“La mossa del pinguino”: non è la solita stupida commedia italiana…

Creato il 28 aprile 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Il pregiudizio e l’aspettativa sono i peggiori mali che possiamo covare quando andiamo a vedere un film. Nel caso de La mossa del pinguino l’aspettativa è un virus scongiurato, poiché di fronte ad un esordio possiamo aspettarci di tutto, in genere il meglio. Il pregiudizio invece è quasi inevitabile di fronte al debutto dell’ormai cinquantenne Claudio Amendola, senza dubbio uno degli attori romani più amati d’Italia grazie anche alla fortunata serie de I Cesaroni. E una volta fatto il biglietto è pressoché matematico chiedersi: “Chissà che filmaccio avrà partorito Claudio Amendola?”. Invece La mossa del pinguino è una piacevolissima sorpresa, forse una delle migliori commediole italiane dell’anno.

Una commedia brillante, ben scritta e ben recitata, che conosce i tempi comici e i tempi della commozione, che sa arrivare allo spettatore con risate sincere e mai volgari, ben intervallate a ponderati squarci che suscitano qualche breve luccicone. E’ come se Amendola avesse aspettato così tanto a passare alla regia per masticare, digerire e rielaborare l’italianità vista e messa in scena in questi anni di cinema e televisione. Come se avesse attentamente osservato dal buco della serratura il pubblico italiano per individuare cosa lo colpisce ancora, e di più. Il risultato è una commedia che non conosce tempi morti, dove nulla è superfluo, dotata di uno script originale di vaghe reminiscenze inglesi, che sa divincolarsi dalla leggerezza televisiva dei Cesaroni e dalla caciara contenutistica di Vacanze di Natale o Il ritorno del Monnezza. Una storia d’amicizia e di sport, di sogno e di riscatto, stratificata in più trame e sotto-trame e fondata su personaggi ben caratterizzati (su tutti quello di un preciso Ennio Fantastichini).

La regia ha qualche traballamento, ma sa abbracciare la storia e dettare un respiro regolare. Apprezzabile la sequenza con i “primi piani” delle uova al tegamino, sintomo di un’umanità umile, disperata e sognante, che sa ritrovare se stessa a sedere a tavola.

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