La maschera scarlatta di Palermo – Chi ha paura di migrare

Creato il 04 maggio 2015 da Abattoir

di Antonio Nicolò Zito

Sei una gran troia, ti metti a pecorina per leccare le scarpe ai poteri forti, i colpi ti fanno cadere le banconote dal petto… e a me fai entrare solo dal culo e quanto è stretto questo culo, cazzo!

Si imbarcano dalla Libia per approdare sulle coste italiane e in molti casi non è nemmeno il termine del loro viaggio. Un viaggio chiamato speranza, un viaggio chiamato necessità; normalmente è a più tappe, con tempi d’attesa lunghi. Uomini e donne scompongono il tempo della loro vita da quello del destino, vivono qui e adesso, aspettando, arresi al trascorrere dei giorni.

Fottuta Europa, entrerò un giorno, travalicherò le tue invisibili pareti di merda e anche io sarò uno di voi!

Scavalcano mura trasparenti e scivolose per entrare, spesso morti. Una speranza coronata tragicamente, ma parte del gioco: chi si imbarca sa quello che lo attende, spera solo di essere più fortunato, più capace… che la fortuna, la stessa che lo ha lasciato vivo nel suo territorio, spesso di guerra, ancora una volta sorrida.

Non mi vuoi, proprio non mi vuoi. Lo sento, lo dici, lo urli per farti ascoltare ma intanto, chi lavora i tuoi campi? Chi sparecchia le tue tavole, chi pulisce i culi merdosi, eh? Eh?!? E non mi dire di togliere la mano.

Il viaggio cancella chi sei stato, cancella il tuo passato, il tuo sesso; sei un’ombra sulla costa, uguale agli altri, non esisti, non c’è luogo per te e non vieni riconosciuto fin quando non entri nel sistema, che ti consegna all’angolo di una strada con spazzola e sapone.

Chi ha messo i confini al mondo? Chi ha deciso che non ho il diritto di cambiare? A chi spetta distribuire destini e prendere risorse? Chi cazzo sei tu per dirmi come devo vivere la mia vita?

Una frattura mai sanata, una divisione effettiva, un altro punto di vista. Due mondi: occidente, largamente inteso, e oriente, che si toccano solo con le mani sotto il tavolo per scambiarsi soldi. Due fratelli, Abele e Caino, il bianco e il nero, il razionale e l’istintivo, in lotta fra loro per il possesso di Gaia.

Guardami, cazzo, ti sto parlando! Guardami negli occhi, ti faccio schifo perché non ho il tuo colore, perché non parlo la tua lingua, perché non mangio quello che mangi tu, perché non ho studiato quello che hai studiato tu, perché credo in qualcosa di diverso, perché penso in maniera diversa… No, tu hai solo paura, paura di guardarti allo specchio e vedere crepate le tue certezze, il piccolo mondo che ti sei creata, le illusioni di cui vivi e a cui non sai rinunciare. Senti il puzzo delle pezze al culo, il rumore della fame e il desiderio di rivincita; non vuoi ricordare chi erano gli immigrati del secolo scorso, ti fa male pensare alle valigie di cartone, allo spago, agli addii: hai paura che succeda di nuovo. Pensi che io sia venuto a rubarti il futuro, a violentare i tuoi simili, a sporcare le tue città. Hai bisogno di crederlo. Ti fa comodo pensarti giusta e onesta, integerrima tra le tue mura di casa e proprietaria di diritto di tutto quello che hai senza il bisogno di doverlo creare con le tue mani, mentre sono le mie quelle che usi per i lavori sporchi, perché tu possa essere servita. Beh, lascia che ti dica una cosa: il mondo sta cambiando ancora. È ora che te ne faccia una ragione.


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