Per coincidenza, proprio in questi giorni è uscito in Italia il libro “Fuori dal Buio, la mia vita con un padre gay” (edizioni Ares 2012), di cui abbiamo già avuto modo di parlare. A parlare è Dawn Stefanowicz, che ha scelto coraggiosamente di scrivere un libro sulla sua vita di ragazzina cresciuta con un padre omosessuale. Anche lei, come i “figli” intervistati nello studio scientifico citato sopra, ha parlato di sofferenze indicibili subite e si è fatta portavoce di altri “figli” dei gay con cui è entrata in contatto: «Informandomi sull’argomento ho conosciuto diverse persone, in Nordamerica, che essendo cresciute con un genitore dalle tendenze omosessuali hanno reso pubblici alcuni aspetti delle loro storie e hanno raccontato le difficoltà che quell’ambiente famigliare aveva creato per la loro crescita», ha scritto nella prefazione. Ha agito «per difendere i bambini innocenti che non possono difendersi da soli», come scrive nella dedica del volume, «contro una nuova, inaudita forma di abusi sui minori, legalizzata e promossa dagli Stati che hanno abbracciato un’ideologia del tutto falsa, per la quale ogni tipo di vissuto e ogni forma di convivenza vengono considerati leciti ed equivalenti».
L’amore per il padre emerge nel libro, lui non ha voluto farle male in modo consapevole, ma purtroppo «ciò che desiderava più di ogni altra cosa era di essere accettato e appartenere a qualcuno. Cercava di ottenere quel tipo di compagnia e di amore maschile che da bambino non aveva mai conosciuto. Ma, cercando di soddisfare le sue esigenze affettive attraverso l’omosessualità, spesso ignorò le esigenze legittime dei suoi figli». L’omosessualità, dunque, come ricerca di affetto di un uomo, mancata nell’infanzia. Dawn racconta: «sono stata esposta a chat sessualmente esplicite, stili di vita edonistici, sottoculture GLBT e luoghi di vacanza gay. Sono stata esposta a manifestazioni della sessualità di tutti i tipi tra cui il sesso negli stabilimenti balneari, travestitismo, sodomia, pornografia, nudità gay, lesbismo, bisessualità, voyeurismo e sadomasochismo. Droga e alcol hanno spesso contribuito ad abbassare le inibizioni nelle relazioni di mio padre». Egli la vestita sempre in modo unisex, «non ho mai visto il valore delle differenze biologiche complementari tra uomini e donne, né mai ho pensato al matrimonio». Con papà, racconta, «non c’era scampo: se uscivo con le femmine diceva che ero lesbica (…), la promiscuità mi sembrava la cosa più normale». La cosa peggiore, racconta Dawn, era «l’audacia di papà nella sua condotta omosessuale sempre più evidente», dovuta al fatto che «non c’era più nessuno a cui sentiva di dover rendere conto (…) una nuova aria di permissivismo permeava la società». E ancora: «Ero indignata per la vita delle persone dello stesso sesso, i continui abusi domestici, le avances sessuali verso minori e la perdita di partner sessuali come se le persone fossero prodotti da utilizzare»
Dawn è cresciuta tra gli omosessuali di Toronto, come scrive nel suo sito web, e suo padre è uno specchio di quel mondo: «Era una persona insicura», perché l’omosessuale, spiega l’autrice raccontando dei tantissimi incontrati con il mondo gay, è «narcisista, concentrato su se stesso e tanto bisognoso di conferme e di affetto da parte di altri uomini [...], lui portava dentro una grandissima rabbia irrisolta, che ribolliva e traboccava in scene spaventose [...] lottava anche contro la depressione e qualche volta pensava al suicidio (…). Viveva una vita tormentata, il suo modo di affrontare il proprio disagio era seppellirsi negli straordinari di lavoro e poi la sera e nei fine settimana, fuggire verso attività sessuali compulsive». Per questi disturbi del padre e dei suoi amanti, la donna non ha scaricato la colpa sulla società, la quale anzi è sempre stata fin troppo aperta.
Due incontri hanno dato a Dawn la forza di venirne fuori, come recensisce Tempi.it: la sua vicina di casa, innanzitutto, da cui spesso si rifugiava da piccola e che a differenza di tutti gli adulti che «in nome dell’ideologia politically correct fingevano di non vedere (…), parlava delle cose così com’erano, non come apparivano», spiegando alla piccola che «il papà fa delle cose che non dovrebbe fare perché sono sbagliate». Grazie ad un altro vicino, «conoscendo i suoi genitori ebbi finalmente un’idea di quello che dovesse essere una famiglia». Dopo aver cercato di realizzare la sua legittima esigenza di affetto paterno attraverso rapporti omosessuali transitori e promiscui, oggi Dawn Stefanowicz -anche grazie alla analisi- è sposata con due figli, ed è anche riuscita a perdonare il padre.