Molti ricordano il periodo passato fra i banchi di scuola con nostalgia, ma non sempre è così. Spesso infatti si è vittime di discriminazioni o di bullismo di vario genere, come già ci ha raccontato Mary : Io con i pantaloni azzurri.
Una nostra lettrice ci racconta il periodo passato alle scuole medie fra tabù e discriminazioni :
Alle scuole medie tutti siamo stati presi un po’ in giro, chi più e chi meno. In realtà, a ripensarci oggi sulla soglia dei trent’anni, mi rendo conto di quando fosse facile per un docente zittire un bulletto che rompe le scatole. Circa un anno fa ho fatto una supplenza in una scuola media e ho visto che la situazione con il tempo non ha fatto che peggiorare; perlomeno una volta noi avevamo il terrore delle note sul registro, oggi nemmeno quello temono, tanto al massimo si fa ricorso al TAR. Oggigiorno tutti fanno ricorso per qualcosa al TAR.
Comunque, questa è la mia storia, una delle tante storie che si sentono in giro, ambientate in una scuola media di provincia, nella profonda provincia, dove il sesso è un tabù, dove non si può nominare la parola “preservativo” senza essere derisi o fraintesi.
Mi avevano detto che le scuole medie sarebbero state impegnative, avrei dovuto studiare di più e in modo più rigoroso; quello che non mi avevano detto era che essendo femmina in via di sviluppo sarei stata bersaglio di luoghi comuni e battute stupide.
In classe più o meno eravamo pari, tanti maschi quante femmine, anche se noi femmine eravamo più timide e temevamo le parole e le prese in giro dei maschi. Ricordo che in prima media – quindi 11 anni! – durante le lezioni di musica con un professore rincoglionito, i maschi toccavano tranquillamente i seni a noi ragazze, sghignazzando come idioti. Io ero al limite dell’imbarazzo: indossavo maglioni extralarge per cercare di nascondere il seno che giorno dopo giorno cresceva come un funghetto e mi sentivo terribilmente a disagio quando le mani dei maschi tastavano ciò che io cercavo di nascondere.
Una mia compagna di classe aveva già in prima media un seno prosperoso e vi lascio immaginare le battute dei miei compagni: “F. me la fai una spagnola?”. Io posso capire uno scherzo, un gioco, qualcosa che risolve con una risata, ma una molestia verbale a sfondo sessuale seppur proveniente da un marmocchietto di 11-12 anni non è tollerabile. Eppure i professori non dicevano nulla: “fa parte del loro sviluppo, devono crescere, F. ignorali”.
Il passaggio dal mondo fatato delle elementari è stato traumatico non solo per me, anche per molte altre compagne. A parte la ragazza dal seno abbonante, vi era una ragazza che teneva sul banco una coccinella di peluche, come portafortuna o come monito di un’infanzia non ancora terminata; ebbene, era vittima di scherno e battute, tanto che ha dovuto rinunciare al suo portafortuna.
Ricordo che man mano che a noi ragazze veniva il ciclo, dovevamo correre in bagno con gli assorbenti nascosti sotto la maglia, fingendo di avere i fazzolettini di carta, perché di fronte ai maschi ci vergognavamo. C’era solo una compagna che andava in bagno con gli assorbenti in un astuccio visibile ed era bersaglio di risate e occhiate da parte dei maschi. Quando una di noi non faceva ginnastica, i maschi ci deridevano gridando nei corridoi: “N. ha le sue cose! Non fa ginnastica!”.
Non parliamo del giorno in cui iniziarono le lezioni di educazione sessuale in seconda media. Ricordo un terrificante cartone animato dove due cani si accoppiano e dove in un paio di scene dopo nascono dei bellissimi cagnolini. Vi lascio immaginare le urla della classe mentre nel video si vedeva in sezione stilizzata il pene del cane entrare nella vagina della cagnolina. Di quei giorni di educazione sessuale, se così vogliamo chiamarla, ho vivo l’imbarazzo di non poter nominare le parole “ovulo”, “spermatozoo”, “HIV” senza sentire le risate dei compagni e addirittura non volevo andare a scuola. Il caso ha voluto che proprio io, con un compagno maschio, fossi interrogata sulla riproduzione sessuale nell’ambito dell’interrogazione di scienze. Io ero rossa dall’imbarazzo, non rispondevo alle domande insistenti della docente che mi chiedeva semplicemente cosa succede quando uno spermatozoo entra in un ovulo. Io ero terrorizzata dal voto negativo che avrei preso, ma avevo più paura di pronunciare le parole sesso, fecondità, utero, e così via. Tra gli sghignazzi della classe presi un bel 4 e tornai al posto con le guance in fiamme e il cuore in gola all’idea di dare la notizia del mio brutto voto ai miei genitori.
I professori, dal canto loro, hanno sempre favorito alcuni alunni rispetto agli altri. Ricordo con orrore il giorno in cui la professoressa di scienze colse sul fatto una mia compagna che si dipingeva le unghie con il bianchetto; andò come una furia al suo banco, le prese le mani e le mise in alto di modo che tutti noi potessimo vederle, e disse: “Guardate L., guardate cosa fa durante la lezione anziché studiare!”. Era il caso di discriminarla così? Non poteva chiamarla in Presidenza e sgridarla da sola?
In terza media arrivò il momento di scegliere le scuole superiori e ci mandarono degli psicologi per farci dei test attitudinali. I test vertevano su domande di logica, cultura in generale e domande sulla nostra personalità.
Io in terza media ne avevo abbastanza, non vedevo l’ora di cambiare scuola e ambiente. Avevo in mente di frequentare un liceo in una città vicina al mio paese. Un giorno (prima dell’arrivo degli psicologi) la docente di italiano domandò ad ognuno di noi cosa volessimo fare. Io non avevo dei voti brillanti, ma era dovuto più alla mia timidezza che alla mia stupidità, infatti nei componimenti scritti andavo molto bene, mentre durante le interrogazioni ero sufficiente. In realtà, studiavo e a casa mi preparavo i discorsi, ma una volta in piedi davanti all’aula avevo paura di dire stupidaggini, di sbagliare tutto, allora mi bloccavo, mentre i soliti idioti ridevano e mi prendevano in giro. Solo quando la classe si divideva in due – c’era chi aveva scelto francese e chi inglese – con la metà classe del francese mi trovavo bene, i bulli facevano tutti inglese, e allora davo il meglio di me, senza problemi parlavo alla classe durante le interrogazioni di francese.
Comunque, tornando alla docente di italiano che chiede alla classe cosa fare dopo la terza media, ecco il mio turno: “Vorrei frequentare il liceo **** del paese di ****”. Un momento di silenzio e poi la risata fragorosa della professoressa che dice: “P. al liceo? Ma non durerai nemmeno un semestre!”. E i compagni tutti a ridere.
Alcune settimane dopo, arrivarono i risultati degli psicologi. Io, secondo loro, avrei dovuto frequentare un istituto professionale o un istituto tecnico, era sconsigliato il liceo.
Presi il diploma di scuola media un bel mattino di giugno e mandai tutti al diavolo. A settembre di quell’anno mi iscrissi al liceo, non sempre mi trovai bene con i compagni anzi (se volete un’altra volta ve ne parlo) ma dopo cinque anni mi diplomai con 95/100. Dopo il diploma, mi iscrissi all’università e uscii 5 anni dopo con una laurea specialistica in scienze con una votazione di 110/110 e Lode. A volte i professori delle scuole medie li vedo ancora, il nostro è un paese molto piccolo; quando li vedono mi salutano gentilmente e le professoresse di scienze e lettere dopo che hanno scoperto che mi sono laureata in tempo e con ottimi voti, mi hanno entrambe detto: “Brava P. tu si che sei brava, ma lo sei sempre stata.”
Già, grazie prof, ma non è assolutamente merito tuo.