A Natale sbadiglio, a San Silvestro mi rattristo, il Primo Maggio mi arrabbio e il 25 aprile invece me lo tengo ben stretto, perché continuano a volercelo togliere dal cuore e dalla testa.
C’è qualcosa di disumano e incivile nella conversione meccanica dei diritti in doveri, quando reclamare giustizia, dignità, uguaglianza, ricordo, riconoscimento diventano un obbligo da imporre agli altri e a noi stessi, per non avere indulgenza per la complicità, per non avere comprensione per l’accidia, per non avere benevolenza per l’indifferenza dentro e fuori di noi.
Che sia stato necessario rendere istituzionale la memoria denuncia che se ne era fatto volontariamente un impiego limitato e riottoso: la storia e nemmeno l’esempio insegnano. Negazionismo, rimozione e pregiudizi vecchi e nuovi sono consoni ad esistenze dove il tempo è un concetto convenzionale e elastico come lo spazio. e come la morale. E dove la tolleranza diventa alibi e la parità un disinvolto espediente formale per giustificare anche se stessi tra altri che commettono piccole e grandi infamità, meschini o potenti soprusi, che tanto siamo tutti uguali.
Ce ne sono anche di conio recente, di pregiudizi. Che un paese abbia un obbligo gerarchico di superiore umanità per via del torto subito, sublime forma di razzismo all’incontrario. Che la salvezza dei valori del vecchio e opulento occidente giustifichi la sommersione di popoli e territori che non appartengono alla sua geografia. Che la difesa dei nostri miserabili privilegi autorizzi il rifiuto di chi ne avrebbe altrettanto legittimo diritto.
C’è anche un razzismo di nuovo conio, quello che impiega la politica come “amministrazione” adibita all’esclusione: controllo oculato dei flussi, barriere alle frontiere per disperati e non per evasori o criminali che fanno bene all’economia, permessi arbitrari, autorizzazioni indebite, segregazioni difensive e offensive. E c’è anche una integrazione “moderna” quanto di più sobriamente e accettabilmente xenofobo si possa immaginare. Quella di chi crede di appartenere di diritto alla storia, col monopolio dell’identità, gli acculturati, i civilizzati, gli autoreferenziali salvifici con chi sta anche per nostra colpa nel cono d’ombra della cronaca, a volte la cronaca nera. Da redimere con regole, tasse e doveri condivisi, con l’ossessione di farli diventare come noi. Perché noi non siamo razzisti.. i nostri migliori amici sono ebrei, gay, però, gli zingari…
Non mi stancherò di ripetere che Berlusconi non è l’aberrazione o la malattia. È il volto prestato a una certa Italia. E la Lega non è un incidente nell’autobiografia del Paese, ma la forza in parlamento che ha nutrito ed estratto istinti bestiali, che ha dato dignità all’oscurantismo e alla sopraffazione, che ha dato asilo all’infamia e alla diffidenza.
Si, quando i diritti diventano doveri, è inevitabile ricorrere al calendario. È obbligatorio commemorare. Ma ancora più necessario festeggiare quel poco che resta in noi di umano insieme agli altri, ospiti e passanti fuggevoli di questo mondo, amici e sconosciuti, uguali.