Strana storia, quella di Valentin Gonzalez, detto El Campesino, eroe della guerra civile spagnola, sponsorizzato dai sovietici, entrato nel mito nella battaglia di Teruel, dove Lister pensava di averlo mandato a morire. Ne riuscirà a venire fuori attraversando a nuoto il fiume Turia, con tutta la sua divisione. Diversi gradi sottozero - siamo nell'inverno fra il 1937 e il 1938. Molti moriranno, ma molti si salveranno. Lister lo vorrebbe far fucilare, ma non è il caso, vista la penuria di generali. Poi, dopo il 1939 finirà in Russia. Non è chiaro cosa gli succede, tra la fine della guerra civile spagnola e il processo Kravchenko. Si sposa con la figlia di un generale sovietico, lavora sulla metro di Mosca, compie atti di banditismo nel Caucaso. Quello che si sa è che scappò dal gulag siberiano ed arrivò a piedi fino alle montagne che confinano con l'Iran e le attraversò ad oltre 3mila metri di altezza.
Quella che segue, è la bella introduzione, scritta da Julian Gorkin, al libro di memorie "La vita e la morte in U.R.S.S." di "El Campesino".
Il libro, per intero ed in lingua inglese, per chi lo volesse, può essere scaricato QUI. Quanto a Julian Gorkin, rappresentante del POUM (di cui poi diverrà segretario internazionale) a Barcellona, c'è da spendere un paio di parole a proposito del fatto cui accenna, quando dice a proposito del Campesigno che "fui suo avversario, e rischiai anche di esserne vittima"[1]. Il fatto si riferisce a quando Gorkin, arrestato dopo le giornate del maggio '37 a Barcellona (sarà tenuto in prigione fino alla caduta della Catalogna, nel 1939) e imprigionato a Madrid, aspetta che arrivasse El Campesino, per essere fucilato. Per sua fortuna, il generale venne trattenuto sul fronte dell'Estremadura, ed il governo repubblicano lo fece trasferire a Valencia.
Un uomo, uno spagnolo leggendario, è riuscito nella doppia impresa di sopravvivere alle peggiori persecuzioni nella Russia stalinista ed evadere, dopo un primo tentativo fallito, da quella che lui chiama "la più grande e infernale prigione totalitaria del mondo". Quest'uomo è Valentin Gonzalez, conosciuto con il nome di El Campesino, il primo comandante comunista durante la guerra civile spagnola.
Immagino che chiunque nel mondo - soprattutto i comunisti e i veterani delle Brigate internazionali - che lo riteneva morto e sepolto da tempo, sarà sorpreso di sapere che è ancora vivo. Solo un uomo come lui, di una resistenza fisica e morale sperimentata, risoluto e indomabile, poteva realizzare una simile impresa. Solo l'uomo che per due volte ha battuto la morte in Spagna (morte annunciata ufficialmente per due volte) poteva vincerla per la terza volta, in URSS, in condizioni ancora più difficili. Ora che conosco tutti i dettagli di questa fuga, posso affermare che questo è un caso unico in un'epoca eppure così ricca di vite prodigiosamente drammatiche.
Avrei potuto dare la notizia di questa fuga già alcuni mesi fa, ma per farlo ho aspettato che fosse al sicuro. Coloro che conoscono i mezzi di cui dispone, ed i metodi che impiega, la sinistra GPU- ieri NKVD, oggi MVD - per sbarazzarsi dei suoi avversari (ci ricordiamo di come ha soppresso Ignace Reiss, Krivitsky e Trotsky), comprendono la necessità di prendere precauzioni.
Prima di lasciargli la parola, mi sembra necessario dover fornire una breve biografia. In giro ve ne sono numerose, piene di inesattezze: quella dello scrittore americano Hemingway e l'altra, del tutto fantasiosa ed adattata alle esigenze della propaganda comunista, di Ilya Ehrenburg, senza contare quelle scritte per mano dei franchisti, di cui era la bestia nera. Per me, che sono stato un suo avversario ed ho evitato di essere una sua vittima [1], non si tratta di cancellare i suoi errori passati - cosa che non accetterei di fare - ma di presentarlo per quello che è: una delle più curiose figure del nostro tempo.
L'eterno ribelle
L'Estremadura è una delle regioni più arretrate della Spagna; con un'economia rivolta quasi esclusivamente all'agricoltura e all'allevamento; conta circa il 65% di analfabetismo. Essa comprende ampie zone e aree incolte, dove vivono masse di contadini senza terra e, talvolta, senza pane, cosa che spiega il loro tradizionale spirito di ribellione. La dura lotta quotidiana con una terra ingrata, gran parte della quale è occupata da montagne impervie, quasi selvagge, ha creato uomini rudi, energici, determinati e testardi. I contadini dell'Estremadura non sanno né leggere né scrivere, ma di solito hanno una forte personalità. Fernand Cortès, che ha conquistato il Messico, era nativo dell'Estremadura, come Pizarro, il conquistatore del Perù. Ed è nato in Estremadura anche Valentin Gonzalez, in un villaggio sperduto e da una famiglia molto umile. Ai tempi dei conquistadores, sarebbe stato probabilmente un capitano avventuroso, capace di grandi imprese. Nato nel primo decennio di questo secolo, è stato un grande ribelle ed uno dei comandanti più audaci della guerra civile. Uomo di non grande cultura, era tuttavia dotato di una grande intelligenza naturale, di una memoria incredibile, di uno spirito di decisione e di un'astuzia sorprendente. Senza queste doti eccezionali, una vita simile alla sua sarebbe stata inconcepibile.
Suo padre, di origine contadina, aveva lavorato alla costruzione di strade e, più tardi, nelle miniere di Peñarroya. Più che per convinzione dottrinale o filosofica, era un anarchico per istinto; era in realtà un ribelle nato. Questo genere di anarchico in Spagna abbonda, soprattutto tra i lavoratori della Catalogna e tra i contadini dell'Andalusia ed Estremadura. Un tipo primario, e perfino primitive, avido di azione diretta, animato da un ardente desiderio di giustizia, da spirito di sacrificio e indiscutibile solidarietà . Durante la Guerra Civile, era uno dei capi dei guerriglieri dell'Estremadura. Catturato dai falangisti insieme ad una delle sue figlie, vennero impiccati senza processo. Per una settimana intera i loro cadaveri rimasero appesi, legati l'uno con l'altro, recanti un cartello che li denunciava come il padre e la sorella di El Campesino.
Ha quindici anni, Valentin Gonzalez quando inizia la sua attività sindacale. Arrestato durante uno sciopero, per aver preso la difesa dei contadini, viene soprannominato dalla polizia El Campesino. Non è vero, come è stato detto, che questo soprannome gli fu dato dagli agenti russi all'inizio della guerra civile, in modo da ottenere la simpatia dei contadini. Nel 1925, all'età di sedici anni, durante lo sciopero dei minatori a Peñarroya, lancia una bomba dentro la stazione di polizia, uccidendo quattro guardie civili. Devi conoscere l'odio profondo del popolo spagnolo contro l'istituzione della polizia, per spiegare un fatto del genere. Suo padre gli aveva detto: "Se dovrai nasconderti un giorno, vai su' in montagna. Il denaro, la civiltà, le donne ti tradiranno, la montagna non lo farà mai". E' in montagna che si nascondevano, un tempo, i banditi d'onore. E' in montagna che va a nascondersi Valentin Gonzalez, in compagnia di un altro giovane terrorista; vivranno lì come banditi per diversi mesi. Arrestati, una volta che erano scesi in pianura, vengono atrocemente torturati, il suo compagno muore, ma lui, più forte e risoluto, sopravvive. Per diversi mesi, rimane nella prigione di Fuenteojuna, il paese immortalato nella commedia di Lope de Vega. Gli anarchici detenuti con lui contribuiranno alla sua formazione politica, mentre i contadini della regione lo riforniscono di cibo nella prigione. Quando uscirà, andrà a vivere illegalmente a Peñarroya, come capo di un gruppo di pistoleros.
Il popolo spagnolo, che ha dovuto lottare per trentadue mesi di guerra civile contro la reazione interna sostenuta dal nazi-fascismo europeo, era violentemente ostile all'esercito della monarchia, ed è per questo che, dall'inizio della guerra in Marocco, ha adottato nei confronti di questo un atteggiamento di opposizione. Raggiunta l'età del servizio militare, non è sorprendente che El Campesino manifesti i suoi sentimenti antimilitaristi. Appena arruolato, diserta. Arrestato e portato a Siviglia insieme ad altri disertori, riusce a fuggire di nuovo. Ripreso, viene imbarcato, in manette, per Ceuta, dove viene condotto a Larache. Un sergente, noto per la sua brutalità, che lo aveva schiaffeggiato davanti agli altri soldati, viene trovato morto pochi giorni dopo. A Larache, conosce un soldato comunista che lo converte alle sue idee. Comincia a rubare dei prodotti all'Intendenza, che poi vende, per sostenere la pubblicazione di un foglio antimilitarista. Diserta per la terza volta e va a vivere tra i Berberi, finché un'amnistia non gli permetterà di tornare in Spagna, a Madrid, dove nel 1929 aderisce ufficialmente al partito comunista.
La morte nelle mani
E' a Mosca che Lister e Modesto, gli altri due principali comandanti comunisti della guerra civile, avevano ricevuto la loro educazione politica e militare. El Campesino, invece, era una creazione diretta del popolo spagnolo: si comportava come un leader della guerriglia piuttosto che come un militare disciplinato. Dall'inizio della guerra civile, organizza di propria iniziativa un battaglione di miliziani, il cui numero aumenta rapidamente fino a formare una brigata e poi una divisione, la famoso 46ma divisione che porterà per tutta la guerra il nome del suo creatore. Quando Mosca decide, due mesi dopo l'inizio delle ostilità, di intervenire negli affari della Spagna, i suoi agenti ed esperti militari, consapevoli del valore di questo guerrigliero e dell'influenza che esercita sui suoi uomini, lo riconosce come uno dei principali capi militari, nonostante il suo carattere anarchico e i suoi continui atti di indisciplina. Avevano visto in lui lo Tchapaiev della guerra civile spagnola. Se fosse vissuto in Messico, al momento della rivoluzione anti-Porfirista, avrebbe giocato il ruolo di un Zapata o di un Pancho Villa. In effetti, aveva con questi ultimi molto più in comune di quanto avesse con il famoso capo dei partigiani russi. Ma, desiderosi di tenere nascosto l'aiuto generoso e disinteressato del Messico e di combattere il sentimento di amicizia che il popolo spagnolo provava per quest'ultimo paese, i funzionari di Mosca scelsero di creare intorno a lui la leggenda di un Tchapaiev spagnolo.
Fatta eccezione per il fronte settentrionale, El Campesino ha combattuto su tutti i fronti della guerra civile. Lo si vedeva comparire ovunque ci fosse una operazione difficile da compiere, o una situazione disperata da recuperare. Dava l'impressione di un'eroica follia; si tirava fuori dai peggiori pericoli quasi miracolosamente, senza che nulla lo poteva fermare e senza esitare sul prezzo da pagare. Aveva acquisito una reputazione quasi sinistra, non solo presso il nemico, ma anche tra i settori del campo repubblicano ostile allo stalinismo. E oggi lo spiega con un senso di amarezza:
"L'Ufficio Politico e gli agenti di Mosca, che controllavano completamente il famoso Quinto Reggimento, commisero e fecero commettere le peggiori atrocità, di cui poi rigettavano le responsabilità su di me. Hanno voluto circondarmi di un alone di terrore, non solo sul fronte, ma anche nelle retrovie. Sapevano che avevo buone spalle e potevo prendere tutto su di me."
Esattamente. Come è anche vero che a causa del suo temperamento passionale e del suo fanatismo, commise lui stesso parecchi eccessi. Tutti coloro che hanno assistito o hanno partecipato ad una guerra civile, sanno come è facile uccidere ed essere uccisi in tempi in cui domina la passione collettiva - una sorta di follia demoniaca che non conosce confini. Questo è stato il caso della Spagna come di qualsiasi altro luogo. Lo spagnolo è per natura gioioso, cordiale, generoso, ospitale, eppure ha in sé, come nessun altro popolo, il senso tragico della vita ed il disprezzo della morte. Questo viene scambiato per una fanfaronata, ma è qualcosa di più profondo. Questo popolo ha l'abitudine di dare tutto, di rischiare tutto, di sacrificare tutto con generosità ed altruismo assoluti. Quando la sua passione si scatena, è capace di tutto. El Campesino è il prototipo per eccellenza di questo popolo. Per tutta la guerra civile, ha letteralmente portato la morte nelle sue mani. In certi momenti sembra che siano le mani stesse che, senza l'intervento della coscienza, prendano l'abitudine di uccidere. El Campesino era l'unico in questo caso? Ci sono stati altri come lui, che in tempi normali non sarebbero stati in grado di uccidere neanche una mosca. A vederlo, si rimaneva quasi sorpresi che avesse potuto giocare un ruolo così sanguinario. Era un uomo davvero semplice, bonario, e a volte dava anche l'impressione di essere un timido. I responsabili del grande dramma non furono forse quelli che scatenarono la tempesta contro la legge e la giustizia? I crimini da loro commessi non hanno forse superato in orrore tutto ciò che è stato fatto nel campo repubblicano? I crimini del franchismo possono essere paragonati solo a quelli commessi dallo stalinismo in nome di una politica estranea agli interessi e alle aspirazioni del popolo spagnolo. Ed è questo, ciò che El Campesino capirà, più tardi, in URSS. Ed è questo, ora, il suo grande dramma personale.
Le imprese militari di El Campesino sono legate alle principali operazioni della guerra civile. Conquista il famoso Cerro de los Angeles, cosa che impedirà al nemico di prendere Madrid. La stampa comunista attribuì questa impresa a Lister. Ma quest'ultimo, in realtà, persa la sua posizione, si ritirò a Perales de Tajuna, dove si consolò della sua sconfitta, con un'orgia. El Campesino ha combattuto a Somosierra, a Segovia, a Caravita, a Guadalajara, in Andalusia, in Estremadura, sul fronte del Levante, in Aragona, sull'Ebro, in Catalogna ... E' a Madrid, quando Miaja crede che tutto sia ormai perduto. Dorme nel palazzo d'Oriente, nel letto di Alfonso XIII. Stabilisce il suo quartier generale a El Escorial, poi al Pardo, l'attuale residenza di Franco. Con un piccolo gruppo di fanatici, compie un colpo di mano a Lerida, dove fa prigioniero un colonnello franchista con tutto il suo stato maggiore. Venne ferito undici volte, e più di una volta seriamente. Prima la prende, poi la perde, Teruel; e ci rimane, ferito, nascosto, per cinque giorni. Appena i soldati franchisti cominciano a gridare ai repubblicani che El Campesino è stato ucciso, subito si alza e corre sulla linea del fuoco, si arrampica in cima ad una casa in rovina e, levatasi la camicia, grida ai soldati di Franco che possono convincersi da soli quanto lui sia vivo. Quelli si guardano sbalorditi, e nessuno di loro ha la presenza di spirito di sparargli. Infine, riesce a scappare, non senza aver perso il suo aiutante di campo e più di mille uomini, dopo una mischia feroce durata oltre cinque ore. Tutti lo credono perduto. Franco ha annunciato che lo tiene prigioniero e presenta ai giornalisti il suo cappotto coperto di sangue. Ma il cappotto, in realtà, lo indossava il suo aiutante di campo, ferito a morte; se l'era messo sulle spalle nella speranza di salvarlo. Il governo repubblicano manda un telegramma alla moglie, dove la informa ufficialmente della morte del marito ... Quando, in piena notte, El Campesino chiama al telefono Prieto, allora ministro della Difesa nazionale, quest'ultimo non crede alle proprie orecchie .
Come sempre, al dramma, qui, si mescola un elemento comico. El Campesino ed il suo amico, il colonnello Francisco Galan, avevano giurato nei primi giorni della guerra civile che non avrebbero toccato un pelo delle loro barbe fino a quando non fossero entrati a Burgos, la capitale dei franchisti. Vedendo questo evento allontanarsi in una prospettiva sempre più lontana, Galan aveva alla fine deciso di radersi. El Campesino voleva imitarlo. Venne allora convocato dall'ufficio politico del Partito comunista di Spagna, dove, alla presenza dei delegati provenienti da Mosca, gli venne formalmente vietato. E' una barba leggendaria, gli venne detto; è con questo ornamento che era noto in Spagna e nel mondo; rimuoverlo sarebbe un tradimento. Uno dei delegati russi aggiunse: "Questa barba non è tua, appartiene al popolo spagnolo, alla rivoluzione e all'Internazionale comunista. Devi tenerla per disciplina". Si voleva chiaramente far nascere la leggenda che la sua forza stava nella sua barba, come quella di Sansone nei capelli.
Fu l'ultimo a lasciare la Spagna, quando, dopo il crollo del Fronte del Centro, questa era interamente nelle mani di Franco. Tutti i leader comunisti erano fuggiti sugli aereoplani tenuti pronti per questo. I collaboratori di El Campesino, che erano con lui a Valencia, si resero conto che tutto era perduto e che la resistenza, che voleva intraprendere il loro capo, sarebbe stato solo un suicidio eroico, ma inutile. Gli si buttarono addosso, lo legarono ad una sedia e gli tagliarono la barba, che nascosero sotto un tetto, ripromettendosi di tornare a cercarla, un giorno. Armati fino ai denti, riuscirono ad uscire da Valencia su una potente automobile e attraversarono tutte le province del Levante e parte del sud della Spagna, fino ad un piccolo porto di pescatori situato tra Malaga ed Almeria, non senza aver lasciato dietro di sé qualche cadavere di falangista. Sia a causa della sua mancanza di importanza, sia a causa della confusione che regnava, il paese era ancora amministrato da un commissario socialista di nome Benavente. Questi li nascose nella sua casa. La stessa notte dopo il loro arrivo, i franchisti presero possesso del villaggio e della casa dove i fuggiaschi si erano nascosti. Non potevano supporre che, in una camera accanto alle loro, ci fosse il famoso El Campesino insieme ai suoi aiutanti. Eppure la loro presenza nella regione era stata segnalato dalla radio franchista, che inviava costantemente l'ordine di catturarli a tutti i costi. Questi ordini erano arrivati anche alle orecchie dei fuggitivi, insieme ai commenti del commissario franchista, do sua moglie e dei suoi collaboratori. Ad un dato momento uscirono dal loro nascondiglio, uccisero tutti quelli che si trovavano nella casa e guadagnarono il porto, dove si impadronirono della migliore barca a motore. Durante la fuga, la moglie di Benavente rimase uccisa. Diverse barche si lanciarono all'inseguimento dei fuggitivi, che navigavano in direzione di Melilla; in mare incrociarono un peschereccio, di cui requisirono il combustibile, e poterono raggiungere la costa del Nord Africa, arrivando ad Oran. Per la seconda volta, El Campesino era scampato ad una morte annunciata.
"Ho sfidato la morte ad ogni passo, prima in Spagna, poi in URSS. E' senza dubbio a quella che devo il miracolo di vivere, e quello, più straordinario ancora, di essere evaso dall'inferno sovietico. "
Lo dice con orgoglio, con energia. Raramente ho visto degli occhi come i suoi: così luminosi, così limpidi e pieni di risolutezza. I suoi capelli sono neri, crespi, e le sue sopracciglia cespugliose gli danno un'aria di ostinazione. I suoi lineamenti, tipicamente spagnoli, denunciano la sua origine araba. E' di taglia normale, piuttosto inferiore alla media. Il suo corpo non è vigoroso, ma ben proporzionato, e sembra avere dei nervi d'acciaio. Quale straordinaria vitalità! E' una vera forza della natura, un prodotto tipico della terra spagnola. Ho fatto un lungo viaggio per trascorrere una quindicina di giorni con lui. Quando riuscì a fuggire, era debole ed emaciato, ma la sua vitalità ha preso il sopravvento ed ha recuperato in fretta. I primi tre giorni, l'ho lasciato parlare quasi senza interruzione, era così tanto che non poteva esprimersi nella sua lingua madre, confidarsi con qualcuno! Non riesce quasi a stare fermo, va nervosamente avanti e indietro, gesticola ed esplode in imprecazioni indignate, si direbbe che ha bisogno di rompere qualcosa.
Alla fine, si siede e continua:
"Ho pagato terribilmente cara la mia libertà: mio padre e mia sorella, impiccati pochi mesi dopo l'inizio della guerra civile, e mio fratello minore, che aveva combattuto come un leone, fucilato alla fine della guerra. Non capisco come, essendo mio fratello, abbia potuto lasciarsi prendere vivo. La mia compagna e i miei tre figli perduti nella Spagna di Franco. La mia nuova compagna e una figlia perdute nella Russia di Stalin. Tuttavia, nessuno si creda che io abbandoni la lotta. Oggi mi sento più forte che mai. Morire, per me, sarebbe stata la cosa più facile; se ho messo una tale determinazione nel vivere, malgrado tutto, è perché volevo far conoscere al mondo la verità sull'inferno sovietico, e continuare la lotta per la libertà degli uomini e dei popoli. "
JULIAN Gorkin.
fonte: http://bataillesocialiste.wordpress.com