La maturità e Hobsbawm: abusare della storiografia

Creato il 05 luglio 2011 da Ilcasos @ilcasos

Il commento di Giovanni Belardelli sulla traccia storica dell’esame di maturità che vi propongo qui sotto sembra costituire una vera novità: il passaggio dall’uso (e abuso) politico della storia all’uso (e abuso) politico della storiografia, piegata ai diktat del senso comune e della vulgata della fine delle ideologie. Belardelli, infatti, costruisce un articolo sul nulla, parlando di un presunto errore di traduzione nel brano tratto dal Secolo breve di E. Hobsbawm. Secondo lui, non sarebbe possibile che Hobsbawm abbia definito come una “catastrofe” la fine delle esperienze comuniste in Urss e nell’Europa orientale. Ma, a leggere la versione inglese originale, il termine utilizzato è proprio “catastrophe[1]. Belardelli manipola così l’interpretazione di Hobsbawm: tesi che si può condividere o meno, ma che obiettivamente non si può negare come se non fosse neanche pensabile.
(Ilenia Rossini – dottoranda in storia contemporanea, Università La Sapienza, Roma)

Da: Corriere.it, 22/06/2011 (tit. or.: La «catastrofe» nell’errore del traduttore di Giovanni Belardelli)

La definizione di Hobsbawm poi rivista, perfetta per una visione d’insieme del ’900. Ma per gli anni Settanta, ricchi di eventi, era quasi necessario un altro tema.

Eric J. Hobsbawm

Curiosamente, in un’Italia in cui il presidente del Consiglio richiama spesso i suoi concittadini a vigilare nei confronti di un pericolo comunista mai superato, è proprio da uno storico come Hobsbawm (che non ha mai rinnegato del tutto gli ideali comunisti abbracciati in gioventù) che viene presa in prestito quest’anno la traccia del tema. In ogni caso, la cosa importante è che la lunga citazione si prestava bene a una visione/interpretazione d’assieme del ‘900 (non fosse per un errore di traduzione del quale dirò tra un attimo).

Certamente non contestabile la definizione degli anni che vanno dal 1914 al 1945 come «età della catastrofe» (alcuni storici hanno parlato di quel periodo come di un’unica, sostanzialmente ininterrotta, guerra civile europea). Altrettanto appropriata la definizione dei primi decenni del dopoguerra, soprattutto in riferimento alla società occidentale ma non solo (è in quel periodo che si attua il processo di decolonizzazione), come di un’«età dell’oro», segnata da profonde trasformazioni sociali, negli stili di vita e nella mentalità, che sono state percepite dai contemporanei come una svolta radicale rispetto all’intera storia umana precedente.

La fiducia in un progresso sempre maggiore ed esteso, sostanzialmente inarrestabile, venne meno negli anni ’70, soprattutto a partire dalla crisi petrolifera che diede immediatamente la sensazione di entrare in un’età dell’incertezza; un’età che, per molti aspetti, dura fino ad oggi. In questo caso, però, porta del tutto fuori strada la definizione di «età di catastrofe» presente nella citazione del libro di Hobsbawm, soprattutto se ci si riferisce, come egli fa, alla ex Urss e alle ex «nazioni socialiste» dell’Est europeo: per quanto si vogliano sottolineare (a cominciare dalla Russia attuale) i problemi e le incertezze della transizione alla democrazia avvenuta in quei Paesi, è indubbio che per chi vi vive la situazione sia enormemente migliorata rispetto a quella precedente il 1989.

Ma la responsabilità di aver impiegato una definizione inappropriata per il periodo che inizia con gli anni ’70 non è di Hosbawm ma del traduttore, come forse una più attenta lettura del testo da parte degli esperti ministeriali avrebbe potuto far supporre. Infatti nella versione originale (ma anche nel sommario dell’edizione italiana) gli ultimi decenni del secolo vengono definiti con il riferimento non a un’«età di catastrofe» (ripetendo dunque, inverosimilmente, l’espressione già usata per i trent’anni successivi al primo conflitto mondiale) bensì a una «frana» (The Landslide).

Qualche perplessità suscita infine il fatto che la traccia ministeriale, alla richiesta di valutare criticamente la periodizzazione contenuta nella citazione di Hobsbawm (ciò che appunto voleva dire confrontarsi con i caratteri dell’intero ‘900), abbia aggiunto l’invito a soffermarsi sugli anni ’70. Un decennio effettivamente pieno di avvenimenti importanti: dal ritiro americano dal Vietnam al ritorno alla democrazia in Portogallo, Grecia e Spagna, dalla guerra del Kippur al blocco petrolifero che ne derivò. Ma una loro trattazione equivaleva più o meno a svolgere un secondo tema.

Note   (↵ returns to text)
  1. «The last part of the century was a new era of decomposition, uncertainty and crisis and indeed, for large parts of the world such as Africa, the former U.S.S.R. and the formerly socialist parts of Europe, of catastrophe», p. 6.

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