La "mia" decrescita e altre considerazioni (introduttive)

Creato il 01 marzo 2012 da Eloisa @EloisaMassola
Su queste pagine voglio iniziare a parlare di decrescita. Me ne interesso da tempo, ma non ne ho mai fatto cenno qui, su Cassandra. Volevo riservare questo blog alle mie letture, alle speculazioni più oziose; ma, alla fine, mi sono resa conto che, allo stato attuale delle cose, non può esistere cultura senza ri-voluzione - e che questa ri(e)voluzione non può prescindere dal concetto di decrescita.
Diario di una ex-lavoratrice a progetto
Fino a poco tempo fa, pur appartenendo alla generazione degli invisibili "co.co.pro", ho sempre lavorato, seppure a intermittenza: contratti interinali presso il Comune della mia città (mi rinnovavano per un mese o due; stavo a casa quindici giorni, perdendo i giorni di ferie maturati; mi riassumevano per altri tre mesi... e così via); un contratto di sette mesi in un settore di cui non conoscevo nulla e per il quale non ero preparata; qualche supplenza; un contratto a progetto di ben nove mesi (!) presso una scuola privata... A singhiozzo, sbarcavo il lunario. Finché la crisi non ha cominciato a farsi sentire anche qui, in provincia: dopo l'ultima supplenza, conclusasi a dicembre, non ho trovato niente altro. Né (lo ammetto) l'ho cercato con particolare entusiasmo.
Ero stanca, depressa. Non volevo più sentirmi un numero, un oggetto da sfruttare e da gettare quando non fosse più stato necessario. Ero esasperata dal fatto di non avere più tempo per la mia famiglia, per me, i miei animali, i miei interessi... "Tutto questo per cosa?" mi domandavo. Per non avere neppure la certezza di un futuro dignitoso?
Così, d'accordo col mio compagno (che, per fortuna, essendosi messo a lavorare molto prima di me, è riuscito a realizzare il proprio sogno, specializzandosi nell'attività che aveva scelto sin da ragazzino), ho deciso di prendermi una "pausa di riflessione".
Dall'inizio dell'inverno, utilizzo il mio abbondante tempo libero in parte per aiutare il mio convivente nella gestione finanziaria e amministrativa della sua attività e, con ciò che resta delle mie giornate, per dedicarmi a ciò che più mi piace e ingegnarmi nell'autoproduzione.
Sembrerà strano, ma le mie giornate sono più piene (e decisamente più soddisfacenti!) di quando non facevo altro che rincorrere l'utopia di un posto fisso e di una retribuzione soddisfacente.
Contrariamente a quanto avevo sempre creduto («Che cosa farò se non riuscirò a trovare in fretta un altro lavoro? Mi sentirò una fallita, sarà la fine di tutte le speranze...» era ciò che mi dicevo all'approssimarsi della scadenza di ogni contratto), dopo essere rimasta disoccupata non ho provato né ansia né frustrazione. Al contrario, mi sono sentita rigenerata da una nuova leggerezza: la consapevolezza che finalmente avrei potuto gestire la mia vita come desideravo, senza ricatti e umiliazioni.

«Si sono dimenticati di noi? Ecco, io voglio dimenticarmi di loro...»
Imparare a "vedere"
Certo, la mia vita ha subìto importanti cambiamenti: in casa prestiamo molta più attenzione alle spese e alle uscite, ora che dobbiamo vivere con un unico stipendio. Abbiamo eliminato un'automobile e io sto imparando a spostarmi in bicicletta. Uso il cellulare con parsimonia e, da quest'anno, inizierò a praticare con regolarità il "digiuno tecnologico" (parlerò anche di questo...).
Devo in ogni caso ammettere che "rinunciare" è sicuramente il mezzo più efficace per apprezzare ciò che si ha o che si arriva a conquistare: sembrerà una frase fatta, ma è una verità semplice - una ricetta da poco per la felicità.
Del resto la favola della crescita a oltranza si è rivelata pericolosa e menzognera: ostinarsi a negarlo, perseguendo un consumismo sfrenato pur nella drammaticità della crisi, non avrà altro effetto che quello di farci precipitare sempre più dall'alto verso la disperazione.
Nessuna popolazione, nessuna epoca storica si è espansa all'infinito: il paradigma, al contrario, è quello di una parabola che, dopo una fase di brillante sviluppo, svolta inevitabilmente verso la propria risoluzione. Conoscere la storia (è forse questo lo scoglio più importante...) e accettare la nostra deperibilità potrà rendere meno aspra la parte discendente del nostro cammino e, magari, dare inizio a nuovi modelli e nuovi valori.
Bisogna smetterla di pensare che la crescita economica ci debba essere ad ogni costo. Il cosiddetto prodotto interno lordo non può più essere il valore di riferimento, non si può più pretendere più di quanto si importi, e non è vero che se non c'è crescita si va in crisi: bisogna cambiare modelli e parametri. Occorre anche recuperare le relazioni improntate a responsabilità e fiducia, senza le quali l'economia non sta in piedi. (Ugo Biggeri, presidente di Responsabilità Etica. Tratto da "Terra Nuova", dicembre 2008.)
Così non può continuare!
Alle volte, osservando la realtà che mi circonda e ascoltando le notizie che provengono dal mondo, trovo assurdo che non tutti riescano a rendersi conto con lucidità che, andando avanti di questo passo, il nostro sistema imploderà rapidamente.
Il potere d'acquisto dei salari è crollato e la disoccupazione dilaga. D'altro canto, i politici non offrono soluzioni, ma si limitano a spremere fino all'osso le categorie sociali più deboli. Il malcontento popolare non viene compreso e indirizzato verso un reale, positivo cambiamento; al contrario, si cerca di schiacciare (con violenza ed arroganza) chiunque decida di manifestare pubblicamente la propria indignazione. In questo senso, i governi sono più ciechi di noi, perché non si rendono conto che questa volta non si tratta di gruppi di facinorosi facilmente infiammabili, ma della protesta accorata della "gente comune", esasperata, vessata e offesa. La crisi non può essere fermata (non con battutine taglienti del tipo: "Il posto fisso è una noia e i giovani dovranno abituarsi a essere eternamente precari"; né, tantomeno, con spranghe e manganelli!) perché non si tratta della crisi di un unico settore, ma di una crisi dell'intero sistema.
I governi continuano a dirci di isolare bene le nostre case per risparmiare energia, di abbassare i nostri termostati, di guidare di meno e camminare di più, ma c'è un consiglio che non ci danno mai ed è: acquistate meno prodotti. Perché se qualcuno lo dicesse, metterebbe a rischio la crescita economica, la vera principale causa dei problemi. Purtroppo questa è la logica del capitalismo e del libero mercato: crescere continuamente o collassare. (Tim Jackson, docente di Sviluppo sostenibile all'Università inglese del Surrey. Tratto da "Terra Nuova", dicembre 2008.)
Il timore di non poter acquistare né possedere ci paralizza e ci impedisce di affrontare la realtà in modo propositivo. Siamo accecati dalle nostre paure - da quelle stesse paure che i governi e i sistemi forti non fanno che rintuzzare.
Avete mai visto un melo negare un frutto a qualcuno, o chiedere la carta di credito? Provate a entrare in un supermercato e pretendere una mela senza pagarla: vi cacceranno, per poi buttarne in abbondanza. Il cibo in natura non è né discriminazione, né spreco, oggi invece è così. Gli economisti hanno creato la paura della scarsità, che in natura non esiste. Il seme è il simbolo dell'abbondanza per eccellenza, perché in potenza diventerà frutto e nutrimento. (Satish Kumar, direttore della rivista di ecologia Resurgence, al Salone del Gusto di Torino, anno 2008.)
Il passo da compiere prima ancora di intraprendere un cammino di decrescita vero e proprio consisterà dunque aprire gli occhi, imparando a coltivare intuizione e consapevolezza come beni preziosi. Non sarà sempre facile - almeno non all'inizio; ma sulle lunghe distanze ripagherà...
[Continua, naturalmente...]

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