La modernità ha travisato il concetto di “scienza”

Creato il 14 novembre 2013 da Uccronline

Permettete una premessa. Sarà capitato un po’ a tutti, che quando leggi un libro o guardi un film ti rimangono impressi dei particolari di per sé sono assolutamente secondari. A distanza di anni fai fatica a ricordare i nomi dei protagonisti o la trama, ma quel preciso particolare è ancora lì, fisso e indelebile nella memoria.

Per esempio, del romanzo ucronico Fatherland, ambientato negli anni ’60 di un’Europa che ha visto la Germania nazista vittoriosa, ricordo poche cose. Ma ricordo le (reali) specifiche tecniche, citate fugacemente nel romanzo, dello spioncino usato dalle SS per osservare l’agonia delle vittime dentro le camere a gas: doppio vetro, di tal materiale, con tot diametro, con doppie guarnizioni in gomma… Il rinforzo mnemonico che è all’origine della vividezza del ricordo è forse dato dalla visita, qualche anno fa, del lager di Auschwitz, dove in un blocco sono esposti i progetti tecnici di camere a gas e crematori. Chiari. Funzionali. Lucidi. Spietati.

Credo che poche altre cose, meglio di quei progetti di Auschwitz (e della descrizione dello spioncino), possano permettere di concludere che la proverbiale frase “il sonno della ragione genera mostri” non è altro che una grandissima stupidata. Infatti il male non deriva dalla volontà priva della ragione, come voleva ottimisticamente Socrate (intellettualismo etico). Il male deriva invece da una volontà unita a una ragione distorta, che ha perso il fine e il bene ultimo delle cose e delle persone. È questo il pericolo evidenziato dal filosofo e matematico francese Olivier Rey, di cui ci siamo già occupati. Un pensatore non certo anti-scientifico, ma anti-scientista, che sottolinea lucidamente i pericoli di un certo scientismo contemporaneo.

In passato l’antitesi principale è stata tra scienza e religione: l’illuminismo del ‘700, il positivismo dell’800, il materialismo del ‘900, inebriati dai risultati (indiscutibili) del sapere scientifico, volevano a tutti i costi relegare il sacro e la religione alla mera superstizione, inutile e dannosa. Ma col progresso scientifico è cresciuta anche la consapevolezza dei limiti della scienza. Benissimo ha detto Francesco Bacone: “Un po’ di scienza porta all’ateismo, ma molta scienza riporta alla religione” (Saggio sull’ateismo, 1612). Sono molti, infatti, gli scienziati contemporanei che riconoscono di trovare nella religione (nella fattispecie cristiana e cattolica) lo sprone della loro ricerca (vedi dossier), e tanti sono i filosofi della scienza che riconoscono nel cristianesimo la radice del sapere scientifico.

Superata dunque questa fase (scienza vs religione) si è aperta una nuova antinomia, più sottile e perniciosa: quella tra scienza vs morale. “Si può fare? Dunque è giusto farlo”. Ed è a questa (presunta) fattibile liceità, come alla connessa perdita di un senso più profondo, che rimanda l’analisi di Rey. Non tutto quello che la scienza scopre è buono e moralmente lecito. Non tutto permette all’essere umano di vivere bene e meglio. Per il pensatore francese la causa di tale pericolosa deriva va trovata in un travisamento del concetto di scienza: mentre per la tradizione la scienza aveva a che fare con la scoperta della realtà nella sua totalità, incluso l’uomo, oggi un certo sapere scientista ha come estromesso l’uomo dalla realtà, privandolo del ruolo centrale che gli dovrebbe competere. Un’analisi forse non nuova (per alcuni versi richiama il saggio Perché io credo in colui che ha fatto il mondo, 1999, del fisico italiano Zichichi), ma sempre di attualità.

Concludendo con un’altra citazione, ancora una di quelle che rimangono impresse. Tolkien (anglicano convertitosi al cattolicesimo) nel suo monumentale Signore degli anelli, parlando di Smeagol-Gollum scrive: “S’interessava di radici e origini; si tuffava negli stagni profondi, scavava sotto gli alberi e le altre piante, forava gallerie nelle montagnole. Non guardava più le sommità dei monti e delle colline, le foglie sugli alberi o i fiori arrampicati su pei muri: la sua testa ed i suoi occhi erano rivolti verso il basso”. Una precisa descrizione dell’homo scientificus contemporaneo, più attento alle radici che alle foglie e ai fiori.

Roberto Reggi