioni diplomatiche con le nuove repubbliche per sviluppare positive relazioni transfrontaliere e crescenti legami economici. Desiderosa di mantenere lo status quo, la Rpc fu uno dei primi stati a riconoscere politicamente i nuovi stati indipendenti ed a stabilire con essi piene e costruttive relazioni diplomatiche. Durante la visita del premier Li Peng nel 1994 nei paesi centroasiatici, vennero sanciti i principi base sui quali dovevano fondarsi le relazioni tra la Rpc e l'Asia centrale, sottolineando che la cooperazione economica costituiva il primo obiettivo della strategia cinese nella regione. Con l'intento di garantire e rafforzare la sicurezza trans-frontaliera, la Cina concentrò la sua azione nei confronti di Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, repubbliche con le quali condivideva, oltre i lunghi confini, anche le medesime preoccupazioni riguardo alle minacce contro la stabilità nazionale 9.

Le relazioni con il Kazakistan acquisirono una particolare rilevanza: con il trattato del 1994 vennero risolte le questioni legate ai confini comuni e quelle relative allo smantellamento dell'arsenale nucleare kazaco. L'anno successivo si cercò di affrontare il problema dell'instabilità provocata dal separatismo su base etnica, per la presenza di minoranze etniche uigure e kazache nei rispettivi territori nazionali. Vennero mantenute delle restrizioni alle migrazioni transfrontaliere, in particolare degli uiguri cinesi che si ricongiungevano alla diaspora uigura in Kazakistan, dove vi era un migliore tenore di vita. Inoltre, il Kazakistan rappresenta il principale partner economico commerciale della Cina: condivide con esso un lungo confine che costituisce un ampio mercato di sbocco per i prodotti cinesi e possiede materie prime e idrocarburi che sono necessari alla Cina per sostenere l'impetuosa crescita della sua economia.

La regolamentazione delle dispute territoriali con le repubbliche transfrontaliere permetteva di stabilire un clima di fiducia che gettava a sua volta le basi per un approfondimento della cooperazione sino-centroasiatica, soprattutto in materia di sicurezza, e legata alla situazione dello Xinjiang, dato il successo di Pechino negli accordi di cooperazione bilaterale con i paesi centroasiatici, compreso l'impegno ad un attenta sorveglianza e talvolta l'interdizione delle attività politiche e culturali delle organizzazioni nazionaliste uigure sul loro territorio. Attraverso una politica di rafforzamento delle infrastrutture di trasporto e di comunicazione e con l'apertura di passaggi transfrontalieri, vengono offerte alle repubbliche centroasiatiche delle ottime prospettive di rompere il loro isolamento economico, causato dall'impossibilità di accedere ai mari 10: parallelamente, la collocazione geografica dell'Asia centrale tra Cina e Occidente acquista valore per il rafforzamento del commercio e delle esportazioni cinesi su questo asse.
Sul piano multilaterale, per favorire lo sviluppo di un clima di fiducia regionale, si intensificano le relazioni con Russia, Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan per la demilitarizzazione delle zone transfrontaliere, che si concretizzano nell'aprile 1996 nel citato trattato sulla creazione di misure di fiducia nelle zone di confine (trattato di Shangai) e un accordo sulla riduzione delle forze militari nelle aree di confine (accordo di Mosca) nel 1997.

Gli eventi dell'11 settembre 2001 e la conseguente comparsa degli Stati Uniti nello scenario centroasiatico indebolirono temporaneamente la strategia d'influenza cinese in Asia centrale: la penetrazione strategico-politico-militare statunitense, realizzatasi con l'installazione di basi militari in Uzbekistan e Kirghizistan 11 e l'appoggio logistico tagico alle operazioni militari della Nato, testimoniavano il nuovo orientamento filo-occidentale di tre stati membri della Sco, con il conseguente depotenziamento dell'organizzazione multilaterale e la marginalizzazione dell'attivismo politico cinese. Analogamente alla Russia, neppure la Cina si oppose in un primo periodo alla presenza militare statunitense, cercando di legittimarsi sul piano internazionale come una potenza responsabile, ma in realtà per ottenere dei vantaggi di carattere strategico, in quanto la presenza americana avrebbe eliminato la minaccia dei talebani afghani sulla stabilità interna e sulla sicurezza regionale 12. Successivamente, la Rpc ha intrapreso un'intensa attività diplomatica per ristabilire la propria influenza nella regione, per proteggere i propri interessi sia politici che economici oltre a quelli connessi alle esigenze di sicurezza, ma anche per cercare di circoscrivere l'influenza degli Stati Uniti, sia attraverso l'intensificazione delle relazioni bilaterali con le repubbliche centroasiatiche che attraverso la Sco, sempre più strumento della politica estera cinese orientata a ridurre l'influenza delle due rivali geopolitiche (russi e americani) nella regione centroasiatica.

Dopo la "rivoluzione dei tulipani" in Kirghizistan, membro fondatore della Sco, la Cina e la Russia hanno ulteriormente rafforzato la cooperazione economico-militare in ambito associativo, con l'obiettivo promuovere la stabilità regionale e il mantenimento dello status quo, che si è tradotto nel garantire sostegno politico-diplomatico e stabilità ai regimi autoritari centroasiatici. La Rpc cerca di utilizzare la Sco per rafforzare la propria influenza economica, sviluppando una approfondita cooperazione economica e commerciale multilaterale attraverso una politica di investimenti e agevolazioni: contrariamente alla Russia, che ha posto l'accento sulla questione militare e della sicurezza, la Cina insiste, ma sinora senza successo, sulla creazione di una zona di libero scambio tra gli stati membri della Sco 13, per rafforzare la stabilità dell'Asia centrale ed estendere la sua influenza nella regione.

Inoltre, è possibile desumere che all'interno delle relazioni dell'associazione esista una gerarchia su tre fasce di potere. Nella prima si vedono fronteggiare Cina e Russia, dove la prima vede nella Sco un mezzo per aprirsi un canale che la connetta alle risorse energetiche dell'Asia centrale ed uno strumento per contenere la Russia. Da parte sua, anche la Russia vede nella Sco un mezzo di contenimento nei confronti della Rpc, ma allo stesso tempo lo sfrutta come mezzo per mantenere la stabilità nella zona, per la quale passano i suoi preziosi condotti che riforniscono di risorse energetiche l'Europa e l'Asia. Al secondo posto, ci sono Kazakhstan e Uzbekistan, che grazie alle loro riserve di risorse energetiche e al sostegno fornito dalla Sco stanno aumentando il loro peso politico. Il Kazakhstan trae beneficio dall'associazione perché ottiene sicurezza nel settore energetico e l'Uzbekistan nel difendersi dalla minaccia terroristica. Alla base vi sono Tajikistan e Kyrgyzstan, che sperano di trovare nella Sco una soluzione ai loro problemi di instabilità istituzionale, sfruttando soprattutto la loro posizione strategica in campo militare ed energetico. E' bene sottolineare che la "cima" biforcuta dell'associazione, Russia e Cina, contraddistingue questo frame-work dalle numerose organizzazioni dell'area centro-asiatica (Csi, Eaec, Caco, Csto, etc.) in cui il ruolo di leader incontrastato della Russia fa sentire il proprio penso a scapito degli altri paesi membri. Per questa ragione, nella Sco le repubbliche minori riescono giocare su questa contrapposizione, ritagliandosi degli spazi di potere decisionale.

Sebbene Russia e Cina condividano anche una dichiarata avversione per l'unilateralismo Usa, la Sco non sembra comunque rappresenta il loro strumento per creare un blocco anti-occidentale in stile guerra fredda. Piuttosto, la Sco può essere meglio percepita come mezzo per contrastare l'ingerenza degli Usa nella zona. Possono essere lette in questo senso anche le esercitazioni antiterrorismo del 2005 e del 2007, ma una dimostrazione ancora più evidente è stato il vertice Sco di Astana, nel luglio 2005. Durante il summit venne intimato agli Usa di stilare una tabella di marcia per il ritiro delle ultime truppe Nato, presenti nella zona, dalle basi militari in Kyrgyzstan 14. È degno di nota il fatto che la stessa richiesta non è stata presentata alle truppe tedesche o francesi presenti nella zona.

Le maggiori pressioni affinché la Sco si tuteli dall'influenza americana provengono da Mosca, che spinge affinché l'organizzazione si fonda con il Csto ( Collective Security Treaty Organization), al fine di estendere il campo delle collaborazioni anche al settore militare. Da parte loro, gli altri paesi della Sco hanno finora respinto tale eventualità. Il desiderio di espandere la Sco ad alleanza militare può essere messo in correlazione alle preoccupazioni russe per la salvaguardia del settore energetico. Quest'ultimo è infatti di vitale importanza strategica per Mosca e l'organizzazione non è che uno dei mezzi dal quale la Russia può trarne beneficio. Alle prese con una crisi demografica ed economica, i russi tentano di sfruttare al meglio la loro posizione egemonica nel settore energetico per influenzare le politiche economico-energetiche dell'Europa, e mirano a fare lo stesso con l'Asia. Nei prossimi 10/15 anni, la Russia intende aumentare dal 3% del 2006 al 30% le sue esportazioni energetiche verso l'Asia, anche a costo di trascurare le pregresse alleanze. È emblematico il caso dell'oleodotto da Tayshet a Nakhodka, in Siberia. Questo condotto, iniziato dalla compagnia Transeft nell'aprile 2006, lungo 4.130 km e del valore di 14 miliardi di dollari, entrerà in funzione nel 2017. Arriva direttamente alle coste dell'oceano Pacifico, invece di attraversare il territorio cinese, per rifornire Giappone e Corea del Sud ed evitare che l'altro gigante Sco abbia troppo potere nella determinazione del prezzo del petrolio.

1. Se prendiamo in considerazione l'intricato contesto multietnico che caratterizza le Repubbliche centroasiatiche, si può facilmente immaginare il potenziale distruttivo e di conflittualità che potrebbe innescare l'emergere di forme di acceso nazionalismo a carattere etnico, destinato a minare seriamente la stabilità degli stati nazionali.
2. Un eventuale azione o strategia politica della Ue risultava indebolita anche dalla mancanza dellacomponente militare, necessaria per dare maggior forza alle richieste di carattere politico, non possedendoperciò il prerequisito fondamentale che garantisce la possibilità di intervenire concretamente.
3. Al nucleo originario di Stati - costituito da Armenia, Azerbaigian, Georgia, Kazakistan, Kirgizistan,Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan - si aggiunsero tra il 1996 e il 1998 Ucraina e Moldavia e, nel 2000, Bulgaria, Romania e Turchia. Nel 2005, Afghanistan ed Iran sono stati ammessi nel Mla, anche se non è ancora avvenuta la ratifica della loro adesione da parte degli altri contraenti.
4. In questa prospettiva venne organizzata a Tbilisi, nell'aprile 1997, una conferenza congiunta Ue-Traceca e Bsec (Cooperazione Economica Mar Nero) alla quale partecipano i 16 ministri dei trasporti dei Paesi interessati.
5. I 21 stati che nel 1997 entrarono a far parte del programma Inogate sono: Albania, Armenia,Azerbaijan, Bielorussia, Bulgaria, Croazia, Georgia, Grecia, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia, Macedonia,Moldavia, Romania, Serbia e Montenegro, Slovacchia, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina e Uzbekistan.
6. Nel 1995 la Rpc allarga il complesso Elint della base aerea di Lingshui ad Hainan, costruisce installazioni sul Mischeef Reef, sull'isola di Rocky (Paracel), mette in funzione una stazione Sigint e a Guangzhou viene condotta una delle più grandi operazioni di sbarco anfibi senza precedenti.
7. Fu proprio a causa dei disordini del 1969, lungo il confine Rpc-Urss (l'incidente dell'Isola di Zhenbao), che il governo cinese sperimentò la più grave crisi dovuta a fattori di politica estera, tanto che Mao Zedong e altri membri del governo, nel timore dello scoppio di un conflitto aperto, abbandonarono la capitale.
8. A preoccupare le autorità cinesi erano anche le tensioni etniche - ma con risvolti sociali e politici - tra gliuiguri e le popolazioni cinesi di etnia han, che potevano minare la sicurezza e l'integrità territoriale della repubblica. Nel 1949, la popolazione han nel Xinjiang era pari al 6% della popolazione della regione.Successivamente, Pechino ha incoraggiato la migrazione di contadini e militari cinesi di etnia han,modificando la composizione etnica della regione, cosicché kazachi e uiguri rappresentano oggi solo delle minoranze.
9. Con il Kirghizistan, la regolamentazione dei confini venne affrontata con i trattati transfrontalieri del 1996e del 1999, mentre per il Tagikistan fu necessario attendere la conclusione della guerra civile e l'attuazionedei successivi accordi di pace per addivenire ad una regolamentazione dei confini, realizzata tra il 1999 e il 2002.
10. Nel 1994,il Kazakistan divenne il primo stato centroasiatico a siglare un accordo intergovernativo con le autorità cinesi per esportare (ed importare) beni attraverso il porto di Lianyungang sull'oceano Pacifico,importante sbocco commerciale per le produzioni centroasiatiche.
11. Il Kirghizistan, oltre che a Mosca, chiese l'autorizzazione anche di Pechino riguardo alla concessione della base di Manas agli Stati Uniti. Pechino temeva gli effetti della presenza militare statunitense in Kirghizistan, poiché il paese poteva rappresentare un pivot importante per la strategia americana nell'area, data la sua prossimità al Caspio, all'Afghanistan ma anche allo Xinjiang. Oltre alle preoccupazioni di carattere militare, la Cina percepiva come minacciosa la presenza statunitense sul confine sino-kirghiso, anche in termini di stabilità interna, perché l'assistenza economica offerta prevedeva un processo di democratizzazione che rappresentava una minaccia ideologica per il regime cinese.
12. La Cina ha sfruttato il pretesto della lotta contro il terrorismo internazionale islamico per rafforzare la propria presenza militare nello Xinjiang.
13. Il totale degli scambi sino-asiatici ha raggiunto, nel 2006, i 12,05 miliardi di dollari, contro i 14,8 miliardi del commercio sino-russo, dove Pechino rappresenta un'ottima soluzione per la diversificazione del commercio. Il Kazakistan svolge un ruolo preminente con il 69,32% del totale del commercio tra Cina e Asia centrale.
14. Già nel 2004, Cina e Russia avevano espresso malcontento per la richiesta Usa di poter stazionare aerei Awacs e compiere voli di ricognizione nella base militare di Manas (Kyrgyzstan), nel cuore dell'area geografica Sco.

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