la mia bicicletta

Da Michele Orefice @morefice73

É con me da quando avevo quattordici anni. Mi ha accompagnato dappertutto. Una compagna fedele. Un pezzo della mia vita. Mi ha portato tutti i giorni per cinque anni al mio adorato liceo classico. Sfrecciavo veloce fra le macchine, violando qualsiasi indicazione stradale. Avevo il futuro nelle mie mani e queste mi sembravano troppo piccole per contenerlo tutto. Anni meravigliosi di sogni spensierati. C’è stata poi anche durante gli anni dell’università. Mi portava fino alla stazione dei treni, la legavo ad un palo e mi infilavo in un treno che mi avrebbe portato a Ferrara dove frequentavo giurisprudenza. Rimaneva ad aspettarmi al sole o sotto le intemperie fino a quando nel pomeriggio, ormai avanzato, tornavo a casa. Ricordo che mi piaceva sentire l’aria fresca della sera sul viso. Con la mia bicicletta correvo veloce a casa. Lo so, lo dico sempre ai miei figli quando litigano per gli oggetti, che questi non sono importanti. Ma la mia bicicletta ha smesso di essere tale ed è diventato qualcosa di più di una cosa. Mi parla di tante persone che ora non ci sono più. Rivedo mio padre che, brontolando, tutte le sere quando tornava a casa la riponeva in garage dicendomi: abbi cura delle nostre cose, costano soldi e noi è facile guadagnarli. Quanto vorrei risentire la sua voce. Mio padre è con me tutte le sere che adesso, spontaneamente, ripongo la mia bici in garage. Risento le sue parole… E poi dicono che l’ esempio non serve e che i buoni insegnamenti non rimangono… Rivedo, inoltre, le grosse mani di quel vecchio che aveva una piccola officina di riparazione biciclette. Rivedo le sue grosse dita, mani di un lavoratore, un po’ sporche, robuste ma esperte. Costava poche lire riparare una gomma bucata e lui ci metteva ore perchè lavorava parlando. Parlava con me o con altri. Un uomo che apparteneva ad un altro tempo, dove il tempo non esisteva. Dove forse gli orologi venivano riparato per il gusto di riparare gli oggetti, non in quanto utili strumenti indispensabili per misurare lo scorrere veloce dei minuti. Lavorava per passione. Cosa sempre più rara al giorno d’ oggi. Per maneggiare quegli arnesi. Per riparare gli oggetti da lui tanto amati: le biciclette. 
La mia bici mi ha seguito anche qui a Coblenza. Ci vado al lavoro di sera. Sfreccio veloce sulle piste ciclabili rinunciando alla comodità dell’auto perché il tempo che trascorro con lei è una parentesi tutta mia. Dove rivive la Sara di un tempo. Sento i muscoli forti delle mie gambe che premono decisi sui pedali. Oh, le sfumature del telaio che dal grigio passano all’azzurro cielo sono in gran parte rovinate, quel colore che mi aveva fatto innamorare di lei vent’anni fa É scomparso. Ė scomparso lo zaino sulle mie spalle e la mia bici si è arricchita di due seggiolini per scarrozzare avanti e indietro i bambini. Alcuni pezzi si sono arrugginiti. É scomparsa anche quella ragazza che sfilava veloce senza guardarsi attorno, immersa nei suoi progetti  di gloria, quando sembrava certo che fosse destinata a cose grandi. Sono scomparsi anche tante altre persone. Ma nel momento in cui, al buio, di notte, al rientro dai miei corsi di italiano, siamo io e lei è il nero attorno, rivivono per un momento magico la Sara quindicenne spensierata e orgogliosa, rivive mio padre, quel vecchietto e sento Virginia ancora ,seduta sul seggiolino davanti , che si gode insieme a me l’aria pungente. Percepisco la forma della sua testa al punto che potrei baciarla, come ero solita fare quando eravamo insieme. E so che dovrei dire che è solo un oggetto ma è più facile a dirsi che a farsi. E so che di conseguenza dovrei trattarla meglio, ma la tratto esattamente come tratto me stessa. Ecco, diciamo, non bene. In fondo lo so che entrambe non dureremo per sempre ma la veritá è che non abbiamo nessuna voglia di esserlo. Nel buio della notte sono con il mio destriero e mi è chiaro che ho ancora tanta strada da percorrere, tante strade conosciute e ignote che mi attendono,ma grazie a Dio non da sola.