Una commedia brillante, ben scritta e ben recitata, che conosce i tempi comici e i tempi della commozione, che sa arrivare allo spettatore con risate sincere e mai volgari, ben intervallate a ponderati squarci che suscitano qualche breve luccicone. E’ come se Amendola avesse aspettato così tanto a passare alla regia per masticare, digerire e rielaborare l’italianità vista e messa in scena in questi anni di cinema e televisione. Come se avesse attentamente osservato dal buco della serratura il pubblico italiano per individuare cosa lo colpisce ancora, e di più. Il risultato è una commedia che non conosce tempi morti, dove nulla è superfluo, dotata di uno script originale di vaghe reminiscenze inglesi, che sa divincolarsi dalla leggerezza televisiva dei Cesaroni e dalla caciara contenutistica di Vacanze di Natale o Il ritorno del Monnezza. Una storia d’amicizia e di sport, di sogno e di riscatto, stratificata in più trame e sotto-trame e fondata su personaggi ben caratterizzati (su tutti quello di un preciso Ennio Fantastichini).
La regia ha qualche traballamento, ma sa abbracciare la storia e dettare un respiro regolare. Apprezzabile la sequenza con i “primi piani” delle uova al tegamino, sintomo di un’umanità umile, disperata e sognante, che sa ritrovare se stessa a sedere a tavola.
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