“La mia storia è la storia di una persona normalissima”. Intervista a Rossano Ercolini, vincitore del ‘Nobel per l’ambiente’

Creato il 05 giugno 2013 da Greeno @greeno_com
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In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, siamo lieti di pubblicare la nostra intervista a Rossano Ercolini, vincitore del Goldman Environmental Prize – il ‘Nobel’ per l’ambiente assegnato in aprile a San Francisco. Il riconoscimento, che non veniva assegnato ad un italiano da 15 anni, premia il suo straordinario impegno e le sue idee sulla gestione sostenibile dei rifiuti, che ha spiegato anche al Presidente Obama.

di Marta Baggiani

photo credits: www.bettybryce.com

Maestro elementare, vincitore del Goldman Environmental Prize 2013, presidente di Ambiente e Futuro, coordinatore del Centro Ricerca Rifiuti Zero del Comune di Capannori, co-autore di “Rifiuti Zero: una rivoluzione in corso”, co-ordinatore di Zero Waste Italy. Chi è Rossano Ercolini?

Non amo esibire le medaglie, ma sono anche presidente di Zero Waste Europe, nata a Barcellona per avere maggiore interlocuzione con le istituzioni europee e per cui mi hanno chiesto, grazie al premio vinto, di fare da referente. Quello a cui tengo di più è il centro di ricerca Rifiuti Zero, qui a Capannori, dove sono nato e dove ho iniziato la battaglia contro l’inceneritore dal 1994 in poi.

Che cos’è quindi la strategia Rifiuti Zero? Com’è nata questa passione, che poi si è trasformata in qualcosa di molto più grande? C’è stato un evento particolare, un suo percorso formativo, che hanno acceso l’interesse verso questi temi?

Successe che nel 1976, il Comune di Capannori (Lucca, ndr) tentò di fare una discarica proprio nella mia frazione, Camigliano. La gente sapendo che ero uno studente, per di più attivo socialmente, e che avevo buona proprietà di linguaggio, mi chiese di fare da portavoce e lì mi avvicinai al problema dei rifiuti. La discarica non venne costruita e da quella prima “vittoria” rimasi effettivamente più sensibilizzato verso i problemi ambientali.

Ciò che contribuì a risvegliare questi interessi, fu nel 1994, quando la Regione Toscana decise di commissariare due inceneritori: uno a Capannori e l’altro a Pietrasanta, in Versilia. Io ero già insegnante delle elementari e mi sentii anche spinto nella mia veste di educatore a cominciare a sensibilizzare i bambini, passando poi alle famiglie, ai “grandi”. Andavo a scuola con i sacchi neri e insegnavo loro a dividere i vari rifiuti e alla fine mostravo loro che “i rifiuti esistono solo se si mischiano”.

Piano piano decollò un’opposizione più forte, che portò alla sconfitta del progetto, almeno per quanto riguarda Capannori. Allora, non si chiamava Strategia Rifiuti Zero, ma semplicemente “raccolta differenziata”.

La Strategia Rifiuti Zero, in sé, cerca di progettare una vita ciclica degli oggetti, rendendoli continuamente riutilizzabili e quindi annullando, o quasi, la quantità di rifiuti che vanno nelle discariche o negli inceneritori. Il fulcro del progetto è quello di valorizzare il riciclo e il riuso, eliminare l’attività di incenerimento, dannoso per l’intero ecosistema e quindi anche progettare, perché bisogna comunque proporre delle alternative.

Dopo Capannori, altri 126 Comuni italiani hanno deciso di chiudere gli inceneritori e di convertirsi al riciclo dei rifiuti. In tema ambientale, cos’è una “buona pratica” e come si può comunicarla?

Innanzitutto ci tengo a precisare che secondo me la comunicazione non è una tecnica, è un messaggio che coinvolge i corpi, il sistema nervoso e poi l’aggiornamento dei contenuti. Se non hai niente da offrire non puoi comunicare il nulla e non puoi cambiare niente.

Noi, al tempo, riuscimmo a fare una rivoluzione culturale. Abbiamo sviluppato e stiamo tutt’ora sviluppando un processo di apprendimento che nessuno nel passato sull’argomento aveva mai promosso e stiamo quindi emancipando e mettendo a disposizione del mondo dei saperi. Nel momento in cui questi saperi hanno un valore d’uso, sono utili, è inevitabile che vengano fatti propri.

Comunicare buone pratiche non è stato un processo studiato a tavolino, non è che abbiamo convinto la gente attraverso slogan o strategie di marketing, l’abbiamo convita perché prima di tutto abbiamo dimostrato che si poteva fare un altro modo: non solo dire che era pericoloso l’incenerimento dei rifiuti ma che si poteva fare un salto culturale.

Avete quindi ricreato un legame fra “comunicazione” e “comunità”?

Beh sì, abbiamo sempre voluto far sì che la nostra comunità fosse parte integrante della nostra azione. Dal momento che abbiamo capito che c’era spazio per questa azione ci siamo resi conto dell’importanza di attuare quel principio globale-locale (il concetto di glocalizzazione, all’origine nato da Bauman, è stato poi ripreso anche nell’Agenda21 elaborata a Rio nel 1992, ndr), cioè avere riscontri sul territorio portandoci le scoperte che a livello globale sono disponibili per essere messe a disposizione della comunità locale.

Per questo c’è stato il coinvolgimento di tanti soggetti, anche molto diversi da loro, ma con l’idea comunque che la comunicazione, le relazioni, le scoperte dovessero tutte passare dalla nostra comunità e arrivare in alto. Così abbiamo conosciuto Paul Connet (uno degli scienziati ideatori della strategia Rifiuti Zero). In realtà il nostro obiettivo era Barry Commoner, che però era malato così il contatto che ci dettero fu quello di Connet: fu perentorio l’invito a decidere. Nel gennaio del ’96 a Lucca c’è la prima grande assemblea a cui partecipò Connet e a cui partecipano amministratori, attivisti, scienziati, cittadini comuni, una grande vetrina insomma.

Il clamore fu molto e nel ’97 la lotta contro l’inceneritore finisce, almeno a Capannori. A Pietrasanta continuerà fino al 2008: l’inceneritore viene costruito ma dopo scontri e denunce la magistratura chiude l’impianto per l’immane sversamento di diossine nel torrente, vicinissimo al mare.

Ora la provincia di Lucca è priva di impianti di incenerimento e ha deciso che non ne costruirà mai più altri mentre Capannori è stato il primo comune ad adottare la strategia Rifiuti Zero.

Greeno vuole essere uno spazio interdisciplinare di confronto sui temi della sostenibilità e delle pratiche comunicative virtuose. Quando oggi si parla di ambiente, qual è il confine fra informazione, sensibilizzazione e sensazionalismo?

Intanto quando si parla di questi interventi si deve dispiegare il massimo livello di democrazia e partecipazione. Oggi la democrazia non può più essere considerata il solo andare a votare, quello che è importante è partecipare davvero a quelle scelte che trascendono il mandato dei 5 anni del sindaco o della legislatura, perché quando parliamo di un piano regolatore, così come di un progetto Rifiuti Zero si parla di 15-20 anni almeno. Alla base di questa democrazia ci deve essere l’immissione di tutti gli elementi più aggiornati che riguardano l’informazione intorno all’argomento.

Bisogna prima di tutto evitare la demagogia, il populismo, dire ciò che la gente si aspetta, è necessario unire due cose secondo me, quando si comunica con le persone: sincerità e compassione, nel senso di condividere le loro emozioni, le loro esigenze; è necessario elaborare un’informazione anche “drammatica”, ma senza sfociare nel sensazionalismo e questo accade solo se insieme alla passione per quello che si comunica c’è anche un expertise, un sapere.

Noi abbiamo fatto informazione e sensibilizzazione, col cuore e con i contenuti perché non dovevamo vincere delle elezioni o guadagnare voti, ma mostrare alla gente i rischi, le pericolosità di certe scelte. Vede, uno dei motivi per cui ho vinto questo premio è anche perché siamo riusciti a trasformare un movimento locale in un’onda nazionale e quando una comunità vince mette le altre comunità nella posizione di agire.

La forza del nostro movimento è proprio il suo essere bottom-up, aver contribuito a costruire una cittadinanza attiva, un gruppo di cittadini normali che fa cose straordinarie.

Uno dei messaggi di Rifiuti Zero è che “non bisogna solo recuperare, ma anche capire come fare a produrre meno materiali di scarto non riutilizzabili”. Per questo avete allestito una “galleria degli errori”, dove studiate cosa c’è nel 20% dei rifiuti che ancora resta fuori dal recupero. Come vi confrontate con le aziende che producono oggetti non riciclabili, perché cambino il loro modello di produzione?

Voglio ancora insistere sul fatto che la comunicazione non è pura tecnica, e questo vale anche e soprattutto, per le aziende. Così come i cittadini, anche le aziende sono parte integrante del processo comunicativo che deve poi tradursi in azione concreta.

Abbiamo creato questo museo degli errori per cercare di capire quali erano i prodotti che inevitabilmente sarebbero dovuti finire nell’inceneritore: ci sono prima di tutto cialde del caffè, bottigliette di plastica di vario tipo, le figurine e i loro involucri..Tutte cose che finiscono negli inceneritori. Ci siamo chiesti, e abbiamo chiesto alle aziende, se davvero non ci fossero alternative.

Le aziende sanno che quello che viene chiamato “sistema di gestione integrato” in realtà significa far sparire tonnellate di rifiuti nell’aria o nella pancia della terra emettendo inoltre sostanze tossiche, alcune si sono mosse, più o meno lentamente. Soprattutto si sono mossi i cervelli delle persone, dei ricercatori in cerca di proposte alternative, come le cialde del caffè che noi chiamiamo “aspirine” perché sono compatte e come tali possono essere chiuse in materiale completamente biodegradabile.

Quando ci siamo approcciati alle aziende non siamo andati per colpevolizzarle, né per obbligarle a cambiare la loro produzione, abbiamo detto loro: qui crediamo ci sia un errore di progettazione, ci aiutate a risolverlo? Abbiamo portato loro i nostri studi ed in parte le nostre risorse e abbiamo usato una strategia di collaborazione non certo di boicottaggio.

In queste nuove frontiere che lei contribuisce ad allargare, c’è spazio per una rivalutazione del ruolo dei giovani, anche per quanto riguarda le loro prospettive di lavoro, in un momento di crisi sia economica che ambientale?

Il mio centro di ricerca è formato da un team operativo dove ci sono dei designer, degli esperti di compostaggio, neolaureati in chimica, scienze e simili. Figure di giovani, però professionalmente preparati e “freschi”. Poi c’è un comitato scientifico presieduto da Paul Connet con i maggiori esperti che una volta interpellati certificano i risultati degli studi.

Io sto cercando, ed in parte ci sono anche riuscito, di lavorare e promuovere le professionalità dei giovani. Io credo che nell’ambiente, soprattutto nel settore del riutilizzo, compostaggio, riciclaggio, anche abilità manuali, se vogliamo, ci sia un grande spazio professionale. Anch’io ho finanziato simbolicamente certi progetti, con parte del budget che ho vinto, con uno staff fatto da giovani. Per esempio ho incaricato una ragazza che ha fatto il servizio civile di fare un monitoraggio e un’altra ragazza che è una designer neolaureata, sta facendo un lavoro sul riuso e sui nuovi materiali. Ora con l’Università di Agraria di Firenze, stiamo sperimentando la nascita di funghi dai fondi del caffè. Presto qualcuno magari diventerà un esperto, perché no. La crisi, se uno la vive come un momento in cui andarsi a cercare e a crearsi le situazioni, può essere anche uno stimolo, la crisi può essere un’opportunità.

Rossano continua a portare avanti vecchi e nuovi progetti, con i soldi vinti cercherà di valorizzare anche altri aspetti connessi a Rifiuti Zero, come il kilometro zero, che significa più salute e meno emissioni di CO2. Il tutto accanto a un team di esperti e, pare, molti giovani.

Ci saluta così, con una parola estremamente umana, efficace, incoraggiante:

“Quando ho visto che l’occhio globale guardava alla mia attività mi sono detto: ma allora c’è qualcosa di positivo a questo mondo! La mia storia è la storia di una persona normalissima anche se molto tenace, che è riuscita a fare qualcosa di straordinario. Non bisogna guardare solo al male, altrimenti si resta sempre bloccati. Ci sono i problemi e ci sono le soluzioni, ricordatevi che cambiare…si può”.


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