Mio padre faceva il meccanico. Riparava le auto. Era dipendente e non aveva un'autofficina tutta sua, e forse anche per questo non ambiva che mio fratello e io facessimo, a nostra volta, i meccanici. Così non ci ha trasmesso l'amore per il suo mestiere. Anche perché poi noi figli non siamo mai stati molto portati per la meccanica. Soprattutto io, che so a malapena montare le catene da neve o controllare l'olio motore (a proposito, bisogna che guardi il livello). E pensare che ho anche il diploma professionale di congegnatore meccanico. Mi sono diplomato sul tornio, sulla rettifica, sul ferro battuto con scarsissimi risultati (fui persino rimandato ad aggiustaggio! Ovvero il lavoro su pezzi di acciaio da limare in modo da ottenere un piano quasi perfetto. Ero pessimo con il labor limæ. Non conoscevo ancora Orazio). Ma di questo – magari se ci sarà l'occasione – parlerò meglio un altro giorno.
Ma perché ho ricordato il mestiere di mio padre? Perché certe volte vorrei tanto esserlo anch'io un meccanico. Ma non per riparare, quanto per far inceppare il motore di una macchina famosa, molto in voga¹ negli ultimi periodi della cronaca politica e sociale italiana. La macchina del fango.
Leonardo spiega, con un post perfetto, le ragioni per cui l'articolo di Marco Pasqua (in un giorno di quaresima) costituisce un mirabile esempio di come funziona l'oliatissimo meccanismo del discredito gratuito, dell'additamento a pubblico ludibrio di qualcuno che esprime le proprie opinioni, giuste o sbagliate che siano, senza commettere alcun reato.
Ecco, se io fossi un meccanico, addetto al funzionamento della macchina dell'informazione, porterei il motore in officina per un tagliando approfondito riparando, ove possibile, o sostituendo (extrema ratio) le parti soggette a usura. In altri termini, io non sostengo che Marco Pasqua vada licenziato (anche se resterebbe poco senza lavoro: Il Giornale, Libero o il TG Com lo accoglierebbero a braccia aperte): soltanto, fossi il direttore responsabile, costringerei l'autore ad una rettifica a caratteri cubitali, in cui dovrebbe ammettere di avere sbagliato e in cui dovrebbe chiedere scusa a colei che ha “infangato”. Solo se si rifiutasse di farlo, provvederei a licenziarlo.
Premetto: io mi fido di quanto dicono Leonardo e, di passata, anche Cloro al Clero. Non ho certo letto tutti i post di costei e, in linea di massima, non sono tanto d'accordo col suo antisionismo. Ma mi sembra che la sua risposta, nel merito all'accusa ricevuta, sia sufficiente a coprire di ridicolo Marco Pasqua.
Ma perché Marco Pasqua ha scritto un articolo del genere? Forse perché ha l'obbligo contrattuale di proporre un articolo al giornale ogni tot giorni; egli non sapeva cosa scrivere, e – come ha scritto bene Leonardo – ha scritto fandonie. Ma pofforbacco! Pasqua è pagato per i suoi articoli e ha il dovere di informarsi e di essere il più completo ed esaustivo possibile. Non è mica un editorialista di fondo, non è mica un elzevirista, non è mica un blogger! Loro sì che si possono permettere il lusso, a volte, di essere approssimativi. I giornalisti devono essere precisi e riportare, per quanto possibile, notizie che hanno riscontro con la realtà.
Intendiamo: non è che i bloggers si situino fuori della realtà. Ci mancherebbe. Ma non sono giornalisti. I blogger, qualsiasi mestiere facciano, nel loro blog sono prima di tutto bloggers. Anche i giornalisti che tengono un blog, quando ci scrivono, diventano blogger. Ognuno nel proprio blog in un certo senso si spoglia e indossa una nuova veste di pensiero. Certo, ci trasciniamo dentro il nostro mestiere, il nostro essere, il nostro portato sociale e culturale. Ma nel blog escono parole, immagini, note che costituiscono, anzi: costruiscono un nostro sé particolare che là fuori nel mondo, forse, non avrebbe voce. Meglio: non avrebbe essere perché, forse, non sarebbe riconosciuto. «Chi apre un blog molto spesso sta cercando proprio una valvola di sfogo, un posto confortevole dove gestire le proprie opinioni, lontano dalla classe e dal mestiere quotidiano: che non è quello di catechizzare classi di discepoli adoranti.» (Leonardo).Valvole di sfogo. Anche qui: se il blogger, invece che insegnate, fosse un meccanico, si intenderebbe molto di più di valvole. Le famose sedici valvole.Ma, scherzi a parte, il punto è che noi bloggers (scusatemi se parlo al plurale: chi non si sente compreso in questo noi protesti pure) siamo tali perché nel nostro mestiere, nel nostro fare quotidiano (intellettuale o meccanico che sia) non abbiamo molto spazio per esprimere le nostre opinioni. Opinioni che dobbiamo esprimere perché, se restano chiuse dentro la gabbia del nostro pensiero, ci provocano ruggini, risentimenti, acidità: in breve, senza dire la nostra patiamo il mondo. E noi vogliamo compatirlo, toccarlo, viverlo, non restare solo in superficie, vogliamo connetterci, arrampicarci sulla scala della nostra finitudine.
¹Purtroppo non si tratta di un modello Fiat.
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