La mitologia imperfetta: Ash e i Morti Cattivi

Creato il 04 gennaio 2016 da Elgraeco @HellGraeco

Quella di Evil Dead è una mitologia imperfetta o forse, come ogni mitologia (e narrativa), il risultato di almeno trent'anni di tentativi di raccontarcela.
Pare strano?
In realtà non dovrebbe. Fa tutto parte del piano. È proprio così che funzionano le cose.
Perché ogni mitologia, o saga, nasce proprio in questo modo. Mettendola come l'avrebbe spiegata il buon Jorge da Burgos: una costante, ma sublime ricapitolazione.

è dal 1978, con Whitin the Woods (Dentro il bosco), che Raimi ci racconta dello chalet, dei morti cattivi e di Ash (che nel cosiddetto Evil Dead numero 0 si chiama proprio Bruce).
È sempre la stessa storia, resa piacevole, anzi, esageriamo, resa bella dal tempo, dalla memoria che addolcisce e, in ultimo, credo proprio dall'insistenza, dalla caparbietà con cui questo gruppo di amici insiste nel mostrarcela, ironizzando, ma mai celando, sul tempo che passa.

Come ogni mitologia, la leggenda deve terminare là dove è iniziata, allo chalet. Lo stesso chalet, anche se ricostruito. L'originale non esiste più, s'è persa perfino la posizione esatta, così come la capsula del tempo che, si narra, Bruce e Sam si sono divertiti a seppellire, al termine delle riprese del capostipite cinematografico, La Casa, anno 1981.

È interessante, però, notare come con Ash vs Evil Dead si sia tentato un doppio esperimento:

- riportare in vita la suddetta mitologia.
Lavoro semplice, se si considera che il mito si fonda quasi esclusivamente sul ritorno alla vita dei demoni. Quindi, da un certo punto di vista, ogni volta che si racconta dei Morti Cattivi, è come risalire in sella. Non si scorda mai, come applicare lentine colorate agli occhi degli attori, distorcere i loro volti con protesi deformi e farli parlare sporco.
Ah sì, poi non dimentichiamo gli ettolitri di sangue sui volti, con un'insistenza nei dettagli splatter che ha del miracoloso.

- traghettarla su un nuovo media.
Questa volta, lavoro decisamente più complesso. Dal cinema alla TV, non tradendo le aspettative e la memoria. Ché è la memoria, sia pure addolcente, quella sulla quale si fonda ogni tradizione, al di là dei testi.
E allora, sono passati trent'anni da quando a Raimi fu consigliato di inondare i cinema di sangue. E lui, memore, ha inondato di sangue la TV.

Il mezzo televisivo, così insultato dai patiti di cinema, per una volta la spunta, perché non si piega alle sue stesse leggi (che pure sono l'essenza sine qua non della televisione stessa), così come ormai fa il cinema, sempre pro no al volere dei fanz.
Ecco, per una volta, tutto ciò che ho predicato sul mio blog per anni sembra sia stato ascoltato, tutto ciò che JJ Abrams fa, con la massima faccia tosta, Raimi e la sua squadra di collaboratori, e la Starz, l'hanno ignorato, bilanciando come si deve sempre fare, nella giusta misura, le strizzatine d'occhio per i nostalgici, ma non rinunciando al nuovo, alla sperimentazione, introducendo personaggi inediti, che non sono pallide imitazioni del passato, e che riescono a farsi amare e apprezzare in dieci mini puntate da 20 minuti e che sorreggono tutto il lavoro di Bruce Campbell che è, in mancanza di altri termini, perfetto.

Il finale... sì, il finale, che è un ponte alla seconda stagione, non tradisce, anzi spiazza. Ché Ash, come mi piace scrivere da sempre, non è un eroe, e nemmeno un anti-eroe. È esattamente come Heather, l'"altra ragazza", quella bionda senza identità, che aspira a diventare igienista dentale, e che è capitata allo chalet per caso e neppure ci voleva venire... ecco, neppure Ash ci voleva andare, a quel cazzo di chalet.
Ricordatelo sempre, lo chalet non l'ha scelto Ash, l'ha scelto il suo amico Scott, perché era conveniente.
Ash è capitato lì per caso.
Ed è sopravvissuto.

E sapete che, in narrativa, colui che sopravvive viene, in qualche modo, segnato dalle forze che combatte. Acquisisce esperienza, ne diventa il Nemico, lo spauracchio, in breve, diventa un predestinato.
Ma, al di là delle connotazioni romantiche, Ash è sempre un pavido e accomodante casinista.

In questo senso, il suo desiderio più grande, Jacksonville, è privo di senso, o meglio prescinde dalle motivazioni del personaggio, è un miraggio, qualcosa che lui desidera e per il quale è disposto a passare la patata bollente e togliersi dai casini. Avrebbero potuto scriverci Parigi, Timbuktu, al posto di Jacksonville, avrebbe avuto lo stesso effetto.
Siamo dinanzi a una consapevolezza narrativa tale davanti alla quale il cambiamento di media non inficia più di tanto: maestria è stata al cinema, maestria è stata alla TV.

Cambia solo lo schermo su cui questa mitologia è stata proiettata. Lo spettacolo resta invariato.
E, sempre a proposito di media, non dimentichiamo che Evil Dead è fondata su un libro, un vecchio libro rilegato in pelle umana e scritto col sangue che, se letto, apre letteralmente, nuovi mondi.
Per concludere, non resta altro che un consiglio: leggete anche voi un fottuto libro, e date il via a una nuova mitologia.

Fra trent'anni ne raccoglierete i frutti. E saranno dolcissimi.


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