Fotografia di Cristina Donato
Cristina Donato, la nostra corrispondente da Parigi, non solo ci racconta quanto accadde quel maledetto 7 gennaio 2015, ma ci spiega la differenza tra Islam e Islamismo. Sentimento e ragione, cuore e cervello. Buona lettura.
Il 7 gennaio 2015 era un giorno come un altro. Faceva freddo, avevo l’influenza ed ero da poco rientrata a Parigi dopo aver trascorso le vacanze di Natale in famiglia.
Quella mattina mi trovavo con i miei amici e colleghi in un’aula del campus di Jussieu all’Università Pierre et Marie Curie. L’interesse per la lezione che stavamo seguendo era stato ampiamente sorpassato dalla voglia di assaggiare i dolci tipici natalizi che ognuno di noi aveva portato dal proprio paese d’origine. Pandolce genovese, biscottini polacchi, indiani: un mix di sapori e di culture diverse, un gruppo di amici che incarna perfettamente la multiculturalità che da sempre caratterizza la meravigliosa Parigi.
Era quasi mezzogiorno quando il mio cellulare aveva cominciato a ricevere chiamate, sms, messaggi su Facebook, Whatsapp.
“Stai bene?”
“Dimmi che sei al sicuro..”
“Hanno sparato nella via di fronte a casa mia… è pieno di polizia… non uscite per strada!”
Le prime notizie parlavano di attentato alla sede di un giornale, di molti morti, di killer in fuga, di rivendicazioni islamiste. Islamiste sì. E in questo momento, interrompo un attimo la mia storia per aprire una parentesi. Perché tra Islam e Islamismo c’è una grossa differenza. Il primo è una religione monoteista, come lo sono l’Ebraismo e il Cristianesimo, per essere chiari; il secondo termine deriva dalla lingua francese, “islamisme”, ed è stato utilizzato per la prima volta negli anni ’70. L’Islamismo è una concezione meramente politica dell’Islam. Questo movimento si basa sostanzialmente sulla scelta e l’interpretazione dei testi che costituiscono la “charia” (ad esempio il Corano e la Sunna). Esistono diversi modi di interpretazione dei testi, per questo si possono spiegare le diverse correnti islamiste che talvolta sembrano seguire ideologie completatemente differenti l’una dall’altra (adattato da https://fr.wikipedia.org/wiki/Islamisme). Chiusa parentesi.
Non mi era mai capitato di trovarmi in una città presa di mira da un attentato. Pensavo che certe cose si vedessero solo alla tv e che io non le avrei mai vissute sulla mia pelle e soprattutto, che non potessero capitare a qualche isolato da casa mia. Nei giorni seguenti come sappiamo ci furono altri morti, la poliziotta a Montrouge, le persone al supermercato kosher a Porte de Vincennes, il sequestro della tipografia.
Ricorderò sempre la paura, il suono costante delle sirene, l’ansia nel prendere la metro. Piano piano però, tutto é tornato alla normalità e fino a due settimane fa, nessun cittadino parigino pensava di doversi trovare nuovamente nell’inferno.
Uno dei miei ristoranti preferiti è in rue Bichat. Ci vado spesso e, dopo cena, di solito faccio una passeggiata a Canal Saint-Martin e mi fermo per una birra con gli amici in uno dei tanti locali sempre pieni di gente. Rue de Charonne è a cinque minuti a piedi da casa mia. Il 7 novembre mi trovavo in rue Bichat con una cara amica. Abbiamo riso, scherzato e parlato di quanto siamo fortunate a vivere e lavorare a Parigi, nonostante casa, e pesto e focaccia, ogni tanto ci manchino. Sei giorni più tardi, in quei posti in cui avevamo passato una serata normale, l’inferno.
Mi trovavo a casa in Italia, ma ho scelto di rientrare in Francia il lunedì dopo gli attentati. Aereo semivuoto, aeroporto Charles de Gaulle popolato da tanti viaggiatori con il viso cupo. Sulla RER i discorsi principali riguardavano i fatti di venerdì. Stazione di Chatelet-Les Halles deserta, tanti musulmani col volto triste ed impaurito, tanti giovani in lacrime, di nuovo il suono delle sirene in ogni angolo della città, i parenti delle vittime disperati davanti all’obitorio. Non è stato un facile rientro. Ho convissuto con la vera essenza della paura per una settimana. Ho passato le giornate a lavorare e a leggere le notizie in tempo reale, per provare a CAPIRE. Capire tanta violenza, tanto odio.
Le strade sono spesso controllate da soldati dell’esercito francese, ragazzi che avranno poco più di vent’anni, ragazzi che sono più giovani di me.
La settimana scorsa mi è capitato di incrociare il mio sguardo con uno di loro. Quel ragazzo sbarbatello aveva forse più paura di me nonostante la divisa e il fucile che gli pesava attaccato ad una spalla.
I musulmani sono violenti? Vogliono distruggere la civiltà? Chiedetelo ai miei vicini di casa musulmani e forti che condannano tanto la violenza quanto il fondamentalismo, ai miei amici che credono nell’Islam come la maggior parte degli italiani professa la religione cattolica, alle ragazze con il velo con le quali mi fermo a parlare e a scherzare nel mio palazzo.
I francesi vogliono la guerra? I francesi bombardano? No. Chiedetelo a “noi” parigini, a noi che respiriamo ogni giorno l’aria ancora piena di sangue e paura ma che, nonostante tutto, abbiamo ripreso a bere le nostre birre sulle “terrasses” dei bistrot, a prendere la metro, ad andare al cinema. (Cristina Donato)