Dettaglio di una mater matuta esposta presso il Museo Campano di Capua.
Poche divinità, credo, possono esemplificare meglio come la memoria umana sia labile, perché la mater matuta era tanto venerata al suo tempo quanto è misteriosa oggi.Che fosse molto venerata ai tempi della Roma repubblicana lo sappiamo dall'enorme quantità di reperti diffusa in tutta la penisola italiana, e tutti raffiguranti lo stesso soggetto: una matrona seduta su di un trono, che regge in grembo, appoggiati alle braccia, diversi neonati in fasce.
Il soggetto è forse diffuso in tutt'Italia, ma per avere un'idea della profonda devozione che si nutriva per questa dea bisogna recarsi presso il Museo Archeologico Campano di Capua, che ha dedicato a questa figura ben cinque sale del suo spazio espositivo.
Sala delle matres matutae al Museo Campano di Capua che ospita la dea alla quale era dedicato il tempio che ospitava le opere votive.
Gli oggetti devozionali raffiguranti la dea si trovano in tutte le dimensioni: da quelle a dimensione naturale degne di occupare il sacello di un tempio, a innumerevoli statuine votive, passando per tutte le taglie intermedie senza soluzione di continuità.I manufatti esposti a Capua furono trovati nei pressi dei resti di un tempio che ospitava anche un'altra statua diversa da tutte le altre: una donna seduta su di un trono che reggeva nelle mani un melograno e una colomba.
La dea alla quale era dedicato il tempio presso il quale sono state trovate le matres matutae.
Chi ha seguito questo blog in passato, al solo nominare il melograno dovrebbe immediatamente aver collegato la dea capuana a Persephone, e attraverso lei, a Demetra, ovvero Cerere.Che le due dee, figlia e madre, abbiano per lungo tempo condiviso attributi, è cosa nota: la materna e matura dispensatrice di frutti, nonché la datrice di vita, il simbolo della fertilità in tutta la Natura, è stata col tempo separata dalla sua controparte nubile, dalla giovane che catturò lo sguardo e le voglie del maturo Ade e che, con la sua annuale permanenza nel regno sotterraneo preparava nascostamente il rigoglio della primavera a venire.
E dove mai si poteva celebrare Cerere (Kerres in osco) più che in Campania, una terra massimamente prodiga di doni della terra? Non ci sorprende, dunque, di trovare nelle sale del Museo Campano tante matres matutae, sulle quali vale la pena spendere qualche altra parola.
Le matres sono state accostate a divinità della fertilità per il gran numero di bambini che alcune recano in grembo, o a ex-voto offerti dalle partorienti, un'ipotesi perfettamente compatibile con Kerres, dea della nascita.
Ma come nascita, la Mater Matuta era anche dea dell'aurora, della nascita del nuovo giorno, insieme a Giano matutino, col quale condivide l'attributo.
Quanto era sentito il suo culto? Molto, a giudicare dalla sua diffusione, e dalle inevitabili sovrapposizioni tra culti di origine diversa relativi allo stesso argomento. Come dimenticare, infatti, che a Roma le partorienti erano protette dalla Bona Dea il cui culto era officiato nientemeno che dalle Vestali, e che molti aspetti rituali relativi a Demetra li troviamo ripresi nei culti della Bona Dea?
Ma proprio ai tempi della discesa di Annibale in Italia abbiamo anche un altro, apparentemente secondario dettaglio che ci racconta del sentimento popolare per questa dea, e lo troviamo nel nome di un cavaliere campano, tale Kerrino (dedicato a Kerres) Vibellio, detto Taurea, sul quale prometto di tornare prossimamente. Eppure, l'abbiamo visto nell'ultimo post, l'espressione devozionale nei nomi di persona non era un'usanza diffusa in Italia, segno che dietro la scelta del nome del nostro, un cittadino e un cavaliere, c'è stato un sentire particolare.
Eccoci dunque di fronte a una grande, grandissima divinità, fattasi umile, non minore, perché semplice e comune era l'oggetto del suo ministero, e quindi tanto più vicina e, possiamo immaginarlo, invocata, delle divinità olimpiche.