La melagrana: il cibo dei morti

Creato il 01 novembre 2011 da Kalaris @EssereFreelance


Da piccola credevo che i frutti della melagrana fossero piccoli cristalli di fata, luccicanti e preziosi, ricchi e dolci, d’un viola porporino che si tingevano di bianco principesco o di bordeaux sangue a seconda dei capricci del frutto.

E’ stato solo molto più in là, crescendo, ma non dimenticando quel feeling silenzioso che è cresciuto fra me donna e lei frutto, che ho scoperto che è cosa divina, regale, simbolo di prima donna, sinonimo di Dea Madre.

Di questa simpatia si porta ricordo in sculture e ritratti che riproducono Madonne con in braccio bambini sacri e in mano il frutto magico, la melagrana. Ma il nostro viaggio, oggi ha lo scopo di portaci più indietro, molto più in là nel tempo, quando della madonna non s’era ancora mai sentito parlare, e quando a regnare c’era un’altra grande donna: la madre di tutti.

Fecondita’ e morte

Avrei dovuto comprenderlo subito che si trattava di un frutto sacro alla Dea, lo sono tutti quelli che in sé, frutti, oggetti o luoghi, conducono il dualismo della vita e della morte, dato che la morte è cosa che fa parte della vita, e senza la morte non si immaginerebbe nemmeno il significato della vita. E visto che era competenza della Grande Dea scandire il ritmo dell’una e dell’altra, la melagrana non potè che diventarne presto una buona amica.

D’altronde il frutto incarna perfettamente questo duplice significato: al suo interno è composta di molti semi, rivestiti di una succosa polpa violacea e sanguinolenta, dolcissima, tanto che ben presto le si legò l’idea di fertilità ed abbondanza. Cosa mai si potrebbe pensare di un unico frutto, che al suo interno, ben protetti, custodisce una quantità notevole di più dolci e gustosi semi?

Era durante le feste in onore della Dea Demetra, le Thesmophoria, che le ateniesi consumavano i frutti della melagrana, auspicio di prosperità e fertilità. I sacerdoti invece, non potendo consumare il frutto, incoronavano il capo con i rami della pianta.

Nella cultura ebraica la melagrana è sinonimo di correttezza e onestà. Al suo interno conterrebbe 613 semi, esattamente come nella torah sono contenute 613 perle di saggezza. Eppure anche qui la melagrana possiede anche significato di prosperità. Non a caso i puntali delle colonne del tempio avevano forma di rimonim (melograno appunto).

In Africa ed in India le donne sterili ne bevevano il liquido e nella Roma antica le acconciature delle giovani spose erano impreziosite da piccoli rami di melograno. In Persia le poesie d’amore ricorrevano spesso all’uso simbolico dell’immagine della melagrana e nella lontana Cina era frutto di buon auspicio, simbolo di lunga discendenza. In Vietnam leggende raccontano che aprendosi, la melagrana, lasciò uscire cento bambini, e in Turchia le giovani spose lanciano a terra il frutto: in base a quanti chicchi usciranno dalla melagrana, sapranno quanti figli avranno. La stessa Bibbia nel Cantico dei Cantici e altrove, parla della melagrana, riferendosi al suo simbolismo di fertilità. E’ infatti elencato nella Bibbia tra i sette prodotti agricoli della terra promessa, e risulta essere uno dei frutti portati dai dodici esploratori inviati da Mosè a esplorare la Terra di Canaan.

Eppure la melagrana è anche e soprattutto simbolo di morte, presente in luoghi di totale dominio della nera signora. Gli egizi la usavano durante le cerimonie funebri (ne sono stati ritrovati semi nella tomba di Ramses IV) e la mitologia greca ci racconta di Kore che cibatasi del cibo dei morti (la melagrana appunto) fu condannata alla periodica discesa negli inferi, regno dei defunti. Non a caso piccoli frutti in terracotta venivano posizionati nelle sepolture della Magna Grecia e di tutta l’Italia Meridionale.

Simbolo di morte o piuttosto di rinascita e di rigenerazione, la melagrana quando inserita in un contesto funerario era di buon augurio, perché là dove c’è morte, c’è pure rigenerazione. Un tempo lo si sapeva bene, si considerava la morte come una parte della vita, e i defunti, con il corredo funebre che li accompagnava nelle proprie dimore sotterranee simili al ventre di madre, si sarebbero probabilmente guadagnati una più rapida rinascita.

La melagrana nel mito

Quella duplicità di significato che a tutta prima potrebbe sembrare una contraddizione è piuttosto l’altra faccia di una medesima moneta: il ciclo della vita. A ricordarcelo ci pensano anche i miti che ci parlano del melo a grani.

La leggenda vuole che sia stata proprio Afrodite a piantare nell’isola di Cipro il primo melograno che da allora le divenne pianta sacra.

Altra tradizione, più nota, vuole che la pianta sia nata dal sangue di Dioniso, e ancora un’altra leggenda associa il frutto ad Orione, costellazione fra le più famose e luminose. Al tempo aitante cacciatore, si narra che Orione avesse spostato Side, tanto bella quanto vanitosa. Convinta d’essere più bella perfino di Era, la sfidò e venne punita dal marito che la scaraventò nell’Ade la dove si trasformò in pianta di melograno.

Interessante variante di quest’ultima leggenda racconta che Side fosse giovane e bella donna. Per sfuggire agli oltraggi del padre si uccise e gli dei pietosi sulla sua tomba, vi fecero crescere un melograno. Il padre invece venne mutato in nibbio, uccello che mai si posa sulle fronde del melograno.

Particolarmente suggestiva è la leggenda che racconta che il melograno fosse in origine una creatura femminile, Rhoiò, uno dei tanti nomi del frutto, figlia di Stafylos, il tralcio d’uva e di Dioniso. Dal padre adirato per non si comprende qual motivo, Rhoiò venne messa in un recipiente di argilla (utilizzato comunemente anche come contenitore di sepoltura) e buttata in mare. La fortuna volle che il recipiente arrivasse fin all’isola di Delo, dove Rhoiò generò Anios dal quale nacque Oinò, Spermò ed Elais, ossia il vino, il grano e l’ulivo.

L’attenta lettura di tutti questi miti consente di ripercorrere il ciclo di morte come sacrificio dal quale rinasce la vita.

Kore – Persefone e Demetra

Il mito più famoso è però quello di Kore – Persefone, spesso rappresentata con un frutto di melograno in mano, o con un suo fiore che la caratterizza immediatamente come Signora dei Morti.

Il mito più recente rispetto a quello di Rhoiò e di Side, comunque ne porta con sé gli antichi significati.

La leggenda ci racconta che il rapimento di Kore da parte di Ade avvenne per buona concessione di Zeus, ma l’ira di Demetra, affezionata madre della giovane rapita, non consentì più ai frutti di maturare sulla terra. Ciò costrinse il Dio di tutti gli Dei a rivedere le sue posizioni, che dopo un’attenta analisi obbligò Ade a liberare la sua prigioniera, anch’essa divenuta Signora dei Morti (non più Kore ma Persefone).

Prima di abbandonare il regno di Ade però fu convinta da questo a mangiare i frutti della melagrana. Fu proprio questo che la costringe ogni anno a discendere negli inferi e a regnare con il suo signore.

Il racconto sembra quasi parlare della grande Madre Vergine, in forma di Kore, che  ciclicamente deve discendere negli inferi, morire come vergine e trasformarsi in madre che genera il suo figlio luminoso.

Esattamente come accade alla luna, che periodicamente diventa nera e rinasce dopo l’unione con il sole, così Kore – Persefone, discendendo negli inferi e congiungendosi con Ade rigenera il cosmo e consente alla natura di rinascere. Il simbolismo del ciclo eterno della vita-morte-vita è più che palese, ma non per questo meno affascinante.

La melagrana in cucina e in farmacia

La conoscevano gli egizi, i fenici, i greci, i romani, eppure la sua origine si colloca nell’Asia Centro Occidentale, dove ancora cresce spontanea.

Utilizzata per la tintura delle pelli e come tenifugo, ha da sempre avuto un ampio utilizzo in cucina.

Apicio, che nel De Re Coquinaria, consiglia per la sua conservazione di immergerla per pochi attimi in acqua bollente  e di appenderla. La Bibbia invece parla del mosto della melagrana, il che ci porta a pensare che il suo succo fermentato divenisse probabilmente un liquore.

Sa matt’e s’arenada – la pianta del melograno in Sardegna

Un discorso a parte è da farsi per la Sardegna tradizionale, che a primo sguardo non pare legare al frutto ed alla pianta, il significato né di abbondanza, né di morte. Eppure non era raro, decenni a dietro, trovare grandi coltivazioni di melagrane, che difficilmente venivano utilizzate esclusivamente per il consumo alimentare. Come al solito chi cerca trova, e a  ben cercare, il legame con l’antico volto della melagrana, si trova anche sull’isola.

A Nule ad esempio per evitare che le pecore abortissero, pare fosse uso e consuetudine farle saltare due frutti di melograno accoppiati su d’uno stesso ramo. E’ dunque probabile che il frutto anticamente significasse anche sull’isola abbondanza e prosperità e il frutto doveva essere investito di un potere non da poco se per garantire fortuna e prosperità al bestiame, bastava un piccolo salto.

E guarda caso veniva regalato proprio il 2 Novembre, in occasione della Questua dei Morti, ai bambini che vi partecipavano. Questo uso era proprio di Selargius, ma niente ci fa immaginare che non fosse condiviso anche altrove.

Ma in Sardegna la melagrana era piuttosto un frutto che la morte aiutava ad allontanarla. Da sempre sono note le proprietà astringenti, antidiarroiche ed emostatiche del frutto, del fiore, della scorza e della corteccia dell’albero. Spesso usato come efficace vermifugo intestinale, gli infusi a base di corteccia o radice di melograno hanno salvato più di un bambino dalla tenia.

E a sorpresa l’uso del melograno e del suo frutto, non si esauriscono qui. Corteccia e scorza erano infatti utilizzate non solo per la cura, ma anche per la tintura di lana, cotone e in alcuni casi del lino.   

Grazie ad un lungo processo di ebollizione ed immersione delle fibre, si potevano raggiungere variegate colorazioni. Certo è che la più comune e ricercata era quella nera, d’altronde la più semplice da raggiungere, e la più in auge sull’isola sia per gli uomini, sia per le donne. A differenza dei tessuti neri oggi ottenuti con l’uso di coloranti chimici, quelli tinteggiati con il melograno non provocavano alcuna allergia o dermatite, e nonostante ripetuti lavaggi, il colore non perdeva brillantezza.

E’ probabile che, visti gli effetti benefici che il frutto aveva su adulti e bambini, si sia diffusa l’idea che i tessuti colorati con il melograno potessero avere effetto protettivo e preventivo su chi li indossava. Diversamente non si spiegherebbe perché i pescatori della zona di Sant’Antioco utilizzassero fasce nere che stringevano coltro l’addome, per tenerlo in caldo, e perché le mamme facessero bollire le lenzuola dei più piccoli nel decotto di corteccia di melograno, in modo tale da ottenere un color miele. La spiegazione più plausibile è che si ritenesse il melograno pianta capace non solo di curare, ma anche di proteggere da diverse malattie. Insomma quel che ci si aspetterebbe da un frutto sacro alla Dea Madre.

Il nero d’altronde non era l’unico colore che si poteva ottenere con l’uso del melograno. A seconda dell’aggiunta di uno o più ingredienti si potevano tinteggiare le lane di giallo (con la scorza del frutto maturo), di rosso, di granato, di verde o di marroncino.

E qui si conclude il nostro viaggio nel mondo della melagrana, frutto dei morti, ma soprattutto dei vivi.

{lang: ‘it’} Pubblicato il 1 novembre 2011 by Kalaris in Curiosità, Storie di Donne e Streghe

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