“La Mostra” Racconto breve

Creato il 19 settembre 2012 da Federbernardini53 @FedeBernardini

Matisse non era tra i suoi pittori preferiti e Vittorio non sarebbe mai andato a visitare quella mostra se Giovanna non avesse insistito tanto. Erano le cinque del pomeriggio e faceva freddo. In fila, davanti all’ingresso dei Musei Capitolini, almeno cento persone in ordinata e paziente attesa.

-Mettiti in fila! Io, intanto, vado a comprare i biglietti- disse Vittorio, ma non gli fu necessario perché due anziane signore, visibilmente stanche e intirizzite, avevano deciso di andarsene e gli cedettero i loro.

Vittorio si accese una sigaretta e si guardò intorno. Erano arrivati da poco ma già, alle loro spalle, la fila si era notevolmente allungata.

-Cosa ci troveranno di tanto interessante, in un pittore come Matisse?- pensò, e cominciò a preoccuparsi perché la fila non accennava ad avanzare. Trascorsero alcuni minuti prima che un custode, impalato davanti all’ingresso, in cima alla gradinata esterna, si decidesse a far entrare una dozzina di visitatori.

-Se continuiamo di questo passo, ci vorrà almeno un’ora-.

Giovanna, quel pomeriggio, non era molto loquace, si limitava a dondolarsi in silenzio, perduta dietro a chissà quali pensieri. Vittorio, come faceva sempre quando si trovava tra la gente, prese a osservare le facce e gli atteggiamenti di quelli che gli stavano intorno e ad ascoltare i loro discorsi. Proprio davanti a lui c’erano due signorine, non più giovanissime, dall’aspetto tremendamente borghese. Parlavano di viaggi fatti  in terre lontane e di altri viaggi, da farsi in terre ancora più lontane.

-Marina, l’anno scorso, è andata in America con un gruppo di amici…roba da zingari, pensa che prendevano una stanza   in un motel e ci dormivano in cinque-.

-Lo  so,  me  l’ha raccontato-,   rispose  l’altra,   -qualche volta hanno addirittura dormito in macchina. Ma come si fa, a me, quando viaggio, piace stare comoda-.

-A chi lo dici!-

Stette ad ascoltarle per un po’, apprendendo molte cose sulle tariffe aeree, sugli alberghi, i ristoranti, il noleggio delle automobili, lo shopping e altre frivolezze del genere.

Dietro di lui, una coppia di anziani signori: lui col bastone da passeggio, un elegante mantello e un altrettanto elegante cappello di feltro dalle larghe tese, lei in pelliccia di astracàn e con una monumentale e candida chioma perfettamente acconciata. Due tipici frequentatori di mostre. Ovviamente parlavano d’arte, dimostrando di conoscere alla perfezione il più trito frasario da catalogo patinato che, dando luogo a innumerevoli quanto vacue combinazioni, consente di fare sproloqui su qualsivoglia argomento. Letteralmente insopportabili. Meglio le turiste.

Si accese un’altra sigaretta e si accorse, con piacere, di aver fatto molta strada. Dopo appena venti minuti di attesa, si trovavano già a metà della scalinata e il loro traguardo non era lontano. Al massimo altri dieci minuti.

Senza aver sofferto troppo, ma già annoiato prima ancora di cominciare la visita, entrò finalmente, insieme con la sua compagna, nel luogo dell’esposizione. Inevitabile l’acquisto del catalogo, del quale non gli importava un bel niente. Le copie rilegate alla bodoniana, ovviamente, erano esaurite e gli toccò sborsare novantacinquemila lire per una di quelle di lusso.

“Che Dio vi maledica!” pensò donando il catalogo a Giovanna, che lo ringraziò con uno splendido sorriso e prese subito a sfogliarlo.

-Guarda un po’ se ci sono La Dance e Icaro!-, le disse. Erano gli unici  due quadri nei confronti dei quali nutrisse un po’ d’interesse. Giovanna consultò l’indice e poi lo guardò, facendo di no con la testa ed esprimendo tutto il suo rammarico sgranando gli occhi e serrando le labbra. Sapeva che a Vittorio Matisse non piaceva  molto e si sentiva un po’ in colpa per averlo quasi costretto a visitare la mostra, dalla quale, per di più, erano esclusi proprio quei due quadri.

Con aria indolente, Vittorio cominciò a osservare le tele appese alle pareti, senza fare alcun commento, com’era sua abitudine quando visitava una mostra. Gli davano fastidio anche quelli degli altri, soprattutto quelli degli esperti o sedicenti tali; preferiva piuttosto le ingenue ed estemporanee esclamazioni della gente semplice che, almeno, lo divertivano un po’.

Al contrario, Giovanna era molto interessata e non dimostrava alcuna insofferenza a causa della gran ressa. Erano gli ultimi giorni dell’esposizione e per poter osservare i quadri da una buona posizione occorreva sottoporsi a ogni  sorta di contorsioni.

–Bello!- disse Giovanna guardando estasiata il ritratto di una signora con un cappellino piumato.

-Mah!- si limitò a rispondere Vittorio, facendo una smorfia  con la bocca e aggrottando le sopracciglia.

In ogni angolo, sorveglianti occhiuti, quasi tutti di sesso femminile, scrutavano i movimenti dei visitatori. Appena qualche giorno prima, infatti, un ignoto vandalo aveva deturpato un paio delle preziosissime tele.

A mano a mano che la visita procedeva, Giovanna era sempre più assorbita dalla contemplazione dei suoi quadri, nei quali Vittorio non riusciva a vedere quasi niente. Matisse era tutto dietro alla tela, un artista concettoso, un filosofo che concede poco o nulla al piacere degli occhi. Ed era proprio il piacere degli occhi  che  Vittorio  voleva  da  un  quadro.   Quanto  gli  sarebbe piaciuto  se al posto  di  quegli sgorbi  avesse  avuto  di fronte un Beccafumi, un Fussli o un Munch.

Ma la sua attenzione, ormai, si era rivolta altrove. Le sorveglianti erano quasi tutte giovani e belle. Confuso in mezzo alla calca, poteva posare il suo sguardo indiscreto su ogni particolare di quelle appetitose figurine, quasi accarezzarle con gli occhi, senza che loro se ne accorgessero. Avevano tutte una gonna blu, leggermente al di sopra del ginocchio, un pullover più o meno dello stesso colore, una camicetta bianca, col colletto sbottonato e le loro gambe erano fasciate da deliziose, irresistibili calze grigio ferro, che appena lasciavano trasparire la levigatezza e il biancore della loro pelle. Le scarpe erano nere e col tacco basso, così i piedini di quelle graziose fanciulle, costrette a estenuanti turni di lavoro, non si sarebbero affaticati troppo.

Chissà da dove venivano, da quali lontane periferie avevano raggiunto il cuore di Roma, dopo essere state pigiate e sballottate su vecchi autobus maleodoranti, per guadagnare poche lire. Chissà a cosa pensavano, certo non a Matisse che probabilmente, prima d’allora, non avevano neanche sentito nominare. Forse ai loro mariti, ai loro amanti, a qualche malanno o a qualche debito da pagare o a qualcosa da comprare coi soldi guadagnati così faticosamente. O, forse, pensavano solo al ritorno a casa, al momento in cui avrebbero potuto liberare i loro corpi stanchi da quegli abiti.

Gli facevano un po’ pena e insieme, perversamente, le desiderava. Sarebbe voluto esser lui a spogliarle delle loro divise, dei loro reggiseni, delle loro mutandine, delle loro scarpe dai tacchi bassi e delle loro calze grigio ferro. Avrebbe voluto…

Per un’ora erano state loro le opere d’arte e non quei volti vuoti e quei manichini   senz’anima.  Vittorio, in cuor suo, le ringraziava; non avrebbe mai dimenticato quelle creature semplici, inconsapevoli e incolpevoli fomentatrici del suo desiderio.

“Tornate, qualche volta, a visitare i miei sogni!”

-E allora?- chiese Giovanna con aria soddisfatta, coccolando il suo catalogo, mentre discendevano la scalinata esterna del museo.

-Beh…- le rispose Vittorio, -devo dire che, tutto sommato, ne è valsa la pena.

Erano passate le sette, faceva molto freddo. Stretti l’uno all’altra, si avviarono verso il Caffè Di Maggio: un prosecco e qualche tartina, prima di cena, era proprio quello che ci voleva.

Federico Bernardini



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